lunedì, gennaio 31, 2011

Romanzo criminale

GIORNO 9, CUCUTA, COLOMBIA

Difficile spiegare una serie di avvenimenti da telefilm poliziesco degli anni settanta. Diciamo solo, risveglio a San Cristobal, vicino alla frontiera. Autobus per Cucuta, Colombia. Zona malfamatissima nei pressi della stazione e un poliziotto con un fucile a canne mozze. Giro in centro, mi siedo al parco. Prende fuoco una macchina.
Poco dopo mi si avvicina un ragazzo che vende cd. Si parla del piu' e del meno. Se ne va e se ne avvicina un altro. "Non ci devi parlare con quello, non hai visto che ha una basetta lunga e una corta? E' il riconoscimento dei membri della banda degli Airones." Ok, volevano rubarmi lo zaino e stavano saggiando il territorio. Il tipo mi offre anche un caffe', almeno non e' andata del tutto male.

Grazie. Me ne vado, torno alla stazione degli autobus. Non e' la citta' giusta. Vado a Bucaramanga. Almeno dormo in viaggio. C'e' un servizio passeggeri, che e' piu' o meno un taxi, in partenza. Sono 40.000 pesos. E e' ufficiale, il mio bancomat non funziona.
"Signori, questo e' quanto vi posso dare". Cavo dalle tasca l'inimmaginabile. 10.000 pesos, 70 centesimi di euro, 4 bolivares, una caramella. Affare fatto.

Salto in macchina, saranno duecento chilometri. L'autista e' un disgraziato. Come tutti quelli che guidano su questa strada, che e' fatta di tratti d'autostrada e carraie di montagna. Sorpassa un camion in curva in prossimita' di un ponte. Fa volare un pedone con il semplice movimento dell'aria. Poi, uno scoppio. Abbiamo bucato.
Fermi nella notte, in un buio cosi' buio che e' difficile da immaginare, senza corsie d'emergenza. Ok, uno si sbraccia verso i camion che arrivano lanciati con le loro luci led. Uno illumina la macchina con la torcia. Uno cambia la ruota. Uno prega.
Inizia a piovere. La nuova ruota e' un po' piu' grande e quindi sbatte contro il parafango. Andiamo in giro facendo il rumore di un Ciao. La polizia ci ferma solo tre volte per controllare il bagagliaio. Al gran premio della montagna ci saranno zero gradi, ci fermiamo a comprare una tanica di benzina, un caffe' e un pezzo di formaggio. Il gestore e' infatti contrabbandiere, barista e produttore tipico.

In compenso Bucaramanga e' un'altra Colombia. Bella, ordinata, precisa. E soprattutto tranquilla.

domenica, gennaio 30, 2011

La mia casa ambulante

GIORNO 8, MERIDA, VENEZUELA

La mia casa ambulante avra' ancora due gambe, e i miei sogni non avranno frontiere.
Per fortuna ogni tanto mi tornano in mente frasi come questa. Che ridanno carica. Vita. Che tolgono quel velo di stanchezza.
Giornata difficile. Va detto che la prima settimana di ogni viaggio e' sempre la meno semplice da affrontare. Il corpo non e' abituato. La testa non assimila. Il cuore non si spoglia delle sue vesti europee facilmente. L'occhio cerca sempre il confronto, la differenza. Meglio noi, meglio loro.
Giornata difficile, appunto. Iniziata con 5 bolivares in tasca. Contanti finiti. A conti fatti, un euro e qualche cosa. Due spesi per una scheda telefonica. Uno per un quarto d'ora su internet. E basta.

Perche' va detto che i prezzi qui sono forse piu' alti che in Europa. Per darvi un'idea, un menu' da McDonald's costa 44 bolivares. Che sono quasi nove euro. Le uniche cose sulle quali si risparmia: autobus, telefono, benzina. A livello incredibile, poco meno di un euro per fare un pieno. Ma, evidentemente, io non vado avanti a benzina.
Quindi tutto fermo. Niente soldi, niente cibo. Bancomat e carta vuote per assurdi tempi bancari.

La lunga attesa. Il ragazzo che dovrebbe ospitarmi ha il telefono staccato. Capita. Mi siedo a leggere. Cavie, di Chuck Palahniuk, partito dall'Italia. Due capitoli e una chiamata inutile. Due capitoli e un giro in citta'. Due capitoli e razioniamo l'acqua, perche' costa e quella delle fontane non si puo' bere.
Le pagine scorrono. La quarta di copertina incombe.
Poi la sera verso il terminal degli autobus. Ennesimo tentativo a uno sportello bancomat, e questa e' la volta giusta. Ma ormai c'e' troppa strada tra la citta' e il sottoscritto. Cena al volo e un biglietto d'autobus per San Cristobal, alle tre del mattino.
Questa notte si fanno le ore piccole.

sabato, gennaio 29, 2011

Writerismi andini

GIORNO 7, MERIDA, VENEZUELA

Primo contatto con le Ande. Dopo una notte in autobus da dodici ore mi risveglio a Merida, dall'altro lato del paese. Avamposto venezolano sulle Ande, ridente cittadina a 1400 metri d'altitudine. Alle sue spalle una parete continua di roccia con una cima aguzza che taglia le nubi. E' il Pico Bolivar, 5200 metri.
Da oggi si comincia a salire. Si inizia a sentire un'aria diversa. Sottile, leggera. Bisogna abituarsi alla svelta. Convincere i globuli rossi a correre e farsi forza. A suon di reggaeton, credo sia la cosa migliore.

Merida per il resto e' un simpatico agglomerato di case a meta' tra la cultura andina e il suo essere venezolana. Ha una plaza Bolivar, un avenida Bolivar, la montagna Bolivar. Sulle schede telefoniche vedi il viso di Simon Bolivar, cosi' come sulle monete, i Bolivares. E nonostante siano passati duecento anni dalle imprese del mitico Libertador, sa come stare al passo con i tempi. E' infatti il personaggio che apre ogni murales della citta'. E del resto del Venezuela.
Un personaggio che e' mito e leggenda, ma soprattutto simbolo e quotidianita'.

venerdì, gennaio 28, 2011

Full

GIORNO 6, CHORONI, VENEZUELA


Full e' un termine della lingua inglese che significa pieno, completo. E' di uso comune in Venezuela, il paese piu' americanizzato del continente.
Ma filosofeggiando sul significato del termine, si potrebbe dire che "pieno" acquista il proprio valore solo se si definisce il concetto di limite o misura. Ovvero, un bicchiere e' "pieno" quando il liquido raggiunge il limite del contenitore. Un autobus e' "completo" se ha cinquanta posti e cinquanta passeggeri.

Ma forse le cose sono un po' diverse. Ho ordinato un 'perrito caliente full'. Che sarebbe un hot dog completo. Traduzione, due fette di pane contenenti: wurstel, formaggio, prosciutto, cipolla, insalata, pomodoro, patate fritte, ketchup e maionese. Il tutto spolverato di parmigiano. Servito in un piatto che apparentemente non contiene tracce del suddetto panino, sepolto da una piramide di ingredienti. Il potere del full.

mercoledì, gennaio 26, 2011

La tana delle tigri

GIORNO 4, MARACAY, VENEZUELA

Primo assaggio di vita vip in Sudamerica. Serata trascorsa in elegante club privato a bordo piscina mentre su nove schermi al plasma passa l'attesa finale del campionato venezolano di baseball. In campo i Tigres di Aragua, squadra locale di Maracay, contro i Caribes.
Il funzionamento del baseball appare abbastanza semplice: una squadra lancia, una batte. Il battitore colpisce la palla e inizia a correre. Se riesce a fare un giro di campo, ha segnato un punto. Se pero' gli avversari prendono la palla al volo, o la raccolgono e riescono a lanciarla a una base prima che il battitore l'abbia sorpassata con passo agile e ben disteso, il giocatore e' eliminato. Ogni tre eliminati, si invertono i ruoli. Tu lanci, io ricevo. Per nove inning, racchiusi in tre periodi di gioco da tre inning l'uno. E poi ci sono gli strike. Tre. Che se non sono strike sono ball. Che se sono quattro hai regalato una base. Che se hai le basi cariche e fai un fault la gente si arrabbia. Che se il lanciatore non lancia al battitore ma a una base tu ci devi essere. Altrimenti ti elimina. Insomma, facile.

Per fortuna nella mia collezione di film sportivi spicca "Major League - La squadra piu' scassata della lega", e cio' mi permette di fare una discreta figura di fronte alle domande inquisitorie dei sostenitori dei Tigres. Almeno a livello teorico.
Perche' c'e' un grosso problema nello seguire il gioco: le divise sono tutte uguali. Pantaloni bianchi e giacca blu. Il caso ha voluto in finale le uniche due squadre con gli stessi colori sociali. Cambia solo la scritta ricamata a caratteri rossi sul petto. E devi stare attento. Perche' se sbagli ad applaudire non e' il massimo trovarsi attorno il Tigres fan club.
L'unica cosa che risulta chiara e' che a ogni inning c'e' un attimo di pausa. E parte il reggaeton. E ognuno si riempie il bicchiere di ghiaccio dal cestello al centro del tavolo. E di coca cola. E di rum. Santa Teresa gran riserva, ovviamente.

martedì, gennaio 25, 2011

Trafficante

GIORNO 3, CARACAS, VENEZUELA

L'ultima sera a Caracas e' all'insegna della vita criminale. Che non fosse propriamente una citta' legale e trasparente mi era parso ovvio fin dall'arrivo in aeroporto, quando un poliziotto mi aveva avvicinato per cambiarmi denaro illegalmente. Anche con un prezzo discreto. Pratica tralaltro diffusissima, tanto e' vero che buona parte dei dollari che avevo con me hanno fatto un viaggio al mercato nero e sono tornati in bolivares con un tasso di cambio di 7 a 1. Senza commissione. 6 a 1 il prezzo della polizia. 5 a 1 per strada, dal venditore di spiedini. 4,3 il tasso ufficiale. Al quale va tolto un dieci per cento di commissione della banca o dell'agenzia, il che ti porta ad uno scarsissimo quattro.

Fatto sta che l'amico che ha gentilmente moltiplicato i miei pochi dollari per sette, quella sera mi propone di andare con lui a vendere rum di contrabbando. Saliamo in macchina e voliamo sull'autostrada che collega il piccolo pueblo dove mi trovo all'immensita' di Caracas. Nel bagagliaio tintinnano le bottiglie di rum Santa Teresa gran riserva.
Il discorso e' che la legge vieta a bar e negozi di vendere alcol dopo le nove di sera. Per questo alcuni studenti si sono inventati 'the ron delivery'. Consegna a domicilio. Con ambizione di allargare il giro offrendo un kit completo di rum, coca cola, ghiaccio e bicchieri da cuba libre. Tradizione irrinunciabile per combattere il caldo estivo e aiutare la concentrazione nello studio.

'Anche il padrino ha iniziato con il contrabbando di liquori'. Mi dice con simulato accento siciliano. E via, nella notte, verso un'altra consegna.

lunedì, gennaio 24, 2011

Relativita'

GIORNO 2, CARACAS, VENEZUELA


Tutto molto differente. Sfasato. Sveglio alle sette, senza motivo, con un sole alto e luce innaturale. Stiamo a meno cinque ore e mezza rispetto alla vecchia Europa.
La citta' immensa. Caracas. Una lingua di terra distesa tra due file di montagne. Boulevard di edifici eleganti e piccole case colorate disperatamente aggrappate ai fianchi delle colline.
Un paesaggio da videogioco. Boschi di palme e un fiume melmoso di macchine che invade la pianura. Ford degli anni 70, Chevrolet e macchine ultramoderne. Una Mustang rossa da boss della malavita. Gente in piedi sui pick-up. Appesi fuori le porte dei pulmann.

Colazione all'universita'. Arepa e spremuta. Un bus blu striato di bianco per Chacaito. E poi a caso.
Tra chioschi improvvisati agli angoli delle strade, tra venditori di ghiaccio e caffe'. Tra signore che si connettono a facebook con il blackberry. Tra chi cerca di rifilarti uno spazzolino per poter guadagnare quei pochi spiccioli per poter mangiare a fine giornata. Un paese di contrasti, violenti, che hanno il colore socialista dei mattoni delle favelas e i riflessi delle pareti specchiate dei grattacieli.

Serata a 'Il Teatro', bel locale a meta' strada tra l'intrattenimento artistico e la discoteca. Serata di stand up comedy. Quattro comici sul palco che infiammano il pubblico usando come argomenti le donne e la politica. Per essere cosi' lontano da casa, non mi sembra che in fin dei conti il mondo sia tanto differente.

domenica, gennaio 23, 2011

Blocchi di partenza

GIORNO 1, CARACAS, VENEZUELA

Atterro quasi senza rendermene conto. La notte precedente non ho dormito. Forse per i preparativi, per l'emozione, l'indecisione. Su quello che e' necessario e quello che non lo e'. Ho trovato qualcosa da fare fino alle cinque del mattino. Poi via, in aeroporto. Con un soddisfacente bagaglio a mano. E basta. Sette chili e duecento grammi.

E in un attimo Madrid. Aeroporto immenso. Mezz'ora di cammino per arrivare al terminal U.
E via di nuovo, si decolla. Sonno. Penso di aver dormito per piu' di meta' oceano atlantico. Ricordo a tratti un hamburger che galleggia in un pure' di spinaci. Una camminata lungo le cinquanta file di passeggeri. Una tazza di caffe'.Un film annunciato del quale non ho visto neppure un fotogramma.
Quando mi risveglio per l'ennesima volta il display segna un puntino rosso sulla costa venezolana. Caracas. L'inizio di un viaggio.

sabato, gennaio 22, 2011

Spiegazioni ai gentili lettori

Questo blog era nato nel 2007 per raccontare un viaggio a Valencia, per essere un filo diretto con gli amici a casa e un punto di vista differente sulla Spagna e sul mondo. Poi e' diventato un diario di vita, a Bologna. E un romanzo on the road, a zonzo in Europa. E poi di nuovo quotidianita', a Roma.
Ma un giorno tutto cio' non ha piu' avuto motivo di esistere. E penso non ne abbia neppure ora.

Ma l'occasione di raccontare il viaggio che sto per intraprendere non me la voglio perdere. E se qualcuno vorra' leggere queste poche righe, mi fara' piacere. Perche' e' un modo per sentirsi vicini. Per condividere. Per scoprire ogni giorno come le cose appaiono differenti a secondo del lato dal quale si guardano.