lunedì, marzo 14, 2011

Despedida

GIORNO 51, BUENOS AIRES, ARGENTINA

Tutto accade per un motivo? La persona che aspettavi non arriva in modo che tu possa incontrarne un'altra? O magari un uomo ti minaccia con un coltello perche' tu debba cambiare strada e ritrovare un vecchio amico? A quanto pare si.
Giornata di grandi emozioni. Ultima, giornata. Domani si vola sopra l'atlantico, si annulla il fuso orario, si rinfila il giubbotto e si sbarca a Milano, tra un cumulo imprecisato di ore. Non riesco a pensare come sara' il ritorno alla quotidianita'. Come non riesco ad avere un'impressione chiara di questo viaggio, una sola fotografia che raccolga forti contrasti, pensieri e persone, luoghi e percorsi.

Non mi piacciono gli addii. Non mi sento di porre la parola fine a un viaggio di questo tipo. Preferisco considerarlo un piccolo tassello di un personale cammino. Di conoscenza, incontro, condivisione. Voglio pensare a tutto quello che ho visto come parte integrante di ogni mio giorno.
Voglio semplicemente continuare, come se fossi seduto in un autobus scassato sudamericano, ad affrontare con la stessa curiosita' e apertura mentale ogni sfida della vita.

domenica, marzo 13, 2011

Quattro salti in padella

GIORNO 50, BUENOS AIRES, ARGENTINA

Ho cucinato il peggior piatto di pasta della mia vita. E il sudamerica non ha colpe, questa volta. E' che ho trovato l'ostello con la cucina piu' piccola del mondo, e mi mancavano un sacco di ingredienti, e c'era tanta gente che aspettava il proprio turno, e potevo usare solo un fornello. E non mi sto giustificando, credo di essere un buon italiano medio, capace di fare due fusilli al pomodoro.
Ma ho scoperto che l'acqua non sarebbe mai arrivata a bollire: quindi a un certo punto ho dovuto fare la scelta di buttare la pasta comunque. E, se non vi fosse mai capitato, l'effetto e' quello di ritrovarsi i fusilli crudi dentro e scotti fuori. Oltretutto non c'era il sale nell'acqua, visto che non l'ho comprato per un giorno solo.
Detto cio' ho scolato la pasta con il cestino per il pane, in mancanza di un vero scolapasta. Ma questo non credo influisca molto sulla riuscita del piatto. Per finire ho buttato la passata di pomodoro direttamente nel piatto, senza scaldarla, senza cuocerla, in quanto erano finiti tempo e pentolame a disposizione.
Calcolando tutto questo, neanche male. In fondo il valore nutritivo rimane. Forse.

venerdì, marzo 11, 2011

Impressioni

GIORNO 48, SALTA, ARGENTINA


Ma che bella che e' questa citta'. Resto a vivere qui, quasi quasi. E non me l'aspettavo. Perche' c'e' una cantante rap francese che ascoltavo un po' di tempo fa che e' sempre arrabbiata, con tutto e con tutti. E' tanto polemica e tanto brava, ed e' una francese a meta', cioe' figlia di immigrati, argentini per l'appunto. Di Salta.
E allora mi sono detto: deve essere un postaccio. O meglio, una citta' povera, del nord, nell'entroterra, con tanti problemi, un posto dal quale la gente scappa e magari va a vivere in Francia. A raccogliere l'uva e fare il vino, piuttosto che stare in un deserto che non offre nulla. E se poi uno decide spontaneamente di vivere con i francesi, che stanno quasi sempre antipatici a tutti, sicuramente proviene da una situazione peggiore. E invece no.

E' tutto bello, ordinato, tranquillo, sereno. Verde. E con turisti che passeggiano, bambini che giocano al parco, bancarelle di prodotti locali. E con gli argentini, gente di cuore che ricorda l'Italia di tanti anni fa, non ancora stressata dal globale e il moderno.
Vorrei restare qualche giorno. Ma le lancette corrono inesorabili, mancano diciotto ore di autobus alla meta, a Buenos Aires. Quindi nella notte si va. A presto, Salta.

giovedì, marzo 10, 2011

Giro in giro

GIORNO 47, LA QUIACA, ARGENTINA

Un'altra frontiera che se ne va. Argentina e un cartello di benvenuto che dice Ushuaia a 5000 e rotti chilometri di distanza. Il mondo alla fine del mondo. Certo, non arrivero' fino in fondo alla mappa, non questa volta. Anzi, sono di passaggio e un po' di fretta in questa splendida nazione. Pochi giorni, peccato. Ma gia' con la voglia di ritornarci.

Sconvolgimenti delle ultime ore. Avevo pensato a qualche tappa di avvicinamento prima di Buenos Aires, e adesso scopro che domani ho chi mi ospita nel centro della metropoli. Il problema e' che sono ancora a qualche migliaio di chilometri, e con in tasca un biglietto per Salta, questa notte. E soprattutto i prezzi degli autobus si stanno riavvicinando agli standard europei. Una pessima notizia, quando ci si trova nell'ultima settimana di viaggio. E poi c'e' un meeting nazionale argentino della community dei viaggiatori, sabato e domenica a Tigre, poco a nord della capitale.

In compenso sono un grande conoscitore di La Quiaca, provincia di Jujuy, tredicimila abitanti e punto di passaggio per chi arriva dalla Bolivia. Per darvi un'idea, sono uscito dalla nazione a piedi e ho raggiunto l'altro capo della cittadina, dove sta il terminal degli autobus. Quasi un quarto d'ora di cammino. Arrivo alle sette di mattina, si riparte a mezzanotte. Un giro al parco (quattro volte), poi lungo il corso principale (sei volte), una capatina all'internet point (due volte), e ancora al terminal dei bus (infinite volte). E ancora qualche ora d'attesa prima di una notte in viaggio.

mercoledì, marzo 09, 2011

Salt lake

GIORNI 44-45-46, SALT LAKE TOUR, BOLIVIA

Ci sono tante meraviglie del mondo delle quali ignoriamo l'esistenza. Tanti modi coi quali la scienza puo' sorprendere e inventare luoghi insoliti e particolari. Sono andato a vederne un po': tre giorni di jeep nel sud del paese, bei compagni di viaggio e paesaggi mozzafiato.

GIORNO 1
Oggi scopriremo come rendere visibili sostanze disciolte in un liquido attraverso un semplice procedimento. Mettete un centimetro d'acqua di mare in una bacinella sotto il sole e vedrete cosa vi resta. Una sottile crosta di sale. Adesso ripetete il procedimento con un mare di dodicimila chilometri quadrati e aspettate un milione di anni. Il risultato e il Salar di Uyuni: una distesa bianca e compatta di sale che sembra non avere fine, con uno spessore che varia tra pochi centimetri e quindici metri, e un'ampiezza di centottanta chilometri. L'aspetto piu' interessante e' che nella stagione delle piogge il sale non lascia che l'acqua di disperda, e crea un immenso specchio che confonde il cielo con la terra. L'esperienza di attraversare il nulla sul tetto di una jeep tra spruzzi d'acqua e riflessi innaturali credo non abbia prezzo.

GIORNO 2
L'acqua grande protagonista della scienza. Lasciate che alcune tonnellate di magnesio si depositino sul fondo di una laguna ed ecco che, a determinati orari del giorno, l'acqua diventera' color smeraldo. L'incredibile Laguna Verde, persa tra le montagne della Bolivia, e' uno spettacolo da non perdere. E poi la Laguna Rossa, per i pigmenti rilasciati da una particolare alga, e quella Gialla, quella Celeste. Un'immensa tavolozza poggiata tra cupe montagne con i cocuzzoli innevati e stormi di fenicotteri rosa che svolazzano allegramente.

GIORNO 3
E c'e' molto altro sugli altipiani boliviani. Alba del terzo giorno dedicata ai geyser, sorgenti di acqua calda che liberano sbuffi di fumo tra le rocce contro la lieve luce del giorno che sta per iniziare. Bagno in una vasca naturale d'acqua a trentotto gradi, a 4890 metri d'altitudine. Record personale. E poi giu', per strade di terra e pietra, tra lama che brucano indisturbati, ritorno ad Uyuni. Si conclude l'avventura boliviana. Da domani, un altro stato da attraversare.

domenica, marzo 06, 2011

War games

GIORNO 43, UYUNI, BOLIVIA

E' Carnevale. E in Bolivia Carnevale significa guerra, d'acqua. E, tanto per darvi un'idea, il super liquidator della nostra infanzia e' niente in confronto all'arsenale bellico che sfodera un bambino boliviano.
E lo ammetto, mi hanno schiumato. Ma non sono uno che perdona: ho deciso che quel poco che ho imparato facendo servizio militare oggi mi sarebbe tornato utile. Poi mi sono ricordato di non aver fatto servizio militare, e allora ho pensato a Clint Eastwood. Ho visto 'Per un pugno di dollari', 'Il buono il brutto e il cattivo', l'ispettore Callaghan, ma soprattutto 'Gunny'. La storia di un vecchio ufficiale che addestra un gruppo di brocchi e li fa diventare dei veri marines.

Ho reclutato un gruppo di ragazzini che vagavano solitari per la citta' in guerra. Ne ho piazzati due con armi di precisione sulla cima di un fontana spenta. Tre con bombe d'acqua agli angoli della piazza. Altri due votati al sacrificio appiattiti contro il muro del chiosco dell'informazione turistica. E quando si avvicina qualcuno con un tubo di schiuma, fuoco libero. Finche' non e' arrivato un ragazzino con un carrello di bombe d'acqua, e abbiamo stretto un'alleanza strategica.
Il bello della guerra e' che ce la possiamo prendere con le minoranze. Tutti insieme contro i deboli. Abbiamo massacrato un gruppo di turisti francesi. Poi due seminaristi. E uno che poteva sembrare palestinese, cosi', tanto per completare la tabella.
Non si fanno prigionieri. Oggi e' guerra, per tutto e tutti.

sabato, marzo 05, 2011

Mineros

GIORNO 42, POTOSI, BOLIVIA


A quanto pare le miniere non sono come quelle dei sette nani. Non si fischietta allegramente mentre simpatici uccellini trasportano secchi di pepite d'oro, e la galleria non e' un piacevole cammino sorretto da eleganti travi di legno.
Chissa' perche' ma ne avevo l'impressione. La montagna del Cerro Rico di Potosi e' un termitaio di gente con i polmoni pieni di terra e fango. Di bambini che spingono carrelli da una tonnellata. Di facce sporche e mascelle distrutte dal masticare foglie di coca. Ci sono oltre quattrocento miniere e quindicimila lavoratori nelle viscere della madre terra, con una luce in testa che non puo' segnare la differenza tra il giorno e la notte. Incontro una squadra al lavoro da ventisei ore: un ragazzo che potrei essere io, venticinque anni e un volto da quarantenne, nella corporazione dei minatori da quindici anni. I conti si fanno alla svelta.

Ho il mio elmetto in testa, la tuta gialla, gli stivali, la cintura con la batteria per il fascio di luce che parte dalla fronte. Bisogna piegarsi, tanto, e spesso. Fa freddo nei cunicoli, e caldo, trentacinque gradi. Ci sono travi spezzate, buche di decine di metri, scale di legno, polvere. Portiamo coca e succo a quegli uomini rinchiusi nelle tenebre. Uomini che non hanno scelto di essere minatori, ci si sono ritrovati, senza alternativa. Uno mi regala una pietra di stagno e argento, e' stata una buona settimana e per una volta venderanno bene il frutto del loro lavoro ai gringos delle multinazionali. Guardo quella pietra e penso che mai piu' nella vita potro' lamentarmi del mio lavoro.
In fondo tutti almeno una volta nella vita dovremmo guardare quella pietra; forse cosi' sarebbe piu' facile apprezzare la nostra esistenza.

venerdì, marzo 04, 2011

Totótruffa

GIORNO 41, POTOSI, BOLIVIA

Ci ho messo tre giorni per capire che mi fanno male le braccia per colpa dei mosquitos. Tra la selva di Macchu Picchu e quella di Sorata ho rimediato un centinaio di punture. E poi mi sono preso la contrattura insolita, che non avevo dalla mia gioventu' da quattrocento ostacolista, e se cammino tanto mi fa male una gamba. Nell'autobus questa notte faceva un freddo incredibile, e mi sono salvato dall'assideramento solo con un ingegnoso utilizzo della mia giacca a vento.
Ma, sia chiaro, va bene cosi'. E' nel conto del viaggio, e' esperienza, per cosi' dire. E poi sono nella citta' dei minatori, gente che lavora senza aria sotto terra, quasi al buio, tra la polvere e la fatica. Decisamente non mi sento in diritto di lamentarmi.

E per iniziare bene il rapporto con l'allegra cittadina questa mattina hanno tentato di truffarmi. Un uomo mi ha fermato e abbiamo iniziato a parlare del piu' e del meno. Dopo pochi minuti e' arrivato un secondo figuro, mostrando un distintivo della polizia, e dicendo che c'era un mandato di cattura per due turisti per commercio illegale di droga e valuta. Dobbiamo seguirlo alla centrale per verificare i nostri documenti.
Sopraggiunge un taxi. 'Alla divisione narcotici!', esclama il finto poliziotto. Io, che gia' mi sento protagonista di una puntata di Ris, sorrido e sdrammatizzo. 'Non ridere che la cosa e' seria!', ribadisce lo sceriffo. Da dove vieni, sei stato in Peru', allora sei pieno di droga, fammi vedere lo zaino, la carta di immigrazione, il passaporto, quanti soldi hai, forse sono falsi, tirali fuori, e i dollari non ce li hai, la carta di credito... non ce l'ho. Puoi andare, e' tutto in regola, tratteniamo sono l'altro uomo.
E il taxi sparisce tra i vicoli malfamati di periferia. A quanto pare a volte basta non avere una carta di credito con traffico illimitato per dimostrare la propria innocenza.

giovedì, marzo 03, 2011

Welcome back

GIORNO 40, LA PAZ, BOLIVIA


Once again in La Paz. Funziona cosi', devi ripassare da queste parti se ti sei perso in qualche paesino tra le montagne. Perche' qui e' snodo, via, incrocio.
Da segnalare nella giornata di ieri: la grande camminata per raggiungere la Gruta di San Pedro, a una decina di chilometri dal pueblito di Sorata. Dentro le viscere della montagna, fino a un lago sotterraneo con le sue barchette da passeggiata dell'amore, di quelle da luna park che potrebbero avere la forma di un cigno con un cuore in bocca. E la guida piu' silenziosa della storia: non una parola in mezz'ora di tragitto.
Spettacolare ritorno per un sentiero sul fianco delle montagne, a tratti distrutto dalla pioggia, aggrappati a pezzi di roccia rossa che si staccano sotto il tocco leggero di una mano. Giornata di sole come non si vedeva da tempo, cielo tinto di colori sudamericani e il fiume in piena che rumoreggia in fondo alla gola.

Da segnalare nella giornata di oggi: ritorno alla civilta' confusionaria dei gringos, e la strana sensazione di conoscere perfettamente ogni vicolo della citta'. Festa serale nel simpatico ostello di sempre. E per la prima volta durante il viaggio la necessita' di pianificare i pochi giorni rimasti, per arrivare alla meta finale, distante ancora una settantina di ore in autobus. Pensieri a casa, al futuro, e al passato.

martedì, marzo 01, 2011

Su e giu da un palco

GIORNO 38, SORATA, BOLIVIA

Album consigliato per il viaggio La Paz - Sorata: Su e giu da un palco, Luciano Ligabue, 1997. Doppio album live. Credo il primo che ho comprato, quando avevo suppergiu' tredici anni e ventottomila lire in tasca. Due cassette, nastro che scorre canzone dopo canzone, e il rumore della bobina che si riavvolge. Se non mi ricordo male una copertina azzurra e un uomo di spalle, con un cappello di paglia in testa. Credo che l'album si sia consumato per quante volte l'ho ascoltato, o forse e' semplicemente in quell'accozzaglia di oggetti confusi che rappresentano una cronistoria della mia adolescenza.

Adesso ho tutto in digitale. In emmepitre, su un lettore che si ricarica uessebi, che lo attacchi ai picci' di tutto il mondo e mentre si illumina riprende energia. Ligabue non lo sa ma ha tenuto un bel concerto mentre viaggiavo in minibus su strade da rodeo. Ha anche concesso numerosi bis. Su 'Lambrusco e pop corn' e' quasi venuta giu' mezza montagna. La strada piena di pietre, e fango, per la pioggia forte dei giorni passati, e il minibus che improvvisa uno slalom gigante. In fondo alla valle, rispettosamente inchinata sotto un picco di seimila metri, la cittadina di Sorata. Che e' una sorta di oasi di pace e tranquillita', visitata solo da argentini e cileni. Sono il secondo italiano quest'anno. Che arriva cantando Ligabue tra i volti stupiti degli abitanti locali.

lunedì, febbraio 28, 2011

La vida tombola

GIORNO 37, LA PAZ, BOLIVIA

domenica, febbraio 27, 2011

Gira la ruota

GIORNO 36, LA PAZ, BOLIVIA

Posso dire serenamente di non aver imparato nulla dai miei errori. Certe cose si sbagliano e basta. C'e' poco da fare.
Puoi credere di avere accumulato un'esperienza e una coscienza tale da non poter piu' ricadere nelle stesse situazioni; ma la vita e' li', pronta a smentirti. Che sia fato, destino, casualita', poco importa. Ti resta solo l'amarezza di non essere stato in grado di riconoscere te stesso, il tuo comportamento, lo stesso momento che si ripete. In fondo, e' giusto cosi'.
Altrimenti tutto sarebbe una corsa verso la perfezione, verso l'omologato, il giusto condiviso.

Ci sono persone, luoghi, emozioni, capaci di mandarti al settimo cielo o buttarti nella polvere. La differenza non e' poi cosi' grande. Quello che ho imparato e' non darmi la colpa di cio' succede. Non a priori, per partito preso. Riflettere. Considerare. Non si puo' avere il controllo di tutto. Il destino non e' una macchina precisa secondo la quale piu' si lavora e piu' si ottiene.
E' un po' una ruota delle fortuna, con i suoi spicchi colorati che dispensano soddisfazioni e rimpianti. L'importante e' la coerenza. L'onesta'. Il pensiero. Che poi succeda quello che deve succedere. Non mi faro' certo fermare da un momento sbagliato o da una scelta non esatta.

sabato, febbraio 26, 2011

Saturday night

GIORNO 35, LA PAZ, BOLIVIA

A tratti un viaggio puo' assumere sfumature differenti. Puo' essere incontro, cultura, scambio, divertimento, crisi, conoscenza. Puo' portarti a riflettere profondamente su se stesso, a guardarti dentro come non avevi mai fatto prima. Puo' anche farti vivere le giornate come se attorno non ci fosse nulla, soltanto sfumature di grigio nella falsa luce di un giorno di pioggia.
Quando cammino tra un fiume di turisti, con le cuffiette nelle orecchie a suonare la compilation della mia vita, e' come non trovarsi dall'altra parte del mondo. E' una giornata, semplice e malinconica, che ti scorre addosso. Muri, vicoli, mattoni e finestre, cassette delle lettere, voci indistinte che si mescolano in un sottofondo variegato.

Poi ogni tanto alzo la testa e vedo una montagna scoscesa coperta di casette rosse. O un volto andino avvolto nella sua coperta colorata. Ed e' viaggio, differenza.
Poi la sera, sabato sera, buttato nella mischia da americani e neozelandesi. Festa a tema, tutti vestiti da pirati, e secchielli di grog che girano sul bancone. Con David Guetta che fa da re in ogni parte del mondo, per quanto non sia ne' boliviano, ne' pirata. Il sabato, a quanto pare, non conosce differenze geografiche.

venerdì, febbraio 25, 2011

Fifties

GIORNO 34, LA PAZ, BOLIVIA

Io gli anni cinquanta non li ho visti. Ma me li ricordo. C'erano il rockabilly, le cameriere coi pattini e i drive in. E Fonzie in giubbotto di pelle appoggiato con un gomito al jukebox.
A volte qui sembra di essere in pieni "fifties". Soprattutto quando hai un centrotavola di plastica gialla e a fine pasto per dolce ti portano la gelatina. E bevi da quelle bottigliette allungate, di vetro, con le etichette che sembrano disegnate a mano una per una. Magari ordini una gazzosa, cosi', tanto per gradire.
O quando cammini per le strade e vedi i negozi di ricambi: per le macchine, per gli elettrodomestici, per quei televisori grossi e ingombranti a tubo catodico che non si pongono nemmeno il dubbio di cosa sia il plasma e il digitale terrestre.
Le cose si riparano, non si buttano. Le auto a volte hanno gli sportelli di un altro colore. Le tastiere dei computer, consumate dal ticchettio incessante dei navigatori di internet, hanno le lettere scritte a mano su pezzetti di carta e incollate sui tasti. Puoi scegliere di passare all'Apple Store e prenderti un'I Pod, o entrare nel laboratorio affianco e uscirne con il tuo walkman di terza mano fiammante. E aspettare che il nastro della cassetta di riavvolga per ascoltare la tua canzone preferita.
Ho vagato tra i vicoli del centro ascoltano Sam the Sham and the Faraons. In un altro tempo, guardando gli andini nostalgici e le bancarelle per turisti. Tutto cosi' retro'. Per qualche ora, i miei personali anni cinquanta.

giovedì, febbraio 24, 2011

Bolivia express

GIORNO 33, COPACABANA, BOLIVIA

Nella vita almeno una volta devi essere stato a Copacabana. E' quasi un obbligo. Gia' il nome dice tutto, e l'immaginazione vola a spiagge magnifiche, ballerine, cuba libre e samba. Certo, Copacabana e' in Brasile, ed essere nella versione boliviana decisamente non fa lo stesso effetto. E' come finire in un viaggio organizzato con destinazione Barcellona Pozzo di Gotto.

Comunque la citta' e' carina. Ha un monte sul quale puoi salire dopo un'ascesa degna di Indiana Jones per vedere il lago Titicaca che si stende all'infinito. Dal lato boliviano, questa volta. E se guardi bene vedi la Isla del Sol, che una volta era abitata e coltivata dagli Inca. Gli Inca non dovevano essere un popolo molto cordiale. Se ne andavano sempre sulla cima dei monti, sulle isole lontane, e costruivano le loro stradine con i gradini stretti e alti. Poi li coprivano di piante, li nascondevano e se ne stavano tra i cespugli di coca a ridacchiare.

E' il primo assaggio di Bolivia. Tutto un po' piu' economico, piu' semplice. Ora tocca vedere un itinerario. Arrivare a La Paz e capire quanti bivi ci sono. Quanti chilometri, quante ore. Quante strade ancora da percorrere.

mercoledì, febbraio 23, 2011

Vamos a la playa

GIORNO 32, PUNO - LAGO TITICACA, PERU'


Ci sono la spiaggia, le panchine, i chioschi dei gelati. Ma non e' la riviera adriatica. L'aria e' quella frizzante di una mattina da settimana bianca, le palme lasciano il posto agli aghi d'abete che pungono l'acqua. Quasi quattromila metri e un lago del quale non si vede la fine.
La mattinata ha inizio con un'escursione alle leggendarie isole galleggianti del lago Titicaca, abitate da simpatici andini che vivono di pesca e turismo. Nei loro abiti sgargianti e con i cappelli piccoli appoggiati sul capo non sembrano essere troppo a disagio di fronte alla nostra barca da arrembaggio carica di cileni e macchine fotografiche.

I simpatici andini viaggiano sul lago con le loro barchette e trainano enormi zolle di una pianta che galleggia sull'acqua e si circonda di terra e radici. Le legano assieme, fanno un bel pavimento di canne e bambu', e vivono tranquillamente pescando e intrattenendo i turisti. Se il vicino non e' particolarmente socievole, nella notte tagliano l'isola in due e se ne vanno galleggiando.

Il problema e' che i simpatici andini sono un po' troppo simpatici. Ernesto, il presidente dell'isola, ci porta a fare un giro con la sua barca. La sua Mercedes Benz, dice lui. Le donne intanto cantano per salutarci, in aimara, la lingua tradizionale. E concludono con un notevole riarrangiamento di 'Vamos a la playa' per voci e percussioni.
Vittime e protagonisti di un turismo ottimizzato, i simpatici andini riprendono la loro quotidianita', esercitandosi nell'intero repertorio dei Righeira e stendendo i loro vestiti sgargianti alla vista dei turisti.


martedì, febbraio 22, 2011

Decisioni

GIORNO 31, CUZCO, PERU'

Sto bene bene bene. Anche' perche' sono stato quattro giorni a un'altitudine ragionevole. Adesso di nuovo a Cuzco, e sempre piú' in salita, verso la Bolivia. Ho deciso di combattere il mal di montagna con una nuova medicina, la Coca Cola. La teoria e' questa: mi hanno dato delle pastiglie, qualche giorno fa, che contenevano, tra le altre cose, anche caffeina. La Coca Cola contiene, tra le altre cose, anche caffeina. Quindi e' una medicina. Ve detto che le pastiglie non mi hanno fatto alcun effetto, ma le pastiglie non fanno ballare gli orsi polari ne' tanto meno hanno come testimonial Babbo Natale. Per Natale, periodo di massimo lavoro del simpatico vecchietto.

Poi ho deciso che il mio zaino e' anche borsa frigo. Basta crederci. Quindi la vaschetta di mortadella si conserva li per domani. Anche perche' l'emozione di trovare la mortadella in cima alle Ande e' difficile da spiegare.
E poi oggi a pranzo ho deciso che ho uno stomaco d'acciaio e non mi da fastidio niente, e sono andato il ristorante indiano tutto a volonta'. Entri e ti distruggi di pollo al cocco, farina di ceci, basmati e cose strane e colorate che forse una volta erano verdure.
Ho deciso che si riprende con lo slancio iniziale. Continua la corsa.

lunedì, febbraio 21, 2011

Inca jungle

GIORNI 27-28-29-30, INKA JUNGLE, PERU'

Sulla cima di una montagna, a 4300 metri, un uomo in bicicletta guarda perplesso lo strapiombo che si trova di fronte. Piove, l'aria fredda e la nebbia ricordano una tappa del Giro d'Italia da periodi epici, quelli con un solo uomo al comando nella sua maglia bianca celeste.
Ha inizio una quattro giorni di fuoco. Mi sono concesso un tour organizzato, lontano pero' dalle logiche del mercato che vedono un treno cileno inglese accaparrarsi il fiume di turisti che si riversa su Machu Picchu. Si parte dalla cima di una montagna, dopo alcune ore in minibus. Ci si butta per ventotto chilometri di tornanti mozzafiato in bicicletta. Poi si cammina. Due giorni, nella giungla, lungo il fiume Urubamba, sul fianco delle Ande, su sentieri inca che si perdono nel vuoto e nella vegetazione. E l'ultimo giorno si sale, prima dell'alba, a Machu Picchu.

C'e' l'olandese che ho incontrato in ostello, che nel suo poncho rosa sembra il leader di classifica mentre scende i tornanti dell'Abra Malaga. Poi uno scozzese che non teme il freddo. Fratello e sorella dall'Irlanda che lottano per le prime posizioni. Un italiano uscito da 'Il signore degli anelli'. Un gruppo di cileni che saranno la grande delusione di questo giro del Peru', tutti ritirati tra la seconda e la terza tappa e raccolti dal pulmino ammiraglia che vigila sulla buona salute degli atleti.

GIORNO 1
Un bel gruppo. Il primo giorno, sulla vetta del monte, si gela. La discesa e' molto tecnica, la strada, a tratti, e' attraversata da torrenti e cascate. Dopo la diffidenza iniziale, si vola, inzuppati fradici, con le ruote della bici che sollevano terra e pioggia. Nel pomeriggio, per non farsi mancare nulla, partiamo per fare rafting. Il fiume e' impressionante, gonfio per il mese delle precipitazioni, con rapide di livello tre e mezzo, a tratti quattro. Lottiamo per due ore contro la forza della corrente, volando da una parte all'altra. Uno dei due gommoni viene letteralmente scaraventato per aria e piccoli caschi gialli annaspano tra le onde cercando salvezza. A conti fatti, un solo ferito.
Piu' uno caduto in bicicletta. Meno due per la lotta in classifica.

GIORNO 2
Partenza alle sette di mattina, piove, insistentemente. Si cammina, la strada e' chiusa per la presenza di frane. Attraversiamo un tratto di corsa mentre ancora le rocce rotolano gettandosi nel letto del fiume impetuoso. Dopo un po' la pioggia se ne va e si sale sul fianco della montagna, sull'antico sentiero inca, fatto di pietre e gradini. Quando la strada esce dalla macchia di alberi di maracuja il paesaggio e' impressionante. Siamo praticamente nel vuoto, aggrappati a una lingua di roccia che cammina sullo strapiombo. C'e' chi e' in grossa difficolta'. Chi mastica foglie di coca. Tutti ci segnamo il volto con il rosso estratto da una pianta rituale, come gli antichi messaggeri. Oggi si fa classifica. Al termine della tappa, forse nove, dieci ore nelle gambe.

GIORNO 3
Si riparte, in cammino. Un ponte di corda sul fiume. Poi una carrucola con cestello, che passa da una sponda all'altra, mentre le gocce dei flutti di bagnano il volto. Il giorno prima abbiamo anche avuto l'ormai classico tronco d'albero per attraversare una stretta gola che, nell'immaginario di tutti, era popolata da piraña e coccodrilli. Nel pomeriggio appare la sagoma della montagna di Machu Picchu, e il pueblito turistico di Agua Caliente, ultima tappa prima della salita alla meraviglia del mondo.

GIORNO 4
Sono le quattro di mattina e c'e' grosso fermento tra le strette vie di Agua Caliente. Alle quattro e mezza apre il ponte per iniziare la salita a Machu Picchu. Il sito apre alle sei, e chi vuole visitare la parta piu' alta, ovvero la montagna di Huayna Picchu, deve rientrare tra le prime quattrocento persone. Da non dimenticare che alle cinque e mezza inizia il servizio autobus, al prezzo esagerato di quindici dollari, ma comunque molto richiesto. Ma il vero viaggiatore sale a piedi, sia chiaro.
Gradini di pietra, al buio, luce di torce e gente che corre, poi crolla, su panchine improvvisate. Ce la facciamo, in un'oretta. L'olandese a tirare il gruppo, l'italiano in fuga con il colombiano rivelazione, gli irlandesi determinanti nella fase finale. Tutto il gruppo qualificato.
E poi, cosa dire. Machu Picchu. Una citta' sulla cima di una montagna, sentieri che si inerpicano sulle vette, lama che brucano indisturbati. Un tempio astronomico che segna equinozi e solstizi con una precisione inaspettata, terrazzamenti per le coltivazioni, e il rumore, lontano, del fiume Urubamba, ridotto a una linea sottile sul fondo della valle.
Fine del tour. La sera si fa ritorno a Cuzco, in treno e autobus, con una meraviglia del mondo in piu' negli occhi e nel cuore.


mercoledì, febbraio 16, 2011

Spiderman spiderman

GIORNO 25, CUZCO, PERU'

Quando non stai bene e sei lontano da casa tutto e' piu' difficile. Pensi di non alzarti dal letto, ma sai che nessuno ti portera' il pranzo o una tazza di the' caldo. Cuzco mi ha distrutto. Totalmente. Niente di irrecuperabile, d'accordo. Ma tempo perso, fermo, a fissare il vuoto.
E invece c'e la voglia di andare, di vedere. A migliaia di chilometri da casa, non si puo' restare ad apprezzare la decorazione di un paio di lenzuola e la morbidezza di un cuscino. Tutto sfugge un po' di mano. Pochi stimoli.
La vista della citta' dalla finestra. Notevole. Le urla di due australiani che giocano a ping pong. E non urlano perche' giocano a ping pong. Urlano e basta. Sempre.

In compenso le mie capacita' sensoriali stanno diventando come quelle dell'Uomo Ragno. Ho percepito che stava per entrare qualcuno in camera quando ancora non aveva iniziato le scale. Ho sentito una farfalla sbattere sullo specchio del bagno. Ho capito che la guardia all'ingresso dell'ostello stava leggendo dal fruscio delle pagine.
Superpoteri. O forse semplice attenzione, di chi aspetta che la giornata passi alla svelta e si porti via ogni stanchezza.

martedì, febbraio 15, 2011

Senza parole

GIORNO 24, CUZCO, PERU'

Oggi non ho niente da dire. Difficile essere piu' chiari di cosi'.

lunedì, febbraio 14, 2011

Ymca

GIORNO 23, CUZCO, PERU'

Sono proprio maledettamente europeo. Credo di avere qualche difficolta' con l'altitudine. Ma faccio finta di niente, questa soddisfazione alla gente che ridacchia dei turisti mezzi storditi in cima alle montagne non gliela voglio dare.
La notizia e' che se vivessi in Peru' sarei un cocainomane. Nel senso buono del termine, comunque. Niente a che vedere con quello che siamo abituati a sentire. Semplicemente mi devo fare una tazza dietro l'altra di the' con le foglie di coca, l'unico rimedio per combattere i sintomi della mancanza di ossigeno. Buono, tralaltro. E fa passare la fame, la fatica, fa vedere piccoli arcobaleni per strada. No beh, non esageriamo. Pero' speriamo che aiuti.

Oggi sono rinchiuso nell'ostello dei gringos. Un posto dove nessuno parla spagnolo. Dove dopo pranzo si ridacchia guardando South Park. Abbiamo un tavolo da biliardo e uno da ping pong, la sala internet, in centro per le escursioni, l'happy hour. E un bar ristorante dove si guardano le partite. Oggi per un attimo hanno girato su Milan - Parma quattro a zero.
Lo staff e' simpatico, e ogni giorno in bacheca sono esposte le attivita'. E' un piccolo villaggio turistico. Per San Valentino c'e' la serata due di picche. Domani il torneo della Wii.
Non ho niente a che fare con tutto questo, mi trovo qua per caso. Adesso pero' vado che e' partita Ymca e devo fare il trenino. Altrimenti gli animatori non mi lasciano in pace. Dal finto sudamerica e' tutto. A presto.

domenica, febbraio 13, 2011

Ventiquattro

GIORNO 22, autobus LIMA/CUZCO, PERU'

Ventiquattro ore. In autobus, su e giu per le Ande, tra Lima e Cuzco. Che in linea d'aria sono poco piu' di cinquecento chilometri, ma diventano mille e cento seguendo il tortuoso percorso che lambisce l'Oceano Pacifico, si butta poi nel misterioso deserto di Nazca e infine su per le montagne, tornante dopo tornante. Partito alle undici, arrivato alle undici e un quarto. Un giorno quasi cancellato dal vivere su una poltroncina tra bambini che mangiano pannocchie e signore andine che raccontano barzellette in quetchua.

Un buon tempo considerando che abbiamo perso un paio d'ore intorno a mezzanotte per la rottura di un freno. E quando tutti gli uomini sono scesi a dare un'occhiata, secondo la vecchia teoria che piu' si guarda piu' si ripara, sono andato con loro. All'inizio erano un po' diffidenti. Ma quando hanno sentito che anch'io davo la mia teoria, come ogni uomo che guarda i lavori, si e' instaurato un rapporto di fiducia e complicita'. Quando siamo diventate quindici persone a guardare il meccanico che lavorava, lentamente mi sono defilato. Su cinquanta passeggeri mi sembrava ci fosse gia' un'ottima rappresentanza.
Resto del viaggio tranquillo. Impatto con Cuzco. Manca l'ossigeno. E sono ancora solo a 3400 metri. Ah, e viaggio nuovamente da solo. Imprevisti. Piove, stagione delle piogge a Cuzco. Ho preso un poncho. Citta' di gringos. Mi sento a meta' tra i peruviani che non mi sopportano in quanto turista e gli americani che non mi piacciono.
Obiettivo, acclimatarsi. Trovare una via, un modo di essere. Respirare.


sabato, febbraio 12, 2011

Coffee time

GIORNO 21, LIMA, PERU'

Che dire. Giornata un po' persa. Basso stato di salute, nottata in giro per Lima, addormentato su una panchina chissa' dove. Mai sottovalutare i cocktail della tradizione locale. Tale Pisco Sour. Che si fa con il Pisco, che e' tipo un alcolico nazionale che si fa con due tipi d'uva. E poi succo di limone, zucchero, ghiaccio, e un pizzico di angostura, che ci sta sempre bene.
Cosi' ti sembra leggero, estivo, tropicale e invece e' come buttar giu' grappa friulana. La tradizione comunque e' la tradizione, e andava rispettata. Poi bella gente e buon ambiente. Certo, un po' di mal di testa e la sensazione di ritrovarsi a un raduno degli alpini.

Per questo mi sono messo a cercare un caffe'. Che e' tanto italiano, lo so, ma e' l'unica cosa della quale e' difficile fare a meno. E' quel rituale che ti fa iniziare la giornata. E' il momento tra amici dopo pranzo. E' l'occasione per parlare e incontrarsi.
Ovvio, il sudamerica e' pieno di caffe'. Ma stile americano, in bicchieri alti, in caraffe da centro tavola. Solubile, il piu' delle volte. Tanto che ti portano la bustina e l'acqua calda. Insomma, dopo vari tentativi, ho chiesto un macchiato. E mi hanno fatto un caffelatte con la schiuma. L'espresso e' il caffe' lungo. Il lungo, e' una pentola formato famiglia.
In fondo, basta solo sapere cosa chiedere.

venerdì, febbraio 11, 2011

Mario il cinese

GIORNO 20, LIMA, PERU'


Gli italiani sono in ogni angolo del mondo. Come i cinesi. E infatti, persino a Lima, c'e' una piccola chinatown. E cosa fanno i cinesi? Aprono ristoranti. Chiaro. Scontato.
Ma e' tutto un po' diverso. Non sono un'entita' a parte, come da noi. Sono parte di un tessuto sociale complesso e variegato. Ci sono addirittura dei camerieri peruviani, nei ristoranti cinesi. La salsa di soia e' insieme ai condimenti tipici andini. Si vogliono tutti bene, credo.
Perche' qui non c'e' la competizione sfrenata, l'arrivismo che invece domina il nostro paese. E i cinesi fanno prezzi normali, non stracciati, in linea con quelli degli altri ristoranti. Cosi' la gente non li odia. E parlano un bello spagnolo, senza accenti strani e parole strascicate, pronunciano anche le erre. E diro' di piu'. Parlano bene anche il romano. Lo dico sempre, facciamo un giro da Mario il cinese, che e' tanto simpatico e sono anni che non ci fa lo scontrino. Solo l'italiano e' indigesto. Come un involtino primavera rimasto sul fondo del sacchetto del take away.

Gli stranieri qui sono altri. Siamo noi. I gringos, gli americani arroganti. Certo, noi non siamo americani, ma non fa differenza. Non si distingue tra turisti, tra blankitos. Tutti uguali. Una donna me lo ha proprio detto in faccia, dovete smetterla di venire qui a rubare i nostri soldi. Sono cose che fanno male. Perche' fai di tutto per apprezzare una cultura, un paese. Parli con le persone come se fossero fratelli, sei estremamente disposto ad accettare, provare, vivere. Almeno per me e' cosi'. E invece sei l'ennesimo gringo pieno di soldi che sfrutta e disprezza.

Ma lo posso capire. La prima cosa che la gente pensa, quando parlo di un viaggio, e' che ho un sacco di soldi. Piovuti dal cielo, ovviamente. Europei o sudamericani non fanno differenza. Non sanno che in realta' non e' il denaro che ti permette di viaggiare. Non sanno che magari hai rinunciato a tante cose per tenerti da parte quei pochi euro. Soprattutto non sanno che occorre meno per viaggiare in giro per il mondo che per vivere la vita di ogni giorno.

giovedì, febbraio 10, 2011

Stessa spiaggia stesso mare

GIORNO 19, TRUJILLO, PERU'

Ho visto uno stadio per le partite di ping pong. Credo una delle cose piu' inaspettate di questo viaggio. E' come lo stadio del tennis, tondo, alto. Ma al centro c'e' un tavolo da ping pong. A Trujillo, che e' una bellissima citta' peruviana quasi sul mare. Uno dei quei posti dove si prende il gelato la sera, si vedono i gabbiani in cielo, ci sono le feste in piazza ma il mare non si vede. E come camminare sul lungomare, ma l'acqua non c'e'. E' sette, otto chilometri piu' in la'. Una citta' incompiuta, un piccolo errore di calcolo del piano regolatore ed ecco che una lunga fila di panchine da mare, uno stand di granite e la casetta di un bagnino si trovano a mezz'ora dalla spiaggia.

E allora facciamocela questa mezz'ora. Si esce di citta'. Ricomincia il deserto. E ci si imbatte in un capolavoro dell'umanita'. E' la citta' perduta (e ritrovata) di Chan Chan, un insediamento precolombiano che si estende per chilometri e chilometri. Muraglie incise con figure di guerrieri, stelle e pesci. Ci siamo, mi dico. Si sente anche il rumore delle onde, a tratti, portato dal vento. L'altare sacrificale. Le tombe. La sala vip, dove i sacerdoti si preparavano ai rituali, ingresso solo in lista. La piazza. E poi basta. Muro conclusivo, immenso, dodici metri d'altezza ad impedire la vista verso qualsiasi cosa sia dall'altra parte.
Camminata nel deserto, tra vento e polvere, per tornare alla strada principale, a qualche chilometro di distanza. Appuntamento con il mare rinviato.

mercoledì, febbraio 09, 2011

Machete

GIORNO 18, PIURA, PERU'


Il deserto. L'autobus viaggia sfrecciando su una lingua d'asfalto che sembra non avere fine. Per cinque ore attorno solo sabbia, rocce. Qualche montagna buttata qua e la, un paio di cespugli. La terra e' rossa, il sole anche. Non sapevo neanche ci fosse un deserto in Peru'. Il panorama e' affascinante. Forse e' la prima volta che viaggio di giorno, e' uno spostamento breve, sei, sette ore. Non c'e' assolutamente nulla attorno. E all'improvviso sale sull'autobus un venditore di cornetti, uscito da chissa' dove. Certo, i cornetti invece che essere alla marmellata sono ripieni di pollo e cipolla, ma non credo che nel mezzo del deserto si possa stare tanto a sottilizzare.

L'autista per deliziare il nostro viaggio mette un film. E' Machete. Machete e' forte. E' la storia di un tipo, che si chiama Machete. Era nei servizi segreti, nella Cia e nell'Fbi. Usava un machete per uccidere i cattivi con i mitra e le pistole. Poi gli hanno fatto fuori la famiglia, e lui ha iniziato a vivere per strada. E' messicano, e clandestino negli Stati Uniti. Non ha neanche piu' il suo machete. Poi un giorno i cattivi lo ingaggiano per uccidere un senatore contrario all'immigrazione, anche lui cattivo, che e' Robert De Niro. Il capo dei cattivi, che comunque e' anche amico del senatore, e' Steven Seagal. Quando portano Machete nel covo segreto, gli danno un arma, che e' un fucile di precisione. Ma per sicurezza lui prende anche un machete.
Ma e' una trappola. Vogliono solo uno da accusare per l'omicidio. E allora Machete si arrabbia. Con i suoi amici, un prete e una venditrice di tacos, mette su una banda. Che ha tutti gli immigrati clandestini dentro. E si riprendono la frontiera. Alla fine Steven Seagal affronta Machete. Lui ha due katana giapponesi, Machete due machete. E sei piccoli machete sul gilet da battaglia. Sembra che il cattivo vinca. Ma Machete ha solo fatto finta di perdere, e vince.
Sara' stato il deserto attorno, il viaggio, i cornetti al gusto di pollo. Ma mi e' sembrato il film giusto al momento giusto. Grazie autista, grazie Machete.

martedì, febbraio 08, 2011

Il freddo

GIORNO 17, CUENCA, ECUADOR

Il Freddo e' un personaggio di Romanzo Criminale. Non c'entra niente con quello che scrivo, ma fa audience. Invece quello che centra e' che in montagna fa freddo. All'equatore, sembra strano, fa freddo. Specialmente se piove giri con la sciarpa e la giacca a vento. Freddo freddo e' l'originalissimo nome di una gelateria di Cuenca. La catena del freddo e' il mantenere costante la temperatura di cibi surgelati e congelati per evitare che si rovinino o si creino microbi e batteri. In Sud America pare non sia conosciuta, mangi sempre quei gelati confezionati che si sono sciolti nel trasporto e si sono ricongelati in forme bizzarre.

Poi prendi un autobus, e in breve arrivi a una nuova frontiera, perche' l'Ecuador e' proprio piccolo piccolo, buttato li' in mezzo al continente. E al posto di blocco, in fila a farsi timbrare il passaporto, c'e' gente con le ciabatte. E il costume da bagno. Un asciugamano sulle spalle, giusto perche' nell'autobus c'e' il freddo. Dell'aria condizionata. Ma capisci, o almeno intuisci, che in Peru' c'e' il caldo. E non puoi fare a meno di sorridere mentre con la tua giacca a vento cammini accanto al popolo della spiaggia.

lunedì, febbraio 07, 2011

Sotto le nuvole

GIORNO 16, QUITO, ECUADOR

Legge universale di Quito. La mattina c'e' il sole, il pomeriggio piove. E siamo a tremila metri d'altitudine, il che significa che ti accorgi di essere all'equatore solo perche' il sole tramonta in quattro minuti, non certo per il clima.
La pioggia. Ecco qualcosa a cui non sono preparato. L'ho vista poco fino ad ora, un pomeriggio in Colombia e una notte in Venezuela. Devo trovare qualcosa per il mio zaino. E' un problema far asciugare i vestiti mentre si viaggia. Non credo si possa attaccare una fila di calzini al finestrino dell'autobus. Non e' elegante, e nemmeno pratico. Svolazzano troppo.

E poi da stasera, per un paio di settimane, non viaggio piu' solo. Mi segue una ragazza tedesca che studia a Quito, e che fa parte della stessa splendida community di viaggiatori nella quale mi trovo anch'io. Sara' strano. Mi ero abituato a un contatto da 'Into the wild' con i paesi che attraversavo. A tempi solo miei. Staremo a vedere.

domenica, febbraio 06, 2011

La frontiera

GIORNO 15, RUMICHACA, frontiera COLOMBIA - ECUADOR

Per sicurezza personale e delle persone coinvolte, nonche' per evitare problemi con la giustizia internazionale, non raccontero' tutto cio' che e' successo oggi alla frontiera di Rumichaca. Ufficialmente, dopo il mio arrivo in Venezuela, sono misteriosamente scomparso e ritrovato in stato confusionale nella cittadina di Tulcan, in Ecuador.

Tutto quello che si vede nei film d'avventura, come episodi di corruzione, passaggi di confine nascosti da una coperta, perquisizioni e posti di blocco, mazzette, sono pure invenzioni di fantasia. Episodi lontani dalla realta' dei fatti.

Comunque, dopo l'ennesimo autobus, sono a Quito. Dall'altro lato dell'equatore. Maggiori dettagli ve li raccontero' di persona al mio ritorno. In un luogo sicuro. Lontano da orecchie indiscrete.

sabato, febbraio 05, 2011

The terminal

GIORNO 14, POPAYAN, COLOMBIA,


Seduti in una sala d'attesa il pensiero raramente va al viaggio, al cammino che ci aspetta. O a quello che e' trascorso, ai ricordi vicini o lontani di una giornata o di una vita. La mente si concentra sempre sull'attesa. Seduti ad aspettare il prevedibile, con gli occhi che si spostano mollemente dai capelli arruffati della signora sulla panchina al banco dei panini del bar di fronte.
Cosi', piu' o meno, iniziava la mia tesina per la maturita'. Chissa' dove volevo arrivare. Il succo del discorso era che il futuro si costruiva tornando al passato. Che l'originalita' era riproporre l'antico nel nuovo.

Mi viene da pensarci dopo tutte le ore trascorse tra autobus e terminal. La scorsa notte dodici ore da Bogota' a Popayan. E questa sera via, di nuovo, sette ore per arrivare al confine. Mi piacciono le stazioni. Gli aeroporti. La gente indaffarata che trasporta valigie e pacchetti. Tutto quel movimento che non porta a nulla. Mi siedo. Mi alzo. Prendo un caffe'. Mi siedo. Cammino. Guardo una vetrina. Sfoglio un giornale.
Luoghi dove il tempo e' tutto, e niente. Dove il piu' delle volte non riconosci neppure la citta' o lo stato dove ti trovi, nascosti da pareti di acciaio e cristallo, banchi d'informazione, seggiolini neri.
Penso che potrei vivere in un terminal, in un aeroporto, come un nuovo Tom Hanks incastrato dalla burocrazia e costretto a sopravvivere in sala d'attesa. Mi muovo sorprendentemente bene in spazi sconosciuti, mentre la gente arranca tra i cartelli d'indicazione e gli avvisi dell'interfono.

In fondo e' una parte di viaggio anche questa. Che ti regala tempo per pensare, progettare. Per rivivere in modo rilassato la quantita' di stimoli che una giornata in terra straniera ti butta addosso. Per riappropriarti semplicemente di quello che ti sfugge nella fretta del tempo che corre.

venerdì, febbraio 04, 2011

Ariosto, il meglio per il vostro arrosto

GIORNO 13, BOGOTA', COLOMBIA

Mi sono sempre chiesto perche' esistono gli aromi per i cibi. Forse perche' non hanno piu' sapore. Come il leggendario Ariosto. Ovvero, aggiungi il sapore di arrosto al tuo arrosto. Tanto vale comprarsi una rosetta, spolverarla di Ariosto, e fingere il cenone del giorno del ringraziamento. O versarlo sul pacchetto delle gomme, e andare in giro masticando tacchino con patate.
Questo solo per dire che mi sono concesso il primo pranzo completo. E un pollo cosi' in Italia non mi capita mai di mangiarlo, tranne il giorno di pasquetta quando la nonna butta in tavola l'anatra cresciuta in cortile.

Adesso non voglio dire che in Colombia sia tutto sano e genuino. Ma in quel ristorante, sicuramente si'. Certo, chiamarlo ristorante e' un po' esagerato. E' una stanza piastrellata con due file di tavolini da fast food, quelli con gli sgabelli inchiodati a terra. La serranda alzata che sembra di entrare in un garage. Nessuna insegna, solo un cartello scritto in pennarello nero che annuncia menu' completo a 4000 pesos. Un euro e ottanta. E questo basterebbe a convincermi. E in piu' e' pieno di gente. Niente turisti, ancora meglio.
Zuppa di verdure come primo. Poi pollo al forno con patate. Un piatto di misto verdure, lenticchie e riso. Da bere limonata. Certo, accostamento azzardato, ma tutto sommato riuscito. Al servizio totale, preciso e puntuale per quanto spartano, darei tre stelle michelin.
E sicuramente mi riprometto di segnalarlo in una mia personale riedizione del Gambero Rosso.

giovedì, febbraio 03, 2011

Vite parallele

GIORNO 12, BOGOTA', COLOMBIA


Sentirsi a casa ed essere dall'altro lato del mondo. E' incredibile come una citta' possa entrarti nel cuore, come si possa condividere cosi' tanto con persone cresciute in ambiente, cultura e tradizioni differenti.
Sono nel quartiere della Candelaria, il centro storico della citta' ma anche una sorta di roccaforte universitaria, piena di spazi d'epressione, luoghi d'incontro, teatri e locali. Quasi sulla cima della collina, che da li a poco si trasforma in aspra montagna, si trova una piazzetta, plaza del Chorro de Quevedo. Sembra di stare nel centro di Bologna.

Gente seduta sui gradini a leggere col sole sulla fronte, un attore da un lato che intrattiene un gruppo di studenti, giocolieri e muri dipinti. Una giornata alla scoperta di vicoli stretti e colorati, vitali. E poi bella serata in un locale sulla settantesima con la community di viaggiatori della quale faccio parte.
A ridere con un professore di filosofia che ha provato a lavorare in Italia, e si e' ritrovato a distribuire volantini per le strade di Seregno. A parlare con una ragazza afro spagnola che fa la volontaria a Bogota'. A insegnare a un gruppo di colombiani come gli italiani parlano muovendo le braccia.

E sentendo che il mondo e' tutto li. E' esperienza e racconto. Indifferente trovarsi in un bar della Garbatella o sulla cima dell'Everest. Sono le persone, con il loro bagaglio di vita ed emozione, a rendere speciale un incontro, un momento. Sono le persone, che per quanto diverse possano essere, ti fanno sentire a casa.

mercoledì, febbraio 02, 2011

Corri, Forrest

GIORNO 11, BOGOTA', COLOMBIA


Sto correndo come un pazzo. Senza pausa, scivola tutto con una velocita' incredibile. Solo la giornata e' lenta, immensa, infinita. Piena e vuota, bianco e nero di una stessa sensazione.
Ma i chilometri non sono nulla. Le frontiere, appena accennate. Anche questa notte otto ore in autobus. Non e' tanto il nuovo, l'incontro, lo sconosciuto, l'esperienza a essere determinante in questo momento. E' il viaggio, la corsa. Essere un puntino che si muove sulla mappa.

Domani sono ancora qui. In diretta, da dove sto scrivendo, un ostello di fattoni nel centro storico di Bogota'. C'e' anche la sauna, lo devo dire. In fondo, siamo in alta montagna, 2600 metri. Anche se non sembra. Domani sera ho un incontro con un po' di gente della citta'. Ed e' giovedi. Venerdi' mattina, mi svegliero' ancora nello stesso ostello di fattoni. E domenica sono in Ecuador. Come, davvero non lo so.

martedì, febbraio 01, 2011

Siempre viva l'ipnorospo

















GIORNO 10, BUCARAMANGA, COLOMBIA

Giornata tranquilla. Di quelle che ti fanno riprendere il fiato. Un bus urbano a caso e mi ritrovo nel pueblito di Giron, che sembra uscito da un cartone animato. Casette bianche, ponti di roccia che attraversano il fiume, chioschetti dei gelati. Bambini che corrono, aquiloni, una scimmietta che suona il tamburo... beh, quasi. Dagli Appennini alle Ande. Il dolce Remi'. Cose di questo genere.

Nel pomeriggio Bucaramanga. File di banchetti che fanno spremute di mandarino. Di venditori che illustrano le proprieta' magnifiche di uno schiacciapatate. Appena sollevi lo sguardo, attaccano con la parlantina. "Le qualita' di questo prodotto sono tali che mai piu' nella vita vorrete schiacciare verdure con altri attrezzi". E via dicendo. E' un continuo, un mescolarsi di parole e aggettivi e di una formula rituale che apre ogni discorso, che richiama l'attenzione. 'A la orden'. Tradotto piu' o meno in 'a tua disposizione'.
Obiettivo, fuggire lo sguardo ipnotico. Altrimenti rispondere, con spiccato accento italiano, 'buona serata anche a lei'!

lunedì, gennaio 31, 2011

Romanzo criminale

GIORNO 9, CUCUTA, COLOMBIA

Difficile spiegare una serie di avvenimenti da telefilm poliziesco degli anni settanta. Diciamo solo, risveglio a San Cristobal, vicino alla frontiera. Autobus per Cucuta, Colombia. Zona malfamatissima nei pressi della stazione e un poliziotto con un fucile a canne mozze. Giro in centro, mi siedo al parco. Prende fuoco una macchina.
Poco dopo mi si avvicina un ragazzo che vende cd. Si parla del piu' e del meno. Se ne va e se ne avvicina un altro. "Non ci devi parlare con quello, non hai visto che ha una basetta lunga e una corta? E' il riconoscimento dei membri della banda degli Airones." Ok, volevano rubarmi lo zaino e stavano saggiando il territorio. Il tipo mi offre anche un caffe', almeno non e' andata del tutto male.

Grazie. Me ne vado, torno alla stazione degli autobus. Non e' la citta' giusta. Vado a Bucaramanga. Almeno dormo in viaggio. C'e' un servizio passeggeri, che e' piu' o meno un taxi, in partenza. Sono 40.000 pesos. E e' ufficiale, il mio bancomat non funziona.
"Signori, questo e' quanto vi posso dare". Cavo dalle tasca l'inimmaginabile. 10.000 pesos, 70 centesimi di euro, 4 bolivares, una caramella. Affare fatto.

Salto in macchina, saranno duecento chilometri. L'autista e' un disgraziato. Come tutti quelli che guidano su questa strada, che e' fatta di tratti d'autostrada e carraie di montagna. Sorpassa un camion in curva in prossimita' di un ponte. Fa volare un pedone con il semplice movimento dell'aria. Poi, uno scoppio. Abbiamo bucato.
Fermi nella notte, in un buio cosi' buio che e' difficile da immaginare, senza corsie d'emergenza. Ok, uno si sbraccia verso i camion che arrivano lanciati con le loro luci led. Uno illumina la macchina con la torcia. Uno cambia la ruota. Uno prega.
Inizia a piovere. La nuova ruota e' un po' piu' grande e quindi sbatte contro il parafango. Andiamo in giro facendo il rumore di un Ciao. La polizia ci ferma solo tre volte per controllare il bagagliaio. Al gran premio della montagna ci saranno zero gradi, ci fermiamo a comprare una tanica di benzina, un caffe' e un pezzo di formaggio. Il gestore e' infatti contrabbandiere, barista e produttore tipico.

In compenso Bucaramanga e' un'altra Colombia. Bella, ordinata, precisa. E soprattutto tranquilla.

domenica, gennaio 30, 2011

La mia casa ambulante

GIORNO 8, MERIDA, VENEZUELA

La mia casa ambulante avra' ancora due gambe, e i miei sogni non avranno frontiere.
Per fortuna ogni tanto mi tornano in mente frasi come questa. Che ridanno carica. Vita. Che tolgono quel velo di stanchezza.
Giornata difficile. Va detto che la prima settimana di ogni viaggio e' sempre la meno semplice da affrontare. Il corpo non e' abituato. La testa non assimila. Il cuore non si spoglia delle sue vesti europee facilmente. L'occhio cerca sempre il confronto, la differenza. Meglio noi, meglio loro.
Giornata difficile, appunto. Iniziata con 5 bolivares in tasca. Contanti finiti. A conti fatti, un euro e qualche cosa. Due spesi per una scheda telefonica. Uno per un quarto d'ora su internet. E basta.

Perche' va detto che i prezzi qui sono forse piu' alti che in Europa. Per darvi un'idea, un menu' da McDonald's costa 44 bolivares. Che sono quasi nove euro. Le uniche cose sulle quali si risparmia: autobus, telefono, benzina. A livello incredibile, poco meno di un euro per fare un pieno. Ma, evidentemente, io non vado avanti a benzina.
Quindi tutto fermo. Niente soldi, niente cibo. Bancomat e carta vuote per assurdi tempi bancari.

La lunga attesa. Il ragazzo che dovrebbe ospitarmi ha il telefono staccato. Capita. Mi siedo a leggere. Cavie, di Chuck Palahniuk, partito dall'Italia. Due capitoli e una chiamata inutile. Due capitoli e un giro in citta'. Due capitoli e razioniamo l'acqua, perche' costa e quella delle fontane non si puo' bere.
Le pagine scorrono. La quarta di copertina incombe.
Poi la sera verso il terminal degli autobus. Ennesimo tentativo a uno sportello bancomat, e questa e' la volta giusta. Ma ormai c'e' troppa strada tra la citta' e il sottoscritto. Cena al volo e un biglietto d'autobus per San Cristobal, alle tre del mattino.
Questa notte si fanno le ore piccole.

sabato, gennaio 29, 2011

Writerismi andini

GIORNO 7, MERIDA, VENEZUELA

Primo contatto con le Ande. Dopo una notte in autobus da dodici ore mi risveglio a Merida, dall'altro lato del paese. Avamposto venezolano sulle Ande, ridente cittadina a 1400 metri d'altitudine. Alle sue spalle una parete continua di roccia con una cima aguzza che taglia le nubi. E' il Pico Bolivar, 5200 metri.
Da oggi si comincia a salire. Si inizia a sentire un'aria diversa. Sottile, leggera. Bisogna abituarsi alla svelta. Convincere i globuli rossi a correre e farsi forza. A suon di reggaeton, credo sia la cosa migliore.

Merida per il resto e' un simpatico agglomerato di case a meta' tra la cultura andina e il suo essere venezolana. Ha una plaza Bolivar, un avenida Bolivar, la montagna Bolivar. Sulle schede telefoniche vedi il viso di Simon Bolivar, cosi' come sulle monete, i Bolivares. E nonostante siano passati duecento anni dalle imprese del mitico Libertador, sa come stare al passo con i tempi. E' infatti il personaggio che apre ogni murales della citta'. E del resto del Venezuela.
Un personaggio che e' mito e leggenda, ma soprattutto simbolo e quotidianita'.

venerdì, gennaio 28, 2011

Full

GIORNO 6, CHORONI, VENEZUELA


Full e' un termine della lingua inglese che significa pieno, completo. E' di uso comune in Venezuela, il paese piu' americanizzato del continente.
Ma filosofeggiando sul significato del termine, si potrebbe dire che "pieno" acquista il proprio valore solo se si definisce il concetto di limite o misura. Ovvero, un bicchiere e' "pieno" quando il liquido raggiunge il limite del contenitore. Un autobus e' "completo" se ha cinquanta posti e cinquanta passeggeri.

Ma forse le cose sono un po' diverse. Ho ordinato un 'perrito caliente full'. Che sarebbe un hot dog completo. Traduzione, due fette di pane contenenti: wurstel, formaggio, prosciutto, cipolla, insalata, pomodoro, patate fritte, ketchup e maionese. Il tutto spolverato di parmigiano. Servito in un piatto che apparentemente non contiene tracce del suddetto panino, sepolto da una piramide di ingredienti. Il potere del full.

mercoledì, gennaio 26, 2011

La tana delle tigri

GIORNO 4, MARACAY, VENEZUELA

Primo assaggio di vita vip in Sudamerica. Serata trascorsa in elegante club privato a bordo piscina mentre su nove schermi al plasma passa l'attesa finale del campionato venezolano di baseball. In campo i Tigres di Aragua, squadra locale di Maracay, contro i Caribes.
Il funzionamento del baseball appare abbastanza semplice: una squadra lancia, una batte. Il battitore colpisce la palla e inizia a correre. Se riesce a fare un giro di campo, ha segnato un punto. Se pero' gli avversari prendono la palla al volo, o la raccolgono e riescono a lanciarla a una base prima che il battitore l'abbia sorpassata con passo agile e ben disteso, il giocatore e' eliminato. Ogni tre eliminati, si invertono i ruoli. Tu lanci, io ricevo. Per nove inning, racchiusi in tre periodi di gioco da tre inning l'uno. E poi ci sono gli strike. Tre. Che se non sono strike sono ball. Che se sono quattro hai regalato una base. Che se hai le basi cariche e fai un fault la gente si arrabbia. Che se il lanciatore non lancia al battitore ma a una base tu ci devi essere. Altrimenti ti elimina. Insomma, facile.

Per fortuna nella mia collezione di film sportivi spicca "Major League - La squadra piu' scassata della lega", e cio' mi permette di fare una discreta figura di fronte alle domande inquisitorie dei sostenitori dei Tigres. Almeno a livello teorico.
Perche' c'e' un grosso problema nello seguire il gioco: le divise sono tutte uguali. Pantaloni bianchi e giacca blu. Il caso ha voluto in finale le uniche due squadre con gli stessi colori sociali. Cambia solo la scritta ricamata a caratteri rossi sul petto. E devi stare attento. Perche' se sbagli ad applaudire non e' il massimo trovarsi attorno il Tigres fan club.
L'unica cosa che risulta chiara e' che a ogni inning c'e' un attimo di pausa. E parte il reggaeton. E ognuno si riempie il bicchiere di ghiaccio dal cestello al centro del tavolo. E di coca cola. E di rum. Santa Teresa gran riserva, ovviamente.

martedì, gennaio 25, 2011

Trafficante

GIORNO 3, CARACAS, VENEZUELA

L'ultima sera a Caracas e' all'insegna della vita criminale. Che non fosse propriamente una citta' legale e trasparente mi era parso ovvio fin dall'arrivo in aeroporto, quando un poliziotto mi aveva avvicinato per cambiarmi denaro illegalmente. Anche con un prezzo discreto. Pratica tralaltro diffusissima, tanto e' vero che buona parte dei dollari che avevo con me hanno fatto un viaggio al mercato nero e sono tornati in bolivares con un tasso di cambio di 7 a 1. Senza commissione. 6 a 1 il prezzo della polizia. 5 a 1 per strada, dal venditore di spiedini. 4,3 il tasso ufficiale. Al quale va tolto un dieci per cento di commissione della banca o dell'agenzia, il che ti porta ad uno scarsissimo quattro.

Fatto sta che l'amico che ha gentilmente moltiplicato i miei pochi dollari per sette, quella sera mi propone di andare con lui a vendere rum di contrabbando. Saliamo in macchina e voliamo sull'autostrada che collega il piccolo pueblo dove mi trovo all'immensita' di Caracas. Nel bagagliaio tintinnano le bottiglie di rum Santa Teresa gran riserva.
Il discorso e' che la legge vieta a bar e negozi di vendere alcol dopo le nove di sera. Per questo alcuni studenti si sono inventati 'the ron delivery'. Consegna a domicilio. Con ambizione di allargare il giro offrendo un kit completo di rum, coca cola, ghiaccio e bicchieri da cuba libre. Tradizione irrinunciabile per combattere il caldo estivo e aiutare la concentrazione nello studio.

'Anche il padrino ha iniziato con il contrabbando di liquori'. Mi dice con simulato accento siciliano. E via, nella notte, verso un'altra consegna.

lunedì, gennaio 24, 2011

Relativita'

GIORNO 2, CARACAS, VENEZUELA


Tutto molto differente. Sfasato. Sveglio alle sette, senza motivo, con un sole alto e luce innaturale. Stiamo a meno cinque ore e mezza rispetto alla vecchia Europa.
La citta' immensa. Caracas. Una lingua di terra distesa tra due file di montagne. Boulevard di edifici eleganti e piccole case colorate disperatamente aggrappate ai fianchi delle colline.
Un paesaggio da videogioco. Boschi di palme e un fiume melmoso di macchine che invade la pianura. Ford degli anni 70, Chevrolet e macchine ultramoderne. Una Mustang rossa da boss della malavita. Gente in piedi sui pick-up. Appesi fuori le porte dei pulmann.

Colazione all'universita'. Arepa e spremuta. Un bus blu striato di bianco per Chacaito. E poi a caso.
Tra chioschi improvvisati agli angoli delle strade, tra venditori di ghiaccio e caffe'. Tra signore che si connettono a facebook con il blackberry. Tra chi cerca di rifilarti uno spazzolino per poter guadagnare quei pochi spiccioli per poter mangiare a fine giornata. Un paese di contrasti, violenti, che hanno il colore socialista dei mattoni delle favelas e i riflessi delle pareti specchiate dei grattacieli.

Serata a 'Il Teatro', bel locale a meta' strada tra l'intrattenimento artistico e la discoteca. Serata di stand up comedy. Quattro comici sul palco che infiammano il pubblico usando come argomenti le donne e la politica. Per essere cosi' lontano da casa, non mi sembra che in fin dei conti il mondo sia tanto differente.

domenica, gennaio 23, 2011

Blocchi di partenza

GIORNO 1, CARACAS, VENEZUELA

Atterro quasi senza rendermene conto. La notte precedente non ho dormito. Forse per i preparativi, per l'emozione, l'indecisione. Su quello che e' necessario e quello che non lo e'. Ho trovato qualcosa da fare fino alle cinque del mattino. Poi via, in aeroporto. Con un soddisfacente bagaglio a mano. E basta. Sette chili e duecento grammi.

E in un attimo Madrid. Aeroporto immenso. Mezz'ora di cammino per arrivare al terminal U.
E via di nuovo, si decolla. Sonno. Penso di aver dormito per piu' di meta' oceano atlantico. Ricordo a tratti un hamburger che galleggia in un pure' di spinaci. Una camminata lungo le cinquanta file di passeggeri. Una tazza di caffe'.Un film annunciato del quale non ho visto neppure un fotogramma.
Quando mi risveglio per l'ennesima volta il display segna un puntino rosso sulla costa venezolana. Caracas. L'inizio di un viaggio.

sabato, gennaio 22, 2011

Spiegazioni ai gentili lettori

Questo blog era nato nel 2007 per raccontare un viaggio a Valencia, per essere un filo diretto con gli amici a casa e un punto di vista differente sulla Spagna e sul mondo. Poi e' diventato un diario di vita, a Bologna. E un romanzo on the road, a zonzo in Europa. E poi di nuovo quotidianita', a Roma.
Ma un giorno tutto cio' non ha piu' avuto motivo di esistere. E penso non ne abbia neppure ora.

Ma l'occasione di raccontare il viaggio che sto per intraprendere non me la voglio perdere. E se qualcuno vorra' leggere queste poche righe, mi fara' piacere. Perche' e' un modo per sentirsi vicini. Per condividere. Per scoprire ogni giorno come le cose appaiono differenti a secondo del lato dal quale si guardano.