Il deserto dei Tartari
GIORNO 18, KHAJURAHO, MADHYA PRADESH
Sono in albergo da solo. Nel senso che ci sono solo io, in tutta la struttura, e gia' la cosa farebbe abbastanza ridere. Ma diventa comica se decido di cenare. A qualsiasi ora, apre la cucina, il ristorante, si accendono le luci. Il menu' e' sempre tutto disponibile.
Chissa' se fanno come il mio buon amico Mario, che cucinava il primo del mese e conservava tutti i pasti congelati in bustine monodose. Aveva un frigo solo per lui, che troneggiava in sala da pranzo a Bologna accanto al televisore della Champions League. Perche' la tv era solo per le serate della Champions League, fatte di calcio, polpette scongelate e tornei di ping pong sul tavolo da pranzo.
Qui al limite si parla di cricket e del fatto se l'ospite vorra' fare colazione domani o sara' l'ennesima mattinata da deserto dei Tartari. E' un posto tranquillo e, ormai l'ho capito, maggio e' bassa stagione.
Ma ci sono lati positivi. Ho preso una bicicletta e ho vagato fuori dal paese. Finalmente, uno scorcio d'India incontaminata, volti stupiti degli abitanti al passaggio di questa mina vagante che pedala come in una tappa del giro delle Fiandre. Templi a sud, templi a est, poi un lungo falso piano fino alla riserva naturale, alle cascate senza'acqua, al rifugio assonnato dei guardaparco. Ritorno, con difficolta', contro vento e con una mandria contromano.
Ad aspettarmi sul terrazzo i tre camerieri che affettano e tagliuzzano, il tavolo apparecchiato con vista del tramonto sui templi. Menu' spiegato, bottiglia in fresco, impossibile rifiutare. Mi siedo, tavolo numero uno. L'unico.
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