domenica, dicembre 28, 2008

Ovemai

A volte penso di avere la chiave per risolvere tutto. Basta l’ottimismo, la determinazione, il non lasciarsi abbattere da quello che può succedere. Avere calma, pazienza, sorriso.

E’ sufficiente continuare a costruire, a sognare. Dimenticare le parole lontano, impossibile, un giorno, non posso, non è la cosa giusta, perchè io, quando mai. Non avere paura delle scelte, dei bivi, dei cambi di direzione. Giusto o sbagliato che sia ogni passo che facciamo è un passo in avanti, un rompere quella stabilità che ci lascia con l’amaro in bocca, con la voglia di provare una sensazione. Il che non significa saltellare da una parte all’altra senza ragione: il più delle volte è più difficile seguire una strada già tracciata che imboccarne una nuova.

Certo, credo a quello che dico. Profondamente, aldilà del luogo comune, della frase fatta, del già sentito, dello scontato. E provo a condividere questa filosofia con chi mi sta accanto, con le persone che incontro, con chi si lamenta senza rendersi conto di avere piena libertà, capacità di azione e decisione.

Ma posso avere anch’io un attimo di sconforto. Posso disinnamorarmi della vita, delle possibilità. Posso essere estremamente cinico, pragmatico, attenendomi a quello che vedo, a numeri che parlano da soli. Posso creare una consuetudine che non mi dia più modo di capire le cose. Posso dimenticare le esperienze, i libri, gli sguardi, le emozioni e vivere tranquillo. E in quel momento non voglio che qualcuno mi rinfacci i discorsi che ho fatto, i propositi di speranza, i sogni.

Ma voglio che un altro mi parli delle sue ambizioni, di come sta inseguendo un obiettivo irraggiungibile, di cosa sente quando capisce quanto è lunga la strada. E voglio riuscire a dargli ragione.

domenica, dicembre 14, 2008

Il popolo del surf

Aspetterò la piena a Ponte Milvio. Con queste parole il sindaco di Roma ha ben pensato di rincuorare i propri concittadini, colpiti dalla psicosi generale dell’aumento del livello del fiume Tevere. Con tanto di secchiello e paletta, seduto sull’argine, pronto in caso di necessità a togliere l’acqua di troppo.
Il fatto è questo: la pioggia eccezionale c’è stata, otto virgola sei centimetri d’acqua in una sola notte, che convogliati da affluenti e scarichi nel letto del fiume ne comportano un aumento di livello di una decina di metri. D’accordo. Esattamente si è arrivati a dodici metri e cinquanta, ben lontani dalla piena di sedici metri anni settanta o dagli oltre diciassette di inizio secolo.

Non dico che i disagi non ci siano stati: stazioni allagate, sottopassaggi impraticabili, tombini otturati che non riescono a smaltire l’acqua in eccesso. Ma la situazione è stata amplificata in modo inaspettato: si è parlato di Roma sommerse dalle acque, di inondazioni previste per lo straripamento del fiume. E la sera della piena erano tutti lì, sul lungotevere, ad aspettare l’onda. Che ovviamente non esiste. Il livello sale piano piano, magari di una decina di centimetri in una serata, eppure il pubblico assiepato sugli argini era proprio convinto di dover aspettare un’onda distruttiva, a mezzanotte, alle tre, non si è mai capito bene quando. In fondo costa meno del cinema e del teatro, ed è comunque uno spettacolo dignitoso. Preti in preghiera sull’isola tiberina, che si trova a un livello più basso rispetto all’argine e se la è quindi passata male. Protezione civile che dispone sacchetti di sabbia, polizia ad ogni ponte, foto ricordo con gli alberi sommersi. Almeno in questa confusione abbiamo imparato qualcosa: una parola nuova, esondazione, che rende tutti immediatamente esperti quando la pronunciano. E anche che i grandi muraglioni che imprigionano il Tevere nel suo corso sono stati costruiti da Garibaldi, che oggi non è più solo l’eroe dei due mondi ma anche, in un certo modo, l’eroe di Roma.

giovedì, dicembre 11, 2008

Il lento divagare

Sembra che attorno tutto stia rallentando, che ci sia la necessità impellente di frenare, fino quasi a fermarsi. Niente più vita frenetica, fast food, flash news. Ritorno alla quiete, alla calma.
Sarà solo un'impressione, o il natale che si avvicina e rende le persone pazienti e disponibili, o la neve che nasconde la fretta e blocca i camion alle frontiere.
Ma negli ultimi giorni mi sono ritrovato a viaggiare a velocità dimezzata. Ho cucinato con calma senza la smania dell'apporto energetico, soffermandomi a guardare la superficie dell'acqua nella pentola che trema prima di bollire. Sono stato a teatro e lo spettacolo mi è sembrato così lento, scandito, quasi che il pubblico avesse bisogno dello spelling per capire bene le parole, per avere il tempo di pensare a quello che stava succedendo. E ho visto la mostra di un genio della video-art che gira video a trecento fotogrammi al secondo invece dei classici ventiquattro, per poter dilatare la visione e il tempo, sfumando un'espressione del volto in lunghe sequenze di interminabili micromovimenti.

E poi piove, vedo un lampo di luce che illumina la finestra e poi conto i secondi. Uno, due, tre, trecentoquaranta metri di distanza per ogni secondo che passa. E nessun tuono arriva mai prima del tre.
Quasi che anche il fulmine voglia rallentare, prendere un bel respiro prima di farsi sentire. Senza fretta, facendo le cose con la giusta cura, dando la giusta importanza ad ogni frazione di tempo.