Il popolo del surf
Aspetterò la piena a Ponte Milvio. Con queste parole il sindaco di Roma ha ben pensato di rincuorare i propri concittadini, colpiti dalla psicosi generale dell’aumento del livello del fiume Tevere. Con tanto di secchiello e paletta, seduto sull’argine, pronto in caso di necessità a togliere l’acqua di troppo.
Il fatto è questo: la pioggia eccezionale c’è stata, otto virgola sei centimetri d’acqua in una sola notte, che convogliati da affluenti e scarichi nel letto del fiume ne comportano un aumento di livello di una decina di metri. D’accordo. Esattamente si è arrivati a dodici metri e cinquanta, ben lontani dalla piena di sedici metri anni settanta o dagli oltre diciassette di inizio secolo.
Non dico che i disagi non ci siano stati: stazioni allagate, sottopassaggi impraticabili, tombini otturati che non riescono a smaltire l’acqua in eccesso. Ma la situazione è stata amplificata in modo inaspettato: si è parlato di Roma sommerse dalle acque, di inondazioni previste per lo straripamento del fiume. E la sera della piena erano tutti lì, sul lungotevere, ad aspettare l’onda. Che ovviamente non esiste. Il livello sale piano piano, magari di una decina di centimetri in una serata, eppure il pubblico assiepato sugli argini era proprio convinto di dover aspettare un’onda distruttiva, a mezzanotte, alle tre, non si è mai capito bene quando. In fondo costa meno del cinema e del teatro, ed è comunque uno spettacolo dignitoso. Preti in preghiera sull’isola tiberina, che si trova a un livello più basso rispetto all’argine e se la è quindi passata male. Protezione civile che dispone sacchetti di sabbia, polizia ad ogni ponte, foto ricordo con gli alberi sommersi. Almeno in questa confusione abbiamo imparato qualcosa: una parola nuova, esondazione, che rende tutti immediatamente esperti quando la pronunciano. E anche che i grandi muraglioni che imprigionano il Tevere nel suo corso sono stati costruiti da Garibaldi, che oggi non è più solo l’eroe dei due mondi ma anche, in un certo modo, l’eroe di Roma.
Non dico che i disagi non ci siano stati: stazioni allagate, sottopassaggi impraticabili, tombini otturati che non riescono a smaltire l’acqua in eccesso. Ma la situazione è stata amplificata in modo inaspettato: si è parlato di Roma sommerse dalle acque, di inondazioni previste per lo straripamento del fiume. E la sera della piena erano tutti lì, sul lungotevere, ad aspettare l’onda. Che ovviamente non esiste. Il livello sale piano piano, magari di una decina di centimetri in una serata, eppure il pubblico assiepato sugli argini era proprio convinto di dover aspettare un’onda distruttiva, a mezzanotte, alle tre, non si è mai capito bene quando. In fondo costa meno del cinema e del teatro, ed è comunque uno spettacolo dignitoso. Preti in preghiera sull’isola tiberina, che si trova a un livello più basso rispetto all’argine e se la è quindi passata male. Protezione civile che dispone sacchetti di sabbia, polizia ad ogni ponte, foto ricordo con gli alberi sommersi. Almeno in questa confusione abbiamo imparato qualcosa: una parola nuova, esondazione, che rende tutti immediatamente esperti quando la pronunciano. E anche che i grandi muraglioni che imprigionano il Tevere nel suo corso sono stati costruiti da Garibaldi, che oggi non è più solo l’eroe dei due mondi ma anche, in un certo modo, l’eroe di Roma.
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