Ventiquattro
Ventiquattro ore. In autobus, su e giu per le Ande, tra Lima e Cuzco. Che in linea d'aria sono poco piu' di cinquecento chilometri, ma diventano mille e cento seguendo il tortuoso percorso che lambisce l'Oceano Pacifico, si butta poi nel misterioso deserto di Nazca e infine su per le montagne, tornante dopo tornante. Partito alle undici, arrivato alle undici e un quarto. Un giorno quasi cancellato dal vivere su una poltroncina tra bambini che mangiano pannocchie e signore andine che raccontano barzellette in quetchua.
Un buon tempo considerando che abbiamo perso un paio d'ore intorno a mezzanotte per la rottura di un freno. E quando tutti gli uomini sono scesi a dare un'occhiata, secondo la vecchia teoria che piu' si guarda piu' si ripara, sono andato con loro. All'inizio erano un po' diffidenti. Ma quando hanno sentito che anch'io davo la mia teoria, come ogni uomo che guarda i lavori, si e' instaurato un rapporto di fiducia e complicita'. Quando siamo diventate quindici persone a guardare il meccanico che lavorava, lentamente mi sono defilato. Su cinquanta passeggeri mi sembrava ci fosse gia' un'ottima rappresentanza.
Resto del viaggio tranquillo. Impatto con Cuzco. Manca l'ossigeno. E sono ancora solo a 3400 metri. Ah, e viaggio nuovamente da solo. Imprevisti. Piove, stagione delle piogge a Cuzco. Ho preso un poncho. Citta' di gringos. Mi sento a meta' tra i peruviani che non mi sopportano in quanto turista e gli americani che non mi piacciono.
Resto del viaggio tranquillo. Impatto con Cuzco. Manca l'ossigeno. E sono ancora solo a 3400 metri. Ah, e viaggio nuovamente da solo. Imprevisti. Piove, stagione delle piogge a Cuzco. Ho preso un poncho. Citta' di gringos. Mi sento a meta' tra i peruviani che non mi sopportano in quanto turista e gli americani che non mi piacciono.
Obiettivo, acclimatarsi. Trovare una via, un modo di essere. Respirare.
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