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giovedì, aprile 25, 2013

Quiete

GIORNO 10, UDAIPUR, RAJASHTAN

Molti gli interrogativi da sollevare oggi. Giornata difficile, bisogno di quiete, difficile da trovare in un vortice di clacson, moto motorini e similari che ti sfiorano, mucche che pascolano agli angoli delle strade, voci che ti richiamano per offrirti l'imperdibile ennesima attrazione per turista. Venti ore passate disteso a letto, con quale rara apparizione sul terrazzo dell'hotel e frequenti allucinazioni sonore.

Alle quattro di mattina ho sentito la banda. Proprio quella delle majorettes e delle divise, con il ritmo scandito dalla grancassa e le sezioni di fiati affannati. L'averla rivista, dopo poche ore, guidata da due dromedari, non so se mi abbia consolato e convinto di una improvvisa forma di follia. 
Lasciato l'hotel, a spasso fino a sera inoltrata quando il treno in poco piu' di cinque ore mi catapultera' a Ajmer, alle 3.40 di mattina. E poi via, in tuk tuk, verso Pushkar.

Intanto ho capito tre cose che mi sfuggivano mentre ero in perfetta forma. Primo, puoi capire un paese dall'acqua. Un luogo dove non puoi bere dal rubinetto, dove vedi donne fare il bucato il laghi costellati da galassie di spazzatura galleggiante, e' un luogo che soffre, e si inabissa lentamente in problemi ormai insormontabili. 
Secondo, non esiste la quiete. L'idea di parco, aiuola, spazio verde, nel quale respirare, riposare, prendere una pausa, non e' un concetto che puo' essere realta'. I rari spazi sono accessori, semplicemente decorativi, chiusi da pesanti cancelli o protetti da filo spinato. Fazzoletti di prato all'inglese che abbelliscono l'ingresso delle caserme militari.
Terzo, il mio non stare bene mi impedisce di apprezzare le cose. Sottolinea gli aspetti negativi e mi priva della predisposizione a cio' che e' differente.

Bisogno incessante di riprendere la retta via.

mercoledì, aprile 24, 2013

Rajashtan, parte prima

GIORNO 9, UDAIPUR, RAJASTHAN

Arrivato in Rajasthan, sette di mattina e un sole che annebbia la vista, le case color indaco di Udaipur. 
Dopo le ventiquattro ore di autobus per scendere dall'Himalaya a Delhi, dodici ore su un treno che sembra l'arca di Noe', l'ultima occasione utile per salvare l'umanita'. Venti, venticinque, trenta vagoni di donne colorate, uomini dal viso scavato, sacchi di riso. Una coppia di mucche, due capre, un paio di polli. Ignaro se fossero viaggiatori o cibo freschissimo per la traversata.

Stomaco a pezzi per l'esperimento culinario di ieri: abbandonare la dieta di basmati per passare a qualcosa di diverso. Una specie di insieme di verdure e strani condimenti, finito a forza: pessimo errore. Minuscole spezie sconosciute che mi tolgono la capacita' di camminare lucidamente, di pensare. Uno stato permanente di alterazione. D'accordo, c'e' chi pagherebbe per questo, ma quando si e' in giro per l'India con quaranta gradi fissi in testa non e' proprio lo stato ottimale.
Testa frullata dalla bocchetta dell'aria sul viso, tutta la notte. Insomma, grande stato di forma.

E il caldo, quello vero. E il turismo, quello finto, dei gruppi organizzati. E la citta', che si sveglia lentamente al suono dei tuk tuk.
Benvenuti a Udaipur.