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venerdì, aprile 18, 2014

The Gher experience: parte 2

GIORNO 18, KHARKHORIN, MONGOLIA

Trasferimento nella gher dei parenti, sempre con Attila e Gengis, gli adorabili bambini, al seguito. La mattina raccogliamo materiale per cosi' dire 'combustibile'. Il riscaldamento delle gher, in un paese nel quale non crescono alberi, avviene in un modo abbastanza fantasioso. Si bruciano gli scarti della digestione animale, ovvero... insomma, erba masticata, passata attraverso lo stomaco di un bovino, che torna alla luce sotto altra forma.
Attivita' edificante che ci da la conferma di essere benvoluti nella comunita' nomade.

Nel pomeriggio il ruolo affidatoci e' invece quello di cane pastore. Raduniamo duecento o trecento capre che se ne stanno liberamente pascolando per riportarle all'ovile, dimostrando anche una certa perizia, forse maturata in anni di giochi di strategia online.
Scendiamo allo shop a prendere un caffe', complice il brutto tempo fisso. Quattordici chilometri a piedi nei prati. E caffe', solubile, estremamente guadagnato. La sera passa tra tentativi di comunicazione e lotta tradizionale alla tv. Perche', anche se nel mezzo del nulla, la tv non puo' mancare.

Al mattino la famiglia al completo si presenta per portarci a Kharkhorin, l'antica capitale. Stesso furgoncino, tre posti, e noi, cinque adulti, due bambini, tre zaini, due sacchi a pelo. In due, all'apparenza italiani, finiscono nel cassone del furgoncino, seduti su un sacco di lana di capra, vestiti come esploratori artici dei primi anni venti. Nevica, un grado, e ottanta chilometri per l'antica capitale.

L'esperienza della dura vita nelle steppe mongole si puo' dire conclusa. Con grandi risultati e un conquistato rispetto.

giovedì, aprile 17, 2014

The Gher experience: parte 1

GIORNO 17, DA QUALCHE PARTE, MONGOLIA

Fare un resoconto degli ultimi due giorni, in questo caso, sarebbe piuttosto arduo. Mi limitero' a riepilogare, per sommi capi, gli accadimenti, lasciando al singolo lettore eventuali considerazioni.

I fatti: terza notte in una gher, ospiti di una famiglia, che il giorno seguente ci accompagna alla gher dei parenti. Passiamo li la quarta notte e il mattino seguente la famiglia torna per accompagnarci a Kharkhorin, antica capitale mongola e sede di un importante tempio buddhista per poi lasciarci alla stazione degli autobus per prendere la linea delle 11 per Ulaanbataar.

I fatti, in modo approfondito: terza notte, ospiti di una famiglia. La seconda gher, che presupponiamo per gli ospiti, e' stata destinata alle capre. Si dormira' tutti sotto lo stesso tetto. Poco male, penso io.
Presto appare evidente che i due bambini, da noi soprannominati Attila e Gengis Khan, non hanno alcun timore nel confronto degli stranieri ma, al contrario, un quantitativo illimitato di energia del quale usufruire. La madre, per stemperare la tensione, ci invita a un giro con il furgoncino per andare a trovare il marito giu' al pascolo. Tre posti anteriori, madre, Chako (nostro compagno d'avventura direttamente dalla Grande Mela), Luca, Attila, Gengis. Posto per il bagaglio, ovvero l'intercapedine tra i sedili anteriori e la lamiera, il sottoscritto e otto capretti, che trasferiamo per ragioni sconosciute.
Pochi belati dopo lo sterrato giunge al termine, attraversiamo una pietraia ed eccoci al pascolo. Il marito ci accoglie con gioia, scarica i bambini e i capretti e ci invita ad andare a prendere da bere. Espressione equivoca, come capiamo in pochi minuti. Andiamo a prendere l'acqua.

Centro della Mongolia. Due gradi, fissi. Quattro uomini intorno a un pozzo. Giu' il secchio con la corda, su il secchio con la corda. Riempiamo due taniche e un barile che poi trasportiamo con numerosi improperi lungo la strada scoscesa fino al furgone. E poi, secondo giro. Niente da annotare, a parte una certa difficolta' nel compiere esercizi ginnici, per il resto della giornata.


mercoledì, aprile 16, 2014

In the middle of nowhere

GIORNO 16, DA QUALCHE PARTE, MONGOLIA

L'alba regala un'amara sorpresa. La pioggia, scesa insistente nella notte, si e' trasformata in neve che per l'ennesima volta ci regala un paesaggio surreale. Ieri pomeriggio, a poche centinaia di metri, ho camminato sulle dune di una striscia di deserto, una propaggine del Gobi spintasi in modo ardimentoso fino a nord. Zone climatiche sovrapposte, qualcosa mi sfugge.

Comincio a pensare di aver equivocato le parole dei giorni precedenti, nelle quali si accennava a un 'trasporto in cammello'. Incredulo, oltre il limitare della gher, scorgo quattro placidi cammelli innevati. Paese che vai, usanze che trovi.
E quindi eccoci, di li a poco, seduti tra una gobba e l'altra, ondeggiare in quella terra sconfinata. Addosso due paia di pantaloni, due felpe, giacca, sciarpa, cuffia. Il vento della Mongolia non perdona, due gradi nell'aria, raffiche come schiaffi sul volto, terra, e neve, e sabbia chiazzata di bianco, e tutto intorno il nulla. Splendido, nulla. Sguardo che vola in ogni direzione senza trovare ostacoli, solo dolci chine di montagne troppo antiche per occludere la vista, chilometri e chilometri senza una pianta, un albero. Una terra ostile punteggiata soltanto qua e la da puntini bianchi, le gher e gli accampamenti di chi, nonostante tutto, ha deciso di restarci, nel nulla.