martedì, maggio 20, 2014

Trentatre

GIORNO 50, DON DET, LAOS

E' trentatre, il nuovo record di persone caricate su un tuk tuk. Un bel tuk tuk, non c'e' che dire, con tanto di teli avvolgibili antipioggia ai lati e tre file di sedute. Novita' importante, la seduta centrale. Un ingegnoso espediente che funziona soltanto con il seguente schema: gamba destra del passeggero esterno, gamba sinistra di quello interno, sinistra esterna, destra interna. E cosi' via. Una serie di improbabili accoppiamenti, scardinati di tanto in tanto da qualche agente esterno, per esempio il celeberrimo sacco di farina. 

Carico cosi' composto: tre file da nove passeggeri l'una, quattro persone in piedi fuori dal piano di carico aggrappate con noncuranza, due bambini random in movimento. Quattro contenitori di polistirolo 50x70 per il trasporto del pesce, il gia' celebre sacco di farina, due ceste d'ananas, un mazzo di tondini d'acciaio per il cemento armato legati sulla sponda esterna, quattro fioriere di cemento in stile bar sulla spaggia. Piu' una media di 0,75 bagagli a passeggero sul tetto custoditi dal celebre telo copri tutto.
Non male, nonostante le apparenze. Mezzo sempre molto ventilato, il tuk tuk. Un inconveniente, non avere i finestrini, che si fa notare soltanto durante una breve sosta sul tragitto. Dieci dodici provette cuoche locali partono infatti all'attacco sventolando polli allo spiedo sotto le facce degli affaticati viaggiatori, infilandosi in ogni spazio libero per raggiungere i meno fortunati seduti nella linea centrale.

Panorami splendidi, anche se parzialmente oscurati da polli allo spiedo. Discesa lungo il Mekong fino ad arrivare nel suo tratto piu' ampio, dove infinite ramificazioni danno vita alle quattromila isole dell'arcipelago. Uno di quei posti fuori dal tempo e dallo spazio, che si pensa esistano solo nella fantasia degli sceneggiatori. E invece qui, come nel migliore dei film, ci sono anche i delfini. Rosa. E un infinito punteggiare di terre emerse e incontaminate, e piccole barche che risalgono la corrente, e tramonti.
Lasciamo Nakasang con una piccola barca e un giovane svedese venuto a vivere nei campi di riso dell'isola di Don Det. Che sara' anche la mia di casa, per qualche giorno.



lunedì, maggio 19, 2014

Destination Pakse

GIORNO 49, PAKSE, LAOS

Pochi giorni fa da Vientiane a Kong Lo, viaggio semplice, forse per una fortunata coincidenza. Nove persone che hanno deciso contemporaneamente di recarsi in questa amena localita' del Laos centrale, abbastanza per riempire un minivan, trovare un volenteroso autista e percorrere a tempo di record i trecentoventi chilometri del percorso.
Oggi, il problema: andarsene. Situazione complicata, quando non esiste un servizio regolare di autobus o similari, ma l'entusiasmo di Sam, il neozelandese, e' piuttosto contagioso: this is travelling! Ogni disagio, ogni scomodita', ogni trasferimento estenuante diventa nell'ottica di viaggio una formidabile esperienza, mentre nella vita quotidiana sarebbe vista come indicibile sventura e fonte di irritazione.
Sarebbe bello avere lo stesso entusiasmo nell'affrontare il traffico del mattino a Roma o le code in autostrada: una formidabile esperienza! 
E via, siamo qui per questo. Ore otto, Kong Lo, si salta su un tuk tuk. Raccattati altri due viaggiatori, determinati e con birra in mano, si sfila veloci tra due dorsali di montagne nere e taglienti, mentre il sole gia' colpisce con violenza quella terra verdeggiante. Un'ora dopo il simpatico driver ci deposita su un piccolo autobus locale, con corpi boccheggianti appoggiati ai finestrini, fermi in attesa nel piazzale del benzinaio. L'aria calda gia' sale dall'asfalto, in un iride di colori e vapori di benzina.

Tre ore dopo eccoci sulla strada maestra, alla stazione degli autobus di Tha Khaek. Zuppa di noodle per rinfrancare lo spirito, ore 12.30 pronti sul piazzale in attesa della linea per Pakse. Gradi dell'aria, non pervenuti. Magliette evaporate. Dodici e quaranta. Cinquanta. Tredici. Pare che l'autobus abbia avuto problemi tecnici. Ci consigliano di andare a Savannakhet, allungando leggermente, per prendere un mezzo da li. 
Si salta a bordo. Partenza. Sembra di uscire dal parcheggio della Festa dell'Unita'. Che nella mia memoria era uno sterrato ondulato con cespugli intricati ai lati. Velocita' massima consentita dodici chilometri orari. Soltanto che questa volta, l'uscita dal parcheggio, dura tre ore. Un leggero mal di mare, ironico, guardando il deserto attorno.

Savannakhet. Un'ora di scalo. E poi, ultima tratta. L'autobus ha quarantacinque posti, sessanta passeggeri. Che e' il problema minore, dato che qualcuno sta utilizzanto l'autobus come convoglio merci per trasportare quaranta, e dico quaranta, sacchi di riso o similari. Risultato: corridoio coperto da piu' strati di sacchi, passeggeri che camminano ad altezza collo sbattendo la testa sul soffitto, sovrappopolazione. Arrivo registrato a Pakse alle ore 23.50, giusto in tempo per cenare con birra e pacco di patatine. 
E domani, nuovo trasferimento.

sabato, maggio 17, 2014

Sottoterra

GIORNO 47, KONG LO, LAOS

Pho spinge verso il basso la leva del motore. La barca accelera, la prua si solleva appena, le pietre ticchettano sul fondo. La foschia perenne si trasforma in piccole gocce d'umidita' che si appiccicano al volto. Guardo avanti, attraverso il fascio di luce che ballonzola sulle rocce: difficile orientarsi, al buio. 

Pho non sembra preoccupato. Non mi sento particolarmente tranquillo. E' quasi un'ora che ci addentriamo nel ventre della montagna, su questo fiume sotterraneo che nei secoli ha scavato improbabili cunicoli con la maestria di uno scultore rinascimentale. Pareti lisce, immense grotte di stalattiti, gocce che cadono a tratti dall'alto, facendo pensare si tratti solo della piu' nera tra le notti, ma che ci siano nuvole la' sopra, piuttosto che altra pietra. 
Strana tanta oscurita'. Pupille dilatate al massimo, tanto che quando la luce appare dall'altro lato del cunicolo ha un che di irreale, miraggio del viaggiatore perso in uno sconfinato mondo sotterreneo. 
Sette chilometri nel nulla e poi il classico paesaggio idilliaco, con il villaggio di capanne rimasto lontano dalla civilta', la vegetazione rigogliosa, le parabole sui tetti. Perche' non esiste piu' isolamento, ai tempi del turismo globale. E la grotta comincia ad essere un'attrattiva, con il suo andirivieni di piccole barche con stranieri intirizziti e giovani locali capaci di guidare bendati, al buio, senza riferimenti.

Ancora pero' ci si salva dal turismo di massa. Sara' la bassa stagione, le difficolta' nei collegamenti, ma in un'intera giornata passata a sguazzare con i pesci del laghetto avro' incontrato si e no dieci persone. 
A volte uscire dai percorsi prestabiliti puo' avere i suoi vantaggi. Come in questo caso.


giovedì, maggio 15, 2014

Oggetti smarriti

GIORNO 45, VIENTIANE, LAOS

La notizia rilevante di questi lazy days e' che ho perso il telefono. Che, per carita', puo' essere anche un aspetto positivo, se non fosse che il concetto di internet point da queste parti e' stato un po' dimenticato. Ormai il mondo e' wifi. Ognuno viaggia con un dispositivo, un device se vogliamo essere trendy, a volte due. Anzi, quasi sempre due. Perche' lo smartphone e' una specie di prolungamento dell'arto umano, digitalizzato e sincronizzato, che raramente fa ritorno nella sua condizione di oggetto inerte. Quindi non conta. Magari la mail si legge sul cellulare, ma si scrivi da un ipad, tablet, netbook, macbookair. Anche qualche notebook. Con quale coraggio, penso io, avere in uno zaino di sessanta centimentri per quaranta uno schermo da quindici pollici virgola quattro.

Superata la fase dell'oggetto unico e definitivo, a quanto pare. Dopo il fallimento del telefono in miniatura, tanto comodo quanto scomodo, e quello del telefono grosso quanto un palmo, funzionale e impossibile da infilare il tasca. Tutto ritorna ad avere una sola funzione, perche' ora la qualita' conta. Anche troppo.
Vedo migliaia di reflex. Che in un'economia di spazio bagaglio costituisce una percentuale importante. Reflex magari usate in automatico, il che tecnicamente costituisce un ossimoro. Ma questa e' un'altra storia.

Mi stupisco spesso dei bagagli delle persone. Credo che la regola universale dovrebbe essere riuscire a sollevare il proprio zaino. Almeno questo. Ovviamente chi parte con il trolley appartiene a un'altra categoria e non dovrebbe cimentarsi ad uscire dal villaggio turistico all inclusive. 
E sono diventanto molto tollerante. Capisco gli zaini sovradimensionati, fino a un certo punto, pur rimanendo un purista della leggerezza. Insomma, sulla schiena ho un bagaglio da trentadue litri, che secondo le compagnie aeree e' un bagaglio a mano: grossa soddisfazione. E comunque alla partenza avevo cinquantasei oggetti, dico cinquantasei, compresa una gavetta, ovvero una tazza di metallo, che non e' proprio un bisogno primario. Quindi si puo' sforare a cinquanta, sessanta litri. Settanta. Oltre dovrebbe essere richiesto perlomeno un patentito, con tanto di certificato medico e prova cardiaca sotto sforzo.

Anche perche' il contenuto puo' cambiare, lungo il percorso. Ho lasciato un libro in Russia, uno in Mongolia, uno in Cina, lasciato in Vietnam quello comprato il Mongolia, messi nello zaino due comprati in Vietnam. Regalato una felpa, usato come straccio per la moto una maglietta, abbandonato un jeans, comprato un costume da bagno e un paio di ciabatte, ricevuto una canottiera omaggio per due drink. E ora lasciato un telefono, anche se involontariamente, in Laos. Altri cinque centimetri cubi di spazio libero.

sabato, maggio 10, 2014

L'onda

GIORNO 40, VANG VIENG, LAOS

Tante cose programmate sono destinate a saltare. Un po' perche' talvolta si sottovalutano le condizioni, o si crea un'aspettativa esagerata nei confronti di certi momenti. Ogni giorno, ogni periodo della vita, vive in funzione di un'attesa, di un evento programmato, di una contingenza. E, per quanto se ne possano valutare aspetti positivi e negativi, pro e contro, non si e' mai abbastanza vicini da far coincidere il pensiero con il reale.

E poi, a volte, le cose cambiano solo perche' si finisce per dare ascolto a una sensazione. All'istinto. O, come mi piace dire, per seguire l'onda.
Qualche nuovo amico si sposta a Vang Vieng. E' l'onda che si muove, e' quel trend immotivato che fara' di quella particolare citta' un posto migliore da vivere nei prossimi giorni. Poco importa che non sia nei programmi. Si va.
Ed ecco come si ritrovarono a rimirar il paesaggio dal picco di una montagna due italiani, un'olandese, un neozelandese, una tedesca, che neppure nella migliore delle barzellette. Tutti spinti da una sensazione, piu' che da un programma. Mossi da quell'onda silenziosa che rimbalza in quest'angolo di mondo.

venerdì, maggio 09, 2014

Bowling a Luang Prabang

GIORNO 39, LUANG PRABANG, LAOS


Ho visto cose meravigliose. E non intendo soltanto quelle cose che solitamente finiscono sulle cartoline.
Ho visto uno scooter che trasporta un frigorifero. Una ragazza in moto con l'ombrello, per ripararsi dal sole. Una griglia che cuoce pollo, pesce, banane, pane, lombrichi. Ma, soprattutto, ho visto decine di giovani viaggiatori, a chiusura locali, fare la coda per andare a giocare a bowling.

Le serate funzionano cosi', nella frizzante comunita' backpackers in giro per Luang Prabang. Si cena presto, quasi esclusivamente al clamoroso buffet vicino al mercato notturno, al prezzo competitivo di diecimila kip, che per decenza non vi converto in moneta europea. Italiani avvezzi agli aperitivi decisamente un passo avanti nell' applicare conoscenze architettoniche al riempimento sistematico di un piatto. 
Poi, si va all'Utopia, che e' il locale per eccellenza, un grande giardino con tavoli di bamboo, tappeti, un bancone ben fornito, vicino al fiume. Le bottiglie di Laobeer vengono lentamente accatastate in un angolo. Undici e trenta, tutti fuori, dove una schiera di tuk tuk al grido di 'bowling bowling' raccatta i giovani viaggiatori e li deposita pochi chilometri piu' in la in modo che possano trascorrere il tempo abbattendo birilli. Il bowling, in quanto circolo sportivo, gode di una sorta d'immunita' e a volte riesce a stare aperto anche fino all'una. Viva lo sport.

Alla fine un viaggio e' anche questo, tempo passato a divertirsi, con sconosciuti socievoli e comunicativi, in un'aria vacanziera. Il pomeriggio si nuota nelle cascate, si fa una partita a beach volley, ci si ritrova al bowling. Per il piacere di stare insieme, per ricordarsi che non e' importante solo camminare, scoprire e conoscere, ma anche prendersi del tempo per poterlo apprezzare.

mercoledì, maggio 07, 2014

Bollettino di bordo

GIORNO 37, LUANG PRABANG, LAOS

La giornata inizia alle quattro e trenta. Non solo la mia, da quanto posso appurare. C'e' uno spirito estremamente mattiniero, in Asia. Ci hanno consigliato di arrivare alle cinque alla stazione degli autobus, per essere certi di trovare posto su un mezzo che parte alle 7.30 alla volta di Luang Prabang, antica capitale del Laos. Autobus che, inutile dirlo, non sara' mai pieno.

Si cambia mezzo, per andare avanti. Le moto rimangono da un lato del confine, noi scivoliamo dall'altro. Mattino presto, stanchezza, controlli alla frontiera, una specie di nebbia nell'aria che nasconda alla vista il paese che ci attende. Come galleggiare nel vuoto. Solo di tanto in tanto dal finestrino si intravede un crepaccio di terra rossa, una ferita sul fianco della montagna verde, che riporta alla realta'. Monte, strada, ruote, saldamente aggrappati uno all'altro. Scritte in un nuovo alfabeto, l'unico indizio di una presenza umana, da qualche parte, oltre la nebbia. 

Perdersi, fatto. Nell'idea dovremmo andare a sud, ma occorre fare una lunga deviazione, sull'unica strada del nord. Il sole non dovrebbe essere li. Il muschio sugli alberi dovrebbe crescere sul lato perennemente all'ombra, ma pare non sia cosi'. Altra foresta, altre regole. Fidarsi ciecamente dell'autista. Che procede, con cura ed eleganza, schivando le innumerevoli buche del terreno. 
Poco dopo, o molto dopo, mi sveglio in un punto imprecisato della mappa. Dobbiamo cambiare autobus. Un'odioso bus con le cuccette, buon idea mal applicata, nel mio punto di vista. Viaggiare sdraiati, continuando a rotolare a ogni curva di una strada che e' solo curve, non sembra cosi' confortevole neppure per i laotiani. E poi, non si vede nulla. Una fetta di finestrino inquadra il bordo del manto stradale.

Certo, bello apprezzare qualsiasi cosa viaggiando. Forse solo un po' ripetitivo in questo caso. Dettagli come asfalto piu' chiaro del nostro, un po' meno fine e poco elastico. Terra rossa tinta unita, pietre scure di tanto in tanto. Le ore passano, in questa alternanza di terra, asfalto e polvere.
Meta raggiunta alle ore ventiquattro, vago stato confusionale.


martedì, maggio 06, 2014

A ogni costo

GIORNO 36, DIEN BIEN PHU, VIETNAM

Il viaggio raramente e' prevedibile. Si vive per sensazioni, intuito, si seguono consigli. E si finisce spesso per trovarsi in luoghi e situazioni inaspettate, che comunque costituiscono un aspetto decisamente affascinante dell'esperienza. 
Oggi primo tentativo di passare la frontiera. Un'ora a inerpicarsi sul fianco della montagna, tra paesaggi mozzafiato e foreste intricate, immaginando vista e colori dell'altro lato del passo, altra terra e altra lingua, versante differente di uno stesso crinale che ora fa sbuffare di fatica il motore nel silenzio irreale che lo circonda. Il Laos, pero', e' chiuso. Almeno per gli stranieri che arrivano con motociclette che, secondo la legge vietnamita, non potrebbero neppure possedere. 
Lo temevamo. Le voci si rincorrevano. Un attimo di pausa, uno sguardo a quello che e' solamente un confine immaginario, una convenzione tra due paesi che tracciano una linea sulla carta, e via. Giu', nella stessa valle, dallo stesso versante, incontro alla stessa citta'. Occorre tempo per pensare a un piano b.

Dien Bien Phu ci accoglie sessanta minuti dopo sconvolta da uno strano fermento. Traffico intenso. Musica. Bandiere. Un gruppo di militari a passeggio. Uno striscione che riporta la data di oggi, sessant'anni prima, sei maggio cinquantaquattro. Bello, essere nella condizione di non poter accedere alle informazioni. In Italia qualcuno avrebbe subito tirato fuori il telefono, lanciato google, e detto con voce distaccata velata di soddisfazione: "Eh certo, oggi e' l'anniversario di quella famosa battaglia contro i francesi, che poi e' stata anche l'inizio dell'indipendenza del Vietnam, insomma, un venticinque aprile ma asiatico. Che poi i vietnamiti sono tosti, perche' hanno portato i cannoni sulle colline a mano attraverso la giungla, e gli altri mica pensavano che si poteva fare". E io avrei commentato come mi piace fare spesso con "sciocchi francesi". 

Ma ora, tutto questo, non lo possiamo sapere, e salutiamo con sorriso ebete il passaggio della banda, attendendo la fine della parata di piazza. Dien Bien Phu, citta' simbolo dell'indipendenza, in occasione dei sessant'anni, ha in serbo molto di piu'. Insomma, una di quelle giornate alle quali e' bene arrendersi. Ore passate a cercare un posto dove dormire, senza successo. Ore passate in un bar agenzia di viaggi di cui abbiamo un contatto per cercare di vendere le moto, senza successo. Ore passate a seguire consigli, tipo aspettate qui ho un autobus che va in laos domani ah no non c'e' l'ho piu', vi ospito io stanotte ah no non vi ospito piu' pero' rimanete a cena ah no non ceniamo, andate in stazione a fare i biglietti, dopo, dopo, dopo, la stazione e' chiusa.
Alla fine, comunque vada, domani si passa la frontiera. A ogni costo.

domenica, maggio 04, 2014

Giro d'Italia

GIORNO 34, MU CANG CHAI, VIETNAM

Il Vietnam e' un paese incredibile. E te ne accorgi soprattutto attraversandolo passo passo, chilometro dopo chilometro, alla guida, vento in faccia. Oggi tappa di montagna. Lunghi tornanti, temperature che calano, vegetazione che si adatta all'altitudine. Terreni molto impegnativi, pendenze vertiginose e insediamenti che si fanno piu' radi, meno turistici.
I bambini ai lati delle strade salutano dicendo hello e agitandosi come per un incontro eccezionale. Gli adulti ti ospitano volentieri al riparo quando piove, ti offrono the, tutti sorridono. La felicita' media, in questo lato del mondo, e' sicuramente piu' alta, nonostante tutto. Si parla, un poco. Incontrata un' insegnante d'inglese di un paese che non riesco neppure a pronunciare. Un ragazzo che si esprime in francese con accento quasi provenzale, nonostante io non sappia com'e' l'accento della Provenza, ma che immagino un po' simile al ligure, se non altro per affinita' territoriale. Quindi un vietnamnita che parla francese con accento ligure.

Siamo spesso fermi. Vuoi per la bellezza dei paesaggi. Per la difficolta' di restare su una moto formato mignon. Per i guai meccanici. Le piogge improvvise. Si incontra tanta gente, si fanno un po' di chilometri, ci si ferma per il menu' del giorno. Il chilometraggio ne risente, ma ne guadagna il viaggio.

E poi, come capita nelle grandi tappe del giro d'Italia, dopo lo Stelvio o qualche passo alpino, si arriva in una valle verdeggiante e soleggiata, con un lungo stradone ornato di alberi a fusto, pianure che ondeggiano al vento e un paese operoso sorto sull'ansa del fiume.
Il Vietnam ha un che di Francia, Svizzera, appennino. Buttato nel sudest asiatico. Che ne fa un paese conosciuto ma da scoprire. Da girare, senza dubbio, in lungo e in largo. 

venerdì, maggio 02, 2014

Cocco

GIORNO 32, HALONG, VIETNAM

L'evoluzione umana ci ha portato, secolo dopo secolo, ad affinare competenze e espandere capacita', anche attraverso l'invenzione di utensili sempre piu' specifici ed efficaci. In un certo modo lo strumento ha portato a un'espandersi della parte liminale subumana, rendendo possibili azioni inaspettate.
Ora, poniamo un individuo a cui sono stati sottratti gli oggetti di uso comune alle prese con uno dei suoi nemici naturali: il cocco.

Halong, una delle spiagge piu' belle del mondo, con le sue duemila piccole isole a confodere la linea dell'orizzonte. Divisa d'ordinanza, costume, occhiali, ciabatte. Li, a guardare le onde placide bevendo con una cannuccia da una noce di cocco. Che, e' chiaro, e' il drink ufficiale della spiaggia.
Ma, finito l'aperitivo, il cocco si butta?! Non e' possibile! Occorre trovare un modo per aprirlo!

L'eterna sfida dell'uomo contro la natura. L'istinto di sopravvivenza che si ingegna per estrarre il cibo da quell'involucro apparentemente inespugnabile. 
Da bambini al mare usavamo un mattone del vialetto, e giu' a sassate. O lo chiudevamo in una busta e facendolo roteare lo lanciavamo stile bolas contro il muro, con spirito ninja. I piu' approssimativi usano un martello, qui e' tradizionale il machete. Io ho una cannuccia. 

Morale? Apprezzare gli sviluppi della tecnologia umana. Per il momento, ha vinto il cocco.