La tana delle tigri
GIORNO 4, MARACAY, VENEZUELA
Primo assaggio di vita vip in Sudamerica. Serata trascorsa in elegante club privato a bordo piscina mentre su nove schermi al plasma passa l'attesa finale del campionato venezolano di baseball. In campo i Tigres di Aragua, squadra locale di Maracay, contro i Caribes.
Il funzionamento del baseball appare abbastanza semplice: una squadra lancia, una batte. Il battitore colpisce la palla e inizia a correre. Se riesce a fare un giro di campo, ha segnato un punto. Se pero' gli avversari prendono la palla al volo, o la raccolgono e riescono a lanciarla a una base prima che il battitore l'abbia sorpassata con passo agile e ben disteso, il giocatore e' eliminato. Ogni tre eliminati, si invertono i ruoli. Tu lanci, io ricevo. Per nove inning, racchiusi in tre periodi di gioco da tre inning l'uno. E poi ci sono gli strike. Tre. Che se non sono strike sono ball. Che se sono quattro hai regalato una base. Che se hai le basi cariche e fai un fault la gente si arrabbia. Che se il lanciatore non lancia al battitore ma a una base tu ci devi essere. Altrimenti ti elimina. Insomma, facile.
Per fortuna nella mia collezione di film sportivi spicca "Major League - La squadra piu' scassata della lega", e cio' mi permette di fare una discreta figura di fronte alle domande inquisitorie dei sostenitori dei Tigres. Almeno a livello teorico.
Perche' c'e' un grosso problema nello seguire il gioco: le divise sono tutte uguali. Pantaloni bianchi e giacca blu. Il caso ha voluto in finale le uniche due squadre con gli stessi colori sociali. Cambia solo la scritta ricamata a caratteri rossi sul petto. E devi stare attento. Perche' se sbagli ad applaudire non e' il massimo trovarsi attorno il Tigres fan club.
L'unica cosa che risulta chiara e' che a ogni inning c'e' un attimo di pausa. E parte il reggaeton. E ognuno si riempie il bicchiere di ghiaccio dal cestello al centro del tavolo. E di coca cola. E di rum. Santa Teresa gran riserva, ovviamente.
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