lunedì, aprile 30, 2007

Ping Pong

Cina batte America. L’unico episodio che ricordo è del 1971, mondiali di ping pong, in Giappone. Statunitensi massacrati mentre Mao Tse Tung e Nixon se la ridono in tribuna, dando inizio a un periodo di riavvicinamento dopo le passate tensioni politiche. Per la cronaca, la leggenda vuole che giocasse anche Forrest Gump. Da li in poi abbiamo sempre pensato allo strapotere Usa da una parte e ai cinesi curvi nei campi di riso dall’altra. Ma negli ultimi anni non è stato proprio così.
Ormai la Cina è una realtà, concreta, che avanza. Cuce più vestiti e scarpe di chiunque altro al mondo. E’ il primo produttore di giocattoli. E’ lo stato che vende più televisori. In fondo, se ci si pensa bene, un essere umano su sei è cinese. Ed è una nazione che coniuga un’incredibile crescita tecnologica con un’arretratezza diffusa. Infatti è uno dei pochi paesi al mondo ad usare ancora il carbone, di cui è ricchissima. Carbone che nell’immaginario collettivo è collegato a treni del far west, a vapore; beh, lì ci sono davvero.
Ma la Cina è anche il maggiore investitore in energie rinnovabili. E’ il paese con la prima centrale eolica a levitazione magnetica. Cosa sia, come funzioni e perchè, proprio non ne ho idea. L’unica cosa che ho capito è che lavora meglio di una centrale eolica (nome più difficile uguale idea migliore), soltanto che non si può decidere quanta energia produrre. E non si può accumulare, neanche attaccando un miliardo di pile beghelli allo spinotto d’uscita.

In realtà oggi Cina batte America in una regata di vela. China Team, l’equipaggio peggiore che accumula chilometri di distacco ha compiuto l’impresa sconfiggendo Oracle. Poco conta che la barca americana abbia spezzato un cavo d’acciaio in partenza lasciando che la vela di prua se ne andasse per conto suo. Poca conta che l’altra unica vittoria cinese sia arrivata per ritiro degli avversari. Il tabellone oggi recita Cina 2 America 0. Il sorpasso è iniziato.
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sabato, aprile 28, 2007

Esercizi di stile

Cammino tra la confusione del porto America’s Cup. Gente incravattata e indaffarata nelle basi dei team, atleti sugli schermi e tra le onde. No hay segundo, There’s no second, è il motto di questo incredibile evento sportivo. Per ricordare a tutti che c’è un solo vincitore, un solo equipaggio. Ma a volte penso sia anche per sottolineare una certa questione di stile, una sorta di presa di distanze dal ‘normale’ e dal ‘comune’. Un trofeo che conta meno sugli sportivi e più su tutto quello che ruota attorno, con sponsor, investimenti, merchandising. Mai avrei pensato di trovare nei negozi dei team sci da discesa libera griffati Alinghi e macchine per il caffè in edizione limitata. Mai avrei immaginato di vedere Lapo Elkann che sfrutta i problemi caduti su +39 per pubblicizzare la sua società di comunicazione, tralaltro non ancora fondata. Mai avrei previsto la proliferazione incontrollata attorno al porto di vip lounge bar, tralaltro deserti.
Certo è che gli occhi del mondo sono puntati su Valencia e questa trentaduesima edizione della coppa, trasformata in un gigantesco showroom all’aperto. E allora tutto è immagine, apparenza. E gli svizzeri, prima di tutti, sanno come impressionare e dare sfoggio di ricchezza e sicurezza. Base modernissima, tre scafi in cantiere, otto barche d’allenamento, sedici gommoni, tre yacht per seguire le regate, campetto da basket, barca simulatore da venti metri, decine di biciclette elettriche. E merchandising sfrenato, beninteso.

giovedì, aprile 26, 2007

Altri mondi

E’ stato scoperto un nuovo pianeta. L’ultimo di una lunghissima serie. La buona notizia è che è uguale alla Terra. Leggermente più grande, ma pare per il resto molto simile. Si trova verso la costellazione della Bilancia, a solo 20,5 anni luce di distanza: tante rocce sicuramente, forse anche alberi e prati fioriti. Perchè la temperatura dovrebbe essere tra zero e quaranta gradi, quindi con acqua allo stato liquido, scoiattoli mammuth e merluzzi. Nessuna stagione anomala, nessuna siccità già in primavera, nessuna previsione di estate torrida. Se non altro perchè un anno sul simpatico pianetino dura tredici giorni. Infatti ruota attorno a una stella nana rossa, chiamata amichevolmente Giese581, decisamente più piccola del nostro Sole.
Una volta guardavamo il cielo e ci facevamo tante domande, formulavamo ipotesi, senza poter mai avere nessuna conferma, nessuna conoscenza sulla quale lavorare. Lentamente abbiamo scoperto l’immensità che ci sta intorno, pezzo dopo pezzo, anche se la strada da percorrere è sempre lunghissima. E ogni nuovo tassello che aggiungiamo alla nostra mappa celeste riapre l’affascinante ipotesi che ci sia qualcun altro, là fuori, oltre a noi.
Chissà, forse proprio oggi gli abitanti del pianetino potrebbero aver scoperto la Terra. E potrebbero viaggiare con la mente fantasticando su altri mondi.

martedì, aprile 24, 2007

Pisa - Barcelona sola andata

Ho passato la notte a Pisa. Per strada, sta diventando un’abitudine. Poche ore dopo mi sono svegliato a Barcelona. Non posso veramente chiedere di meglio. Nel giro di ventiquattrore tre treni, autobus, metro, di nuovo autobus, torre pendente, Gaudì e arrivo a casa. Si insomma, a Valencia.
Perchè come d’improvviso ieri notte ho capito che l’aeroporto chiude, se non ci sono voli. Esattamente tra l’una e le quattro e mezza. E fuori fa ancora freddo, specie per chi come me ha lasciato a casa la giacca con baldanzoso spirito estivo. E quindi via, attraverso tutta la città fino a piazza dei miracoli, deserta, splendida. Solo piccole luci e bianche cattedrali, prati verdi nel centro storico, riflessi immobili sull’Arno. Poi ore di aeroporto, cancellazioni, ritardi. Fino a perdersi finalmente nella metropoli catalana, forme moderne e primitive, confusione e centro del mondo. Impressioni di bellezza e luce, ampi respiri d’arte e dinamismo. Dalla piccola piazza fino alla folla della Rambla, passando per il quartiere gotico, Montjuic, il porto, il villaggio olimpico. Una città che in un questa splendida giornata cede il grigio dei palazzi per rinascere in un tripudio di musica e colori.
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lunedì, aprile 23, 2007

Rosa dei venti

Quando si parla di elezioni l’Europa si scuote. Va in scena proprio in queste ore il primo turno del duello per le presidenziali francesi. E tra un Sarkozy e una Royal mi è difficile capire quanto in realtà la mia vita potrà cambiare per opera di uno di questi personaggi. L’unica cosa che mi è chiara è che in Francia o sei da una parte o dall’altra. Come dovrebbe essere. O meglio non tutto è o bianco o nero. Ma ci sono programmi chiari, posizioni precise, obiettivi diversi. Ci sono candidati che parlano nelle banlieu solo se hanno qualcosa da dire, qualche progetto in mente. Non come i politici italiani che parlano sempre di tutto e questa sera non perdono l’occasione per andare in tv a tifare per diverse fazioni. Quindi scegli, o questo o quello, e sai cosa ti aspetta.
In Italia invece la differenza non c’è: partiti identici da una parte e dall’altra, declinazioni di una stessa identica origine. Come quando si legge una rosa dei venti con i punti cardinali: nord, nordnordest, nordest, nordestest, est. E’ la stessa cosa: sinistra, sinistra radicale democratica, sinistra democratica centrista, sinistra destrista accentrata e così via...

Ma la giornata di oggi è soprattutto la classica domenica nella quale lo sport fa da padrone e infila emozioni una dopo l’altra. L’Inter vince lo scudetto, il quindicesimo della sua storia, esultanza tutta la notte in piazza duomo. Prima vittoria esterna del Parma, esultanza tutta la notte a casa mia. E’ anche la prima volta che vedo Valentino Rossi arrivare decimo dopo essere partito in testa, colpa delle gomme che praticamente si sciolgono. Intanto tornando agli scudetti il Celtic in Scozia vince il quarantunesimo. In Francia è il Lione a conquistare il titolo. Nel tennis Nadal batte Federer, Italia femminile sconfigge Cina. Domani riparto per Valencia, e vado a vivere un po’ di sport in diretta, con l’America’s Cup e che mi attende.

sabato, aprile 21, 2007

Fiducia da strada

Premessa, sono di nuovo in Italia. Durante la consueta rapida escursione a Bologna mi è capitato di incontrare due turisti giapponesi. Marito e moglie credo. Niente di strano, la città è piena di turisti. Macchine fotografiche, cappellino alla pescatora, scarpe da trekking, guida tascabile e mappa della città. Un po’ persi, disorientati, li sento discutere e nonostante il mio giapponese sia un po’ arrugginito capisco che non sanno dove si trovano. Sfodero il mio miglior inglese e chiedo gentilmente se hanno bisogno d’aiuto. Subito si spostano, mi guardano storto, usano la cartina come scudo. Pensano che io sia la classica guida abusiva, uno di quei personaggi che si mostrano carini e disponibili e poi ti chiedono venti euro per averti detto ‘per il centro sempre dritto’. Una sorta di Totò truffatore che vuole vendergli la fontana di Trevi.

Penso che non c’è più fiducia nel prossimo. Forse a ragione, di questi tempi è difficile pensare alle cose semplici. Come che un passante voglia aiutarti senza guadagnarci qualcosa. Penso anche che i luoghi comuni si radicano sempre di più nelle nostre menti. Che in fondo le dicerie, le generalizzazioni, sono le vere caratteristiche di un popolo. Mi hanno detto che i norvegesi sono freddi e scostanti. Che gli italiani all’estero si fanno riconoscere perchè parlano sempre con ragazze e urlano per le strade. Che gli inglesi al pomeriggio bevono tè. Ho visto giapponesi e tecnologia, tedeschi e birra, spagnoli e paella, brasiliani e calcio. Tutto diventa sempre più squadrato, omologato. Copia di una copia.

Post Scriptum. A Valencia intanto, dopo quattro giorni di bonaccia, torna il vento e parte l’America’s Cup. Mascalzone Latino compie l’impresa e batte i neozelandesi. Luna Rossa vince facile. E per questa volta devo accontentarmi di festeggiare davanti alla tv.
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mercoledì, aprile 18, 2007

Mille più uno virgola otto

Mille contatti. A tanto è arrivato questo piccolo blog in poco più di due mesi di vita. Che poi i visitatori cosìddetti “unici” sono più o meno trecento. Ovvero ognuno ha aperto la pagina e poi se la è letta tre volte. Magari ha solo guardato le figure. Magari ha cambiato subito, per sbaglio, per volontà, per disinteresse. Restando nel tempo perfetto degli 1,8 secondi. Questo il tempo di visualizzazione medio di una pagina web, a detta di studiosi di comunicazione.
In un informazione che si fa caotica, rapida, nella quale i tempi di caricamento sono azzerati così come quelli di consultazione. Si dice sempre che l’Italia vanta più scrittori che lettori, che il fenomeno blog affascina intere generazioni improvvisamente bisognose di parlare della propria vita al mondo. Di fatti banali ma anche di riflessioni profonde, di semplici racconti o di complesse spiegazioni. “Settantuno milioni di blog. Alcuni di essi devono essere buoni”. Così recita un popolare sito di bloggers.

Certo non ho la pretesa di considerare buono o letterario ciò che scrivo. Sono soltanto le parole di un viaggio, delle impressioni colte giorno per giorno. Un diario che sfoglio per ricordare momenti, persone, esperienze. Ma resta pur sempre il piacere di incontrare qualcuno lungo la strada che si fermi ad ascoltare ciò che hai da raccontargli.

martedì, aprile 17, 2007

Immagini

Sento un fiume di immagini che scorre nella mente. Foto disordinate, mescolate. Nei giorni che seguono il ritorno da un viaggio la mente ripercorre tutto ciò che si è passato. Quei momenti e quelle sensazioni che è difficile valutare nell’attimo in cui si vivono. Sarà per il sonno quasi inesistente, per le camminate senza fine, per la quantità delle novità che si affrontano.

Guardo le foto scattate che mi parlano dei colori splendidi dell’Andalusia: dalle maglie variopinte appese sui balconi, ai giardini fioriti, alle volte dipinte, alla vespa gialla delle poste. Penso alle risate e alle notti al freddo, a Charlie Chaplin, ai panini e al gaspacho in compagnia di Paolo, Giulio e Ale. Che ha raccontato tutto come meglio non si potrebbe: Home Renty Home

Oggi ritorno nella vita valenciana che apre le porte alla America’s Cup. Regate annullate per poco vento ma splendido sole primaverile, conquilina bruciata al mare e aria di festa.


domenica, aprile 15, 2007

Faccio cose, vedo gente

Giusto per spiegare dove sono stato quest’ultima settimana. In viaggio costante, splendido, attraverso città dal fascino irresistibile. Granada con la sua storia al confine tra popoli differenti, Cordoba e i turisti assiepati nelle viuzze, Siviglia tranquillamente adagiata sul Guadalquivir. E infine Madrid, metropoli dal volto umano, vitale e energica in ogni momento e in ogni luogo.

Fatto cose e visto gente, dormito tra autobus e amici, strade e stazioni, camminato tra tanta pioggia e poco sole. Sospirato davanti all’arte araba, incantato da Goya, Velasquez, Raffaello, stupito ancora una volta dalle opere immense e stupende dell’uomo. Incontrato tante persone, mangiato quando capita, pensato di voler viaggiare sempre. Provato a vivere le città non da turista, evitando le grandi masse, gli americani coi cappellini andalusi, i tedeschi con infradito e cappotto, le gite di studenti annoiati. Percorso ogni vicolo in disparte, dimenticato, seduto in ogni piazza e su ogni gradino, respirato l’aria di un paese senza fretta, senza correre, senza la pretesa di conoscere tutto. Lasciandosi semplicemente pervadere dall’ambiente attorno.

Perchè ogni città ha una storia da raccontare e un volto nascosto che svela solo a chi ha il coraggio di essere paziente.

domenica, aprile 08, 2007

Made in Andalusia

Valigia che sembra uno zaino. Anzi, zaino che sembra una valigia. Vuota. Perchè non so cosa prendere su, non so neanche di preciso dove sto andando. Voci di corridoio parlano di Granada, Cordoba, Siviglia, Madrid. Un po’ da amici di amici, un po’ sulla strada. Immancabile macchina fotografica, monodose di gaspacho, vaschetta di pasta per sopravvivere domani che tutto è chiuso. Immagino milioni di spagnoli che vanno al mare, col freddo, le nuvole. E io che indosso quattro maglie per non gelare di notte. Certo, fossi andato a studiare in Islanda sarebbe stato peggio.
Ho l’immancabile guida dell’Andalusia anni sessanta, ricordo di un viaggio di qualche parente hippie. Una cartina di Siviglia, con indicazioni in italiano, forse trovata nell’uovo di Pasqua. Gli appunti di storia del jazz, la voce di Billie Holiday in testa. Scarpe per camminare, pantaloni arrotolati nella borsa, occhiali viola a goccia da figlio dei fiori, braccialetti che non servono a niente.

Certo è che il blog se ne stara zitto per un po’, a meno di improbabili connessioni wifi (inteso come senza fili ma anche senza computer) in giro per la Spagna. Solo un paio d’ore. E via.

Consigli per gli acquisti

Voglio fare un po’ di pubblicità. Perchè poi qualcuno va in vacanza a Valencia, pensa “adesso mi cerco su internet qualche posto carino dove andare la sera mangiare tacos e sentire gente col sombrero che suona le maracas” e invece non trova niente.

La prima cosa che penso io è che tacos e sombrero stanno in Messico, non in Spagna. La seconda è che devo consigliare almeno un paio di locali. Perchè qua la buona musica è merce rara, quando uno gira una città in tre giorni deve andare a colpo sicuro. C’è un locale proprio in centro che si chiama Pinball. E il nome dice già molto. Che poi sta in centro ma in uno di quei vicoli che non vede nessuno. Infatti un saggio diceva che per trovare le cose più belle basta uscire dalla via principale. Arrivi e ti sembra di entrare nei favolosi anni sessanta. Così favolosi che chi è nato negli anni cinquanta sta ancora rosicando di aver sbagliato di qualche anno. E anche chi è nato nei settanta sta rosicando, un po’ meno perchè comunque è più giovane. Fatto sta che tutti volevano nascere nei favolosi anni sessanta. E infatti c’è la classica palla a specchietti che gira, c’è nell’aria musica di quando il rock and roll era la vera rivoluzione, tutti stavano un po’ più tranquilli e un po’ più colorati. Poco lontano un altro locale, il Turmix. Musica che mi piace definire ‘d’autore’. Storia del rock, forse un po’ più grunge post beat pre punk core, insomma quei pezzi che ti danno qualcosa, grandi classici, lontani dal filone valenciano del discotecaro abbronzato.

E poi la strada. Che è il vero punto di ritrovo di una città, come da noi penso non sia più. Con due chitarristi fantastici in piazza alle cinque del mattino. Con gli spagnoli orgogliosi e un po’ molesti. Con gli italiani, sempre e comunque. Con i portoghesi, in cerca di festa. Con tutti coloro che semplicemente si divertono con le persone con cui stanno.
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giovedì, aprile 05, 2007

Pioggia indifferente

Mi sono trovato a pensare che le cose cambiano significato a seconda di come le viviamo. C’era un prato, vicino a casa, quando ero bambino. Giocavo a calcio in mezzo ai fiori bianchi e gialli, alla cavallette. Solo d’inverno mi accorgevo che in realtà il prato era una discesa , perchè scendevo con lo slittino sulla neve. D’estate non mi rendevo conto che l’erba in realtà si inclinava piano piano continuamente. Ora capisco perchè era più facile segnare in una porta piuttosto che nell’altra. O come quando si va in vacanza al mare, un giorno piove e si pensa che non è giusto e che di sette giorni già uno si è bruciato. Poi magari qualche mese ci vivi al mare, e dopo un po’ capisci quella perfetta armonia, senti i temporali che arrivano, i venti che soffiano e le maree che cambiano. Ma il freddo e la pioggia di questi giorni proprio non me li aspettavo. Sarà che ancora non sento “mia” questa città, continuo a viverla di passaggio, distrattamente.

Se un mattino ti alzi per stare solo coi tuoi pensieri la città che ti circonda non ha più senso. Può essere un qualunque crocevia di strade e persone, case imbiancate e luci notturne. Se vai in giro senza ascoltare è inutile che le persone parlino, differenze di lingua non hanno alcun senso. Sarà l’abitudine, o già lo sguardo proiettato sul futuro. Comunque finalmente ho il tanto sospirato biglietto per Granada. E questo basta per riaccendere la voglia di vivere quello che mi sta intorno.

martedì, aprile 03, 2007

Italian pride

Oggi la conquilina mi saluta dicendomi che inizia la Coppa America. Che poi non è vero, mancano due settimane. Ma oggi c’è questa falsa partenza, l’ultima prova di “qualificazione” nella quale le barche si fronteggiano tutte insieme. In uno spettacolo unico. Sette gare in quattro giorni.
Mi precipito al porto, rapido giro tra le basi dei team e poi sdraiato in un prato, davanti al maxischermo. Come se fossi sul divano di casa. Con la differenza che qui mi alzo, mi giro verso il mare e vedo davvero gli equipaggi che lottano tra acqua e vento. Ma seguire una regata è piuttosto complesso, è più facile avere una ripresa dall’elicottero, trenta gommoni con telecamere, simulazione virtuale e commento tecnico. In spagnolo, pessimo tralaltro.
Di fianco a me è seduto il figlioletto di un grinder di Oracle. Che non sta mai zitto (il figlio, non Oracle). Poco più in là ci sono le riserve svedesi, il cuoco dei sudafricani, un massaggiatore tedesco.

Fatto sta che la gara è stupenda: errore enorme di Alinghi, campione in carica, proprio in partenza. Sfida apertissima, condizioni instabili. Come per magia due barche italiane, perfette, davanti a tutti, con Luna Rossa che arranca nelle retrovie. Figlioletto che commenta “china sucks”, quando la barca del papà si trova a lottare coi cinesi in ultima posizione. I più forti faticano, Alinghi recupera, l’Italia lanciata verso la prima vittoria. Quando proprio nell’ultimo quarto di gara il vento sparisce in ogni angolo di mare, le vele si sgonfiano, si rompono, si incastrano. Tranne quella di Oracle, che passa tutti e vince. Secondi i sudafricani che se non altro per il nome (Shosholoza) qualcosa si meritano. Mascalzone Latino terzo, Luna Rossa settima, +39 soltanto decima dopo un’ora al comando. Ma è solo l’inizio.
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lunedì, aprile 02, 2007

Quota quattromila

Fine del silenzio stampa che stava imperversando sul blog. Causato da tanti piccole eventi, il maggiore dei quali viene chiamato così dal mio computer: connessione limitata o assente. Perchè nel mondo della tecnologia ancora non siamo in grado di collegarci alla grande rete ovunque ci troviamo. Quindi se i vicini partono per un improbabile weekend al mare e tu eri attaccato al loro modem la questione si fa complessa. Sia chiaro, perchè in Italia la mia modesta linea telefonica è contesa da tanti operatori. Ovvero arrivano le offerte e poi ti lasciano un paio di mesi senza internet, spiegandoti che è per “motivi tecnici”. Penso sia un po’ come quando a scuola firmavo le giustificazioni d’assenza, “motivi di salute”. Perchè magari non avevo voglio di alzarmi dal letto.
Fatto sta che il ritorno a Valencia mi ha restituito contatti virtuali col mondo, primo giorno ufficiale di America’s Cup e sindrome da jet-leg. Il che scientificamente significa difficoltà di adattamento corporeo alle modifiche di orario che occorrono quando si effettuano lunghi viaggi in aereo e si attraversano diverse zone del globo. Problemi col fuso orario, che tralaltro non c’è. Ovvero l’ora in Spagna è uguale a quella italiana. Però mi sento in diritto di avere anch’io il mio jet-leg, se non altro per i 4000 chilometri fatti in sette giorni, tra aereo, viaggi all’università, visite di piacere e non.
Quattordici ore di sonno e via, come nuovo.
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