giovedì, marzo 29, 2007

Bologna radical chic

Amo le bancarelle tutto a un euro. E i negozi a novantanove centesimi, ottantacinque se si è fortunati. Mi sono perso nella fiera del libro che imperversa tra le strade di Bologna. Cultura per tutti, buttata qua e la, disordinata sotto pile di vecchie riviste, volumi di storia omaggio col giornale dei programmi tv. Lunghe file gialle di romanzi polizieschi, piatti colorati sulle copertine dell’enciclopedia della cucina, giusto accanto al Capitale di Marx, nei suoi pratici otto volumi.
Curiosi più che lettori che si assiepano ai lati dei banchi ingombri, sotto lo sguardo vigile di stanchi rivenditori. C’è chi si lancia sulle dispense d’arte, chi sul manuale di pronto soccorso. Uno scatolone di libri di Freud invenduti: stimato da tutti, letto da nessuno. Forse perchè non è mai bello sentirsi indagati, psicanalizzati. Accanto un’altra scatola, giardinaggio, agricoltura, astrologia.
Persone concitate che sfogliano e incartano volumi, con velocità sorprendente, forse contagiati da quell’interesse radical chic per i libri vissuti, per la cultura di seconda mano. O forse perchè vogliono riempire gli spazi vuoti nella libreria, da mostrare a uno bravo quando li viene a trovare. O forse perchè davvero li vogliono leggere.

Un volumetto lontano attira la mia attenzione, teatro di Ibsen, mai letto e appena sentito, da quanto mi ricordo un po’ psicotico e fissato con presenze inquietanti, fantasmi del passato che non si possono dimenticare. Un uomo che scrive in una terra fredda, Svezia o Norvegia. Non mi ricordo bene. Sicuramente un posto pieno di fiordi, un po’ desolato e angosciato, al di fuori del mondo come le storie che racconta. Un euro per un pezzo di letteratura, immortale. Forse da leggere e vivere, attraverso sensazioni che dalle pagine passano alla pelle, dalle lettere al respiro. O forse solo da portare via, mettere in libreria o sul comodino. In attesa. Se non altro per avere un piccolo pezzo di terra lontana nell’ambiente rassicurante della propria casa.
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martedì, marzo 27, 2007

Considerazioni inattuali

“Pensiamo troppo e sentiamo troppo poco. Più che di macchine abbiamo bisogno di umanità. Più che d'intelligenza abbiamo bisogno di dolcezza e di bontà. Senza queste doti la vita sarà violenta e tutto andrà perduto.”
Non so perchè mi sono tornate in mente queste parole, discorso di un Chaplin ispiratissimo. Forse per la giornata surreale che ho vissuto. Ho rivisto amici che non vedevo da molto tempo. Dieci anni, per la precisione. E quando si hanno vent’anni e poco più, sono veramente molti. Amici che sono molto nel mio passato e pochissimo nel mio presente, volti, espressioni, parole e ricordi d’infanzia. Un’altra città, un’altra casa, un’altra scuola, un’altro micromondo, un’altra sensazione, un’altro obiettivo, un’altro sguardo. Perchè si può viaggiare continuamente e vivere da cittadini del mondo, ma non si possono cancellare le radici, i luoghi dove siamo cresciuti, i prati dove abbiamo giocato e iniziato a costruire la nostra vita.
Ho visto per un giorno come sarebbe stata la mia esistenza se al bivio di dieci anni fa avessi preso l’altra strada. Nè migliore nè peggiore, forse solamente diversa. E poi chissà, magari sarei uguale ad ora. Perchè l’ambiente che hai attorno ti modifica, ti influenza, ma non può crearti in un modo prestabilito, preciso, convenzionale. Per fortuna. Altrimenti saremmo tutti davvero calciatori e veline, arrivisti, egoisti, politicizzati e via dicendo.
Guardarmi nello specchio del passato mi ha lasciato un velo di malinconia. Ma anche la voglia di afforntare scelte, bivi, senza paura di perdere nulla. Perchè tutto può tornare a trovarti per caso in un pomeriggio di primavera.
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sabato, marzo 24, 2007

Mezze stagioni

Dicono che non ci sono più le mezze stagioni. Ma la frazioni secondo me sono rimaste lo stesso. Nel senso che ora, appena dopo un dodicesimo di primavera, sta facendo un ottavo d’inverno. Torna il freddo quando già avevo messo via la giacca per prendere il costume e sdraiarmi in spiaggia. Non mi è chiaro cosa sta succedendo, fino a qualche anno fa mi sembrava tutto semplice, lineare.
Adesso non riesco mai a capire qual è il momento in cui cominciano a cadere le foglie degli alberi. O quando tornano sugli alberi. Cammino e da un giorno all’altro vedo tutte le foglie per terra. Forse cadono tutte insieme, di notte, per non dare fastidio. Così come non mi accorgo quando sbocciano i fiori. Però questo lo vedo che non lo fanno tutti insieme. E non sempre nello stesso periodo dell’anno. Quest’anno però vedo boccioli e germogli spaventati dal gelo, spuntati in un soleggiato gennaio; a casa ha addirittura nevicato, forse questo non sarà un buon anno per fiorire.

Quand’ero bambino e abitavo in montagna era come vivere in simbiosi con la natura, sentire prima ogni piccolo cambiamento. C’erano alberi dai nomi singolari: abete rosso, pino cembro, larice. Che è un pino che perde le foglie o meglio, gli aghi. Le betulle con la corteccia bianca, e i boschi piano piano d’autunno diventavano gialli, arancioni, rossi. D’inverno si vedevano solo le macchie verdi delle conifere nell’immensità della neve. Poi primavera, estate, colori e profumi, fiori e prati. E poi si ricominciava con una regolarità rassicurante, tutto al proprio posto, tutto preciso, giacchetta, giacca, cappotto, piumino. Sarà che adesso non distinguo un albero da un cartello stradale, ma a volte è difficile orientarsi tra sconvolgimenti climatici. Fra mesi che non hanno più senso nella loro successione.
Intanto questa notta mi rubano un’ora, con la scusa dell’ora solare ora legale. Me la ridaranno solo fra sei mesi, in chissà quale nuova stagione.
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giovedì, marzo 22, 2007

In direzione ostinata e contraria

Ogni volta che devo viaggiare, spostarmi, per necessità o anche solo così, per mettere un po’ di chilometri sotto i denti, per guardare il mondo con i miei occhi. Mi ritrovo a lottare contro le feste, le masse dei turisti per caso, i prezzi alle stelle. In un mondo che pullula di viaggi low cost, labirinti inesplorati di prenotazioni, compagnie aeree sconosciute, bus internazionali, tra i quali è veramente difficile orientarsi. Possono passare giorni per trovare la via migliore. Offerte. Con immancabile asterisco, che riporta alla voce: offerta non valida in prossimità di festività o dei maggiori eventi sportivi.
E’ dura la vita del lowcostista, o con parole più semplici di chi vuole spostarsi senza spendere una follia. Può sempre esserci in agguato una festa patronale, un gran premio di automobilismo, una fiera del mobile che fa levitare i prezzi in modo eccezionale. E certo affidarsi a linee convenzionali non è un vero affare. Basti pensare che il costo di un semplice Valencia-Milano può spaziare dai venti euro dei low cost fino ai cinquecento di una compagnia ben più nota (per rispetto alla privacy diremo solo che nel suo nome contiene le parole “Ali” e “Italia”).
Ora cercherò di infilarmi tra Pasqua con relativa settimana santa, ponte del 25 aprile, festa dei lavoratori, partite di Champions League e regate di America’s Cup. Mettendo diligentemente in fila prezzi e disponibilità, valutando se meglio atterrare a Pisa con la quasi certezza di passare la notte in aereoporto piuttosto che Bergamo, Malpensa, Forlì. Perchè il mondo è sempre più piccolo e a portata di mano, ma i chilometri che ci separano dalla pista di decollo sembrano sempre troppi.
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mercoledì, marzo 21, 2007

Slow thinkin'

“Con l’insonnia nulla è reale, tutto è lontano, tutto è una copia... di una copia... di una copia...” Sono tre giorni che non dormo. O meglio, che vivo costantemente in quel sottilissimo limbo tra on e off. Che significa svegliarsi un’ora dopo essere entrati nel letto, addormentarsi sul divano mentre si aspetta che bolla l’acqua per la pasta. Chissà poi se per cena o colazione. E non saprei fare una lista abbastanza lunga di cose fatte da coprire le ultime settantadue ore. In parole più semplici, non mi ricordo come ho passato le giornate.
Solo qualche immagine, strade piene di gente, una montagna di piatti da lavare, il fumo dei fuochi che passa attraverso la tapparella. Ho fatto troppe volte lo stesso sogno. Questo sicuramente. Sempre con forme e colori diversi, come piccoli cortometraggi di tanti registri sullo stesso racconto. Sono stato annebbiato e raffreddato, non mi sono neanche accorto di come da un momento all’altro siano cessati botti, esplosioni, petardi e fuochi d’artificio. Ecco, forse è proprio questo ciò che mi tiene sveglio: il silenzio. E’ come se finita la festa mi fossi resettato, riavviato per un blocco del sistema.

Intanto oggi si laurea un caro amico e io sono bloccato qui ancora qualche giorno, ultimo nella marea umana che lentamente defluisce da Valencia verso l’Italia dopo Las Fallas. Forse è questo che mi tiene sveglio: essere lontano in questi giorni, riflettere su tutti i progetti che andranno portati a termine, desiderare forse per la prima volta che il tempo passi più in fretta. Perchè in fondo siamo viaggiatori in una sala d’attesa, che non sanno pensare al presente, ma solo al cammino che li attende. Senza sapere come sarà.
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domenica, marzo 18, 2007

Lezioni di microeconomia

Sono sempre stato affascinato dal piccolo mondo del mercato sommerso, clandestino, fatto di persone che vendono, scappano, tornano e vendono. Mescolate nella folla, davanti agli stadi, lungo le spiagge, ai concerti, nei locali. Una vendita al dettaglio itinerante, organizzata e puntuale, che riverse nelle strade cinture, rose, cd, quadri.
In questi giorni Valencia è sconvolta dalla festa de Las Fallas. Il traffico sparisce dalle strade lasciando spazio e pubblico a commercianti, truffatori, venditori e artisti. Proprio di fronte all’arena dei tori un pagliaccio gioca coi passanti e incanta i bambini, un mago si esibisce con trucchi non tutti riusciti perfettamente. Ai lati delle vie, noncuranti di tutto ciò che può accadere, stanno le statue viventi. Rispondono ai botti dei petardi con un semplice battito di ciglia, immobili, argentate. Solo di quando in quando riprendono vita con movimenti metallici e regolari, sempre legate al personaggio da un filo sottile di arte e perplessità. Un cowboy, un elefante e un antico legionario si nascondono tra le pieghe della folla, rubando l’attenzione dei passanti.
Ma è nella notte valenciana che i veri strateghi della microeconomia scendono in campo. Personaggi singolari, che si muovono nella confusione con zaini e valigie vendendo lattine di birra. Alcuni furtivi, discreti, altri esagerati e noncuranti. Camminano con carrelli che hanno riempito al discount nel pomeriggio, rifacendosi un euro alla volta delle spese di viaggio, d’acquisto, d’affitto.
I più coraggiosi si pubblicizzano alzando cartelli sopra la massa informe di teste e persone che cammina nel centro città. Quando ormai il mercato abusivo della birra è pieno, ecco spuntare valide alternative, banchetti di cocktail e sangria che lentamente si scavano la loro nicchia nella new economy valenciana. Pochi secondi e il banco è pronto, un rapido cambio di postazione per un imprevisto passaggio di polizia e l’avventura ricomincia. Destino peggiore tocca ai venditori di panini, che nella fuga dalle forze dell’ordine devono trascinarsi dietro bombola del gas, ceste di pane e piramidi di salsicce tra due ali di folla affamata e sempre pronta a cogliere al volo l’occasione.
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giovedì, marzo 15, 2007

Notizie dal fronte

Oggi iniziano ufficialmente Las Fallas. La città respira a fatica, ogni via è intasata di luci, petardi, musiche, persone. Lingue e dialetti dal mondo, canzoni, vento e colori.
Passando davanti a plaza de toros ho visto una strana agitazione. Persone che pulivano, sistemavano, con una fretta preoccupante. Senza cadere nei luoghi comuni dello spagnolo scansafatiche, è raro vedere qualcuno che lavora a questa velocità. Gli spagnoli si danno da fare sempre, ma con i loro tempi. Poi leggendo un manifesto ho capito, ci sarà un altra corrida oggi, dopo quella convenzionale delle cinque del pomeriggio. O meglio, come mi ha spiegato un folkloristico venditore di picche (ma chi se la compra una picca?), si terrà un’esibizione dei tori che scenderanno domani nell’arena. Una sorta di corrida ecologista, nella quale uomo e animale si fronteggiano ad armi pari, senza spadino e picadores, girando furiosamente attorno a quel quadrato di stoffa rossa. Sei animali, tra i quali il “famoso toro Farruquito”. Che poi mi chiedo come faccia ad essere famoso un toro. Infatti dopo una sola corrida la carriera finisce, e in malo modo. Per intendersi da domani sera non si parlerà più di Farruquito. Forse è famoso in allenamento, magari è solo il toro più grosso, quello che lotterà strenuamente per evitare la fine dei cinque predecessori.

Perchè domani si troverà davanti una specie di promessa delle scuole di Spagna, un ragazzino di diciannove anni vincitore di premi, decorazioni, eletto miglior giovane dell’anno. In una disciplina al limite tra il macabro e l’eroico. Manifesti appesi per le strade mostrano foto dei toreri scintillanti e i loro inquietanti curriculum. Perchè ci si può complimentare per la loro bravura con un’ovazione, con un silenzio, o regalando loro l’orecchio dell’animale sconfitto. Accuratamente segnati come vanto, come carta di presentazione delle capacità di un torero.
Perchè a volte le tradizioni di un paese sono più forti di qualunque altra cosa.
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martedì, marzo 13, 2007

Tre passi avanti

Cammino. E tanto, sempre e comunque. Perchè camminando si scoprono percorsi sconosciuti, si affronta una città con la lentezza necessaria, si supera il fastidioso limite del ricordo formato cartolina. Si fissano nella mente volti e profumi, parole e pensieri, scritte sui muri, sensazioni. Forse anche l’immondizzia agli angoli delle case e i barboni sotto ai ponti.
Finchè torno a casa, in quella via tranquilla fatta di due file di palazzi gialli che si specchiano uno nell’altro. Stretta, poco trafficata, leggermente anonima, eppure piena di attività, uffici, persone. Un micromondo perfettamente autonomo, con tutto ciò che serve. Credo che si potrebbe vivere senza uscire mai da questa strada, immaginando l’infinito e lo sconosciuto al di là del parcheggio residenti o del cartello di precedenza. Un supermercato, due agenzie di viaggio, un negozio di cuscini. Si, solo cuscini. Il tabaccaio più piccolo del mondo. La porta aperta arriva a toccare il bancone, si entra uno alla volta ovviamente. Poco più in là c’è una sorta di ‘club dei toreri’, un bar molto folk e forse kitsch. Ha più teste di toro appese alla pareti che clienti in un anno. Proprio di fronte un laboratorio fotografico che ingombra il marciapiede di telescopi, gelosamente curati dal proprietario, che va in apprensione ogni volta che deve rientrare in negozio per qualche cliente. Una banca con accanto un bar dove si ritrovano tutti gli impiegati durante la pausa pranzo. In fondo alla strada un’altra banca, altro bar, altri impiegati. Un negozio di tessuti, forse in affari o forse rivale del negozio di cuscini.
Tutti tranquilli, rilassati, contenti di trovarsi appena fuori dalla confusione che in questi giorni si abbatte sulla città. Una strana sensazione di calma, che svanisce non appena si passa il cartello di precedenza ricadendo nel traffico dell’ora di punta.
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lunedì, marzo 12, 2007

Catodicismi

A volte è desolante essere in casa, sul divano, accendere la tv. E sentire Woody Allen che parla come il dottor House che a sua volta ha la stessa voce dell’uomo ape dei Simpson. Quella stessa cadenza spagnoleggiante che non si adatta per nulla ai movimenti delle labbra, alle espressioni del viso. Perchè spesso la forza di un attore sta proprio nella sua voce, inconfondibile, profonda e a volte stridula, concitata e rilassata. E nella bravura del suo doppiatore. Forse sarà colpa mia che ancora non ho l’orecchio allenato alla cadenza, alla pronuncia di questo paese: ma mi sembra seriamente che in televisione abbiano tutti la stessa voce. Un po’ come i cinesi che sono tutti uguali.
Anche un po’ come i canali tv che sono tutti uguali.

Mi abbandono allora tra le braccia di Internet, che sempre di più diventa ricettacolo di video e programmi da tutto il mondo. Trovo il cartone animato di una ragazza giapponese che gioca a pallavolo, e ama un ragazzo anch’egli giocatore. Già visto, già sentito. Mila e Shiro. Soltanto che qua si chiama Juana y Sergio, doveroso omaggio alla voglia di nazionalismo che annienta ogni parola straniera. Certo non ho mai capito perchè in Giappone nessuno avesse gli occhi a mandorla. Poi Mila ha addirittura i capelli rossi. Ma pensare che a fine partita lei e Shiro-Sergio vadano a prendersi una paella proprio non esiste.
Subito dopo Oliver e Benji. Qui più o meno ci siamo, campi da calcio lunghi sette chilometri, flashback che durano tre puntate, Giappone che vince i mondiali. Se non fosse che la sigla è quella di Lupin. E mi sorge il dubbio che Cristina D’Avena non sia proprio un guru della musica mondiale, ma piuttosto una ragazza come tante che una volta all’anno va nel paese del sol levante, si compra la compilation “Top of the cartoons volume 12”, torna in Italia e vende milioni di dischi. Di canzoni tradotte e cantate con voce ingenua e spontanea.
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venerdì, marzo 09, 2007

Questione di particolari

E’ un po’ che un’idea mi gira per la testa. Voglio capire, sperimentare in prima persona. Sarà per una voglia di salutismo o un’utopia di sviluppo sostenibile, per curiosità o sfida con se stessi. Forse perchè tutto cambia sempre più velocemente e non ce ne rendiamo conto. Fatto sta che da domani inizio la mia settimana da vegan, ovvero vegetariano di terzo livello.
Che poi non ho mai capito bene questa storia dei livelli, delle correnti di pensiero. Pescetariani, eliminano la carne dall’alimentazione, subito dopo vegetariani, nè carne nè pesce. Vegan, escludono qualunque alimento di origine animale. Sembra incredibile, si può andare ancora più in là. Ci sono ancora i crudisti, solo alimenti vegetali non sottoposti a trattamenti termici, e i fruttariani, solo frutta a semi.
Ho letto che se tutti fossero vegetariani nessuno morirebbe di fame; paesi del terzo mondo coltivano campi che invece che per il loro sostentamento servono a produrre mangimi per gli allevamenti europei. Un momento di riflessione, un’occasione per scoprire nuovi cibi, senza andare allo sbaraglio, ma valutando lentamente ogni passo. Per quella che non è solo un’abitudine alimentare, ma un vero e proprio stile di vita. Via latte, uova, miele e ciò che ne consegue. Via giacche in pelle, cinture di coccodrillo, maglioni di lana. Via alcool e sprechi di acqua e luce.

Ho scoperto che esistono cibi che non ho mai sentito: alghe, tofu, seitan. Che l’insalata è ottima con una manciata di semi di girasole. Che proprio a Valencia si produce l’orchata de chufa, una sorta di latte vegetale energetico. Che di vegetariani sono pieni il mondo e i libri di storia. Leonardo da Vinci, Confucio, Platone, Kafka, Tolstoy.
Magari tra una settimana mi ritroverò più intelligente.
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mercoledì, marzo 07, 2007

Al limite del paranormale

Penso che quando si compie una scelta, in piena libertà, poi non si abbia neanche più il diritto di lamentarsi. Si ha tutto il tempo prima di valutare, conoscere, organizzare: dopo si può soltanto aprire anima e mente a ciò che si va incontro, vivendo con tranquillità e consapevolezza. Ovvero nessuno è obbligato ad andare a studiare all’estero. Anzi, nessuno è obbligato a studiare una volta uscito dalle superiori. Lo dico perchè mi sembra incredibile trovare persone che vengono a studiare in Spagna e si lamentano. Perchè c’è confusione, allegria, voglia di conoscere, incontrare, provare, viaggiare.
Al limite del paranormale, che l’ultima arrivata in casa chieda cinque euro a testa perchè i prezzi delle camere non le sembrano divisi equamente. O che una ragazza finlandese, dopo cinque mesi a Valencia, parli ancora inglese, lamentandosi per la scarsa conoscenza linguistica di italiani e spagnoli. O che l’altra conquilina a mezzanotte batta i pugni sul muro della camera chiedendo silenzio, per una volta che ho invitato qualcuno a cena. Certi comportamenti mi sembrano talmente ridicoli che non mi interessano neppure. Solo credo che un’esperienza simile capiti una volta nella vita, vada vissuta a pieno, senza continuare a pensare “a casa mia si fa così”, ma incontrando stili di vita diversi, orari sballati, personaggi unici. Passando magari una serata ascoltando musica e mangiando l’insalata con miele e mostarda preparata dagli olandesi ospitati in questi giorni. Senza troppi perchè, senza bisogno di garanzie e sicurezze.

Per la cronaca ho dato cinque euro alla conquilina, sono uscito a mezzanotte per non dar fastidio e se trovo nel lavandino un piatto sporco che non sia mio, lo lavo ugualmente. Ma si sa, non tutti possono pensarla allo stesso modo.
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lunedì, marzo 05, 2007

Una fiesta incomparable

Tramonto, ombre che si allungano, giro in bicicletta verso la spiaggia. Turisti al porto, vento che ancora soffia sulla baia, equipaggi stanchi che tornano dagli allenamenti.
Passo tra le basi dei team, attraverso un brulicare di persone, immagini e colori.
Una giornata da ricordare, perchè per la prima volta sono salito su una barca di America’s Cup. Oracle, per la precisione. Certo, non in mare. Certo, non la barca ufficiale. Su USA 76, la barca usata nell’ultima edizione, esposta in tutta la sua bellezza di fronte al quartier generale del sodalizio statunitense. Un’emozione imperdibile, vedere finalmente da vicino, toccare, quella che è una vera formula uno dei mari. E chi è stato qualche volta là fuori, tra onde e vento, solo con un guscio di noce legato ad un fazzoletto come vela, può davvero capire quanto di speciale ci sia in questi venticinque metri di cavi, carrucole, equilibri.
Proprio di fronte la base di Luna Rossa, che gelosamente custodisce i suoi segreti. In lontananza le bandiere di Nuova Zelanda, Svezia, Germania, Cina e delle dodici squadre che presto si daranno battaglia tra le onde di Valencia.

Oggi anche primo giro alla famosa Mascletà, il grande spettacolo pirotecnico che ogni giorno si tiene nella piazza principale. Due scoperte importanti: 1) i fuochi d’artificio si vedono anche di giorno; 2) ciò che non si vede di notte è il fumo, immenso, che si leva e dopo dieci minuti cancella ogni palazzo, ogni persona. Da vecchio lupo di mare mi sono posizionato sopravento, evitando per poco la nube impenetrabile e colorata che si è rovesciata sui malcapitati spettatori. 3) solitamente i fuochi vengono sparati in alto e lontani, se come qua ti esplodono sopra la testa si sentono decisamente più forte. Gran finale con autorità e ragazze in costume tradizionale schierate sul balcone del comune, insieme agli eroi del giorno, i valorosi artificieri. Tripudio. Ovazione sulle note dell’inno della festa. “Valencia en Fallas, es una fiesta incomparable...”
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domenica, marzo 04, 2007

New economy a due ruote

Finalmente ho una bicicletta. Una grande conquista, che porta il tragitto da casa al porto America’s Cup a meno di dieci minuti. Trovata la notte scorsa al leggendario mercato clandestino, luogo senza tempo che appare all’alba proprio di fronte al Mestalla, lo stadio del Valencia. Vestiti, lettori dvd, orologi, frullatori, esposti tra scatoloni e coperte, carrelli della spesa e macchine scassate. Una sorta di ritrovo abituale, con tanto di controllo veloce della polizia, che sembra essere ormai rassegnata a questo genere di episodi. Ogni tanto qualcuno scappa, si nasconde, ma in generale l’atmosfera è rilassata e gli studenti squattrinati arrivano numerosi ancor prima dell’alba.
Ci sono tante biciclette qua e la, i venditori ti accolgono con un tronchesino in mano, e già penso che la bici che sto comprando deve essere passata per cento persone prima di arrivare a me. Probabilmente non l’ho proprio comprata. E’ da considerarsi più come una tassa di noleggio, un diritto all’uso prima che venga rubata nuovamente e immessa nel mercato. Sono le leggi della new-economy, flessibilità e precarietà del lavoro. Il ‘venditore’ mi elenca subito le bellezze del prodotto: è di qualità, ha addirittura il cambio sul manubrio, cavalletto funzionante, parafango. Mi complimento con lui, ha scelto bene e sa promuovere la sua merce. Dovrebbe fare una televendita. Insiste nel farmi sentire come suona bene il campanello, mi dice che ha fretta perchè in giro c’è la polizia e lui non ha la licenza per vendere. Ma dai? Altra scampanellata. Fretta. Campanello. Affare fatto e se ne fugge nella notte.
Pedalo nell’oscurità, attraverso ponti e strade, accelero fino a 88 miglia, quanto basta per viaggiare nel tempo. E’ la prima volta che mi evito mezz’ora di camminata.
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sabato, marzo 03, 2007

Ragazzi di vita

L’identità nazionale a volte è fortissima. In Italia sicuramente, visto che quando si esce dai confini dello stato non si smette mai di parlarne. Si raccontano leggende sul fatto che tutto sia più bello, migliore, perfetto. D’altronde abbiamo inventato pizza e spaghetti, e con questo ci giustifichiamo quando non rendiamo merito a culture millenarie e sconosciute. Italians do it better.
Quando parlano spagnolo gli italiani non ci mettono neanche un briciolo d’impegno. Tanto si fanno capire ugualmente. Verbi coniugati all’infinito, parole in dialetto, pronuncia così come viene. Certo ci sono anche quelli che si applicano, studiano, è solo questione di tempo.
Ma una linea generale di supponenza ci precede sempre. L’Italiano suscita simpatia, ma sotto sotto viene considerato un po’ sbruffone, un po’ tonto (in spagnolo rende bene l’idea). Quello che arriva, punta la prima ragazza, poi vede rotolare un pallone per terra e gli corre dietro.

Per la cronaca ho conosciuto il primo siciliano che parla spagnolo perfettamente. E il primo valenciano che parla toscano. E la prima ragazza finlandese che picchia un ragazzo. Può sembrare strano, ma è proprio così. Notte, chiusura di un locale, gente ubriaca. La bionda fanciulla, che si sentiva presa in giro, ha afferrato il giovanotto per il collo e lo ha sbattuto a terra. Con conseguente rabbia omicida di quest’ultimo ferito nell’onore. Ho così pensato di adottare la solita tattica: passare in mezzo, dire una frase stupida tipo “un carabiniere entra in un caffè, splash”. Di solito i lottatori rimangono molto stupiti e quell’attimo fa sbollire la rabbia. Almeno, se poi si picchiano, lo fanno con meno convinzione. Questa volta invece sono rimasto bloccato tra i due. Da una parte lo spagnolo, che secondo me pensava più o meno: “una ragazza non la picchio, però faccio il gesto forte tanto c’è questo qua che mi ferma”. Dall’altra la finlandese: “io quello lo ammazzo, tanto c’è questo qua che me lo tiene fermo”. Pochi feriti, qualche contuso, tifo da stadio. Una notte di ordinaria follia.
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giovedì, marzo 01, 2007

Senza tempo

Oggi è come se non fosse esistito. Orari sballati, stanchezza, niente lezioni, studio, divertimento. Caldaia rotta con conseguente doccia gelata e piatti ancora da lavare. Pacchetto di riso aperto con esplosione dello stesso, chicchi ovunque, forse per sempre. Lavandino intasato. Connessione internet saltata e ore di prove per rimpostare i parametri corretti. Il tutto presagio e conseguenza di un’indecisione generalizzata su chi siamo, dove andiamo e perchè.
In termini più semplici arrivano quelle pause di riflessione, quando finiscono i mesi o passano le domeniche, o ti trovi a dover programmare cosa farai quest’estate, l’anno prossimo, domani. Quando rimpiangi di non avere il tempo di poter fare tutto, e ti convinci che basta una cosa sola, fatta bene. Poi ci pensi tanto che non fai neppure quella. Grandi dubbi che ti assalgono quando meno te lo aspetti, immagini di svegliarti e non sapere dove ti trovi. Per riscoprire tutto, lentamente.
Sarà questa globalizzazione stretta che mi ritrovo addosso, la scoperta che tutto è a un passo di distanza se solo si ha il coraggio di tentare. Sarà il mondo che si fa sempre più piccolo e pieno di viaggiatori.

Saluti agli americani ospitati in questi giorni, due olandesi in arrivo e poi in autostop verso il Ghana, amici italiani alla scoperta della Francia... La convinzione di dover prendere presto decisioni serie. E correre, correre, correre, fino all’ultimo respiro, fino all’atlantico. O fino a qualcosa di nuovo.
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