L'auberge espagnole
Ho come l’impressione di un cambiamento nell’aria. Forse gente che va, gente che viene. Perchè sta arrivando chi si farà qua l’estate, per lavorare, stare un po’ al mare, imparare lo spagnolo. In fondo nei prossimi mesi dicono che passeranno di qui qualcosa come sei milioni di turisti. Intanto chi è qui per studiare inizia a completare progetti, preparare esami. Si ha tutti un po’ meno l’intenzione di stare in aula e in biblioteca e un po’ più la necessità di starci.
Fatto sta che venerdì sera festa in spiaggia, ancora freddo nell’aria ma sabbia che scotta. Cinque spagnoli, tre francesi, un’americana, novantotto italiani. Sabato festa in appartamento, qualche tedesco in più ma italiani che spuntano da ogni angolo. Penso sia perchè gli italiani non si tirano mai indietro quando c’è da divertirsi. E non è detto in senso negativo. Si può benissimo studiare, lavorare, imparare, progettare di giorno, senza lasciarsi però assorbire da tutto questo. Senza essere il proprio lavoro, senza tagliare tutto il resto, anche con un esame che incombe. Cosa che uno svedese o un giapponese penso non farà mai. Per via di una mentalità che apprezzo ma non condivido; o meglio, non in assoluto. Non tutta la vita, non in ogni occasione, in ogni istante.
Così il mio appartamento spagnolo (o il mio auberge espagnole, che fa più fascino), la mia vita spagnola, è sempre più bianca rossa verde. Che poi “auberge espagnole” è il titolo di un film che parla di un ragazzo che va in erasmus in Spagna con tutti i luoghi comuni che ne seguono, con la danese che mangia solo biscotti al burro, col tedesco e le lattine di birra, con l’italiano uè uè. E me lo devo vedere. Per dare un tocco internazionale a questa Little Italy.
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