Proust a porter
GENOVA SAMPIERDARENA
Sono passati tanti di quegli anni, che quasi non ricordo il piacere di scrivere. Di far uscire parole, dopo parole, dalla testa. Non quello scrivere metodico e misurato delle mail, dei bandi, dei progetti, per i quali ti sembra necessaria una grande concentrazione. E ogni rumore ti distrae. Ma uno scrivere che nasce automaticamente, si modella con le sensazioni, lascia trapelare la musica che ascolti come raggi di sole nel fogliame.
E i pensieri tornano a girare. A mente lucida ti rendi conto di quanto ogni piccolo evento ti condizioni, a patto che tu abbia l'apertura e la tranquillità per poter ascoltare, che tu non sia vincolato dalla narrazione univoca e stordente che vomita dal tuo cellulare.
'Hay caldo de gallina', il primo cartello che leggo uscito dalla stazione di Genova Sampierdarena. C'è brodo di gallina, un grande classico sui menù di buona parte del Sudamerica. Come un giovane Proust il ricordo mi colpisce con una forza inaspettata. Certo, con meno eleganza dello scrittore, che inzuppava una madeleine nel tè. E da li parte un'associazione di pensieri: brodo, bolivia, musica. Ripenso a qualche brano che non sento da anni, visualizzo la forma allungata del lettore mp3, al piccolo display che fa scorrere i titoli. Non erano tanti: forse venti, trenta canzoni, un paio di cd usando un'unità di misura del tempo. Chi entra e chi esce, ogni settimana, come la classifica di Los Quarenta, in un compendio musicale che è specchio dello stato d'animo, e che in viaggio lascia spazio a canzoni locali, a ballate on the road, a un pezzo sentito in un locale. Jump around a La Paz. La colonna sonora di Amores Perros, sulla costa del Perù. Gli Inti Illimani, salendo in altura.
Improvviso una playlist, e scrivo, come se fossi li. Per le strade una curiosa mescolanza di sudamerica e focaccerie, strade operose di cantieri e vicoli, una brezza tesa che sa di mare e ceviche. Genova sa sempre come sorprendermi.








 
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