mercoledì, aprile 30, 2014

I diari della motocicletta

GIORNO 30, HANOI, VIETNAM

La citta' imborghesisce. Specialmente Hanoi, con il suo quartiere francese, le baguette agli angoli delle strade, i locali e la vita notturna. I tratti gentili dei suoi abitanti, i fiumi di viaggiatori che riscoprono un legame particolare con questa terra un po' europea e un po' asiatica.
Tempo di muoversi.

Abbiamo una moto. O, meglio, due. Non c'e' officina, laboratorio, negozio, ostello, che non abbiamo visitato. Perche' la citta', o almeno il centro storico, vive in buona parte su questo, vendere viaggi e servizi ai turisti, e motociclette per muoversi in modo spensierato per il paese. Ora, basta non confondere la nostra idea di moto con quella vietnamita. Si parla di modelli stile anni sessanta, tenuti insieme da abbondante nastro isolante e una buona spruzzata di vernice, con un ruggito paragonabile al Ciao dei tempi migliori. Centodieci cc, contachilometri finito a 99999 per la moto di Luca, 13 chilometri per la mia, che forse e' riuscita a ripartire dopo essere passata dal via. Bellissime, comunque.

E' come fare un tuffo nel passato, ai tempi in cui ci si metteve su due o quattro ruote su un mezzo potente come uno scooter e si girava l'Europa. Sulle strade che erano perlopiu' statali, appoggiate alla rinfusa sul paesaggio, e non noiose lingue di cemento senza una curva per ore e ore. E poi, questo Vietnam allungato nel sudest che ricorda l'Italia, con le montagne al nord e una lunga striscia di terra verso sud che sorride al mare.
Oggi ultimi accorgimenti: studiare le strade, trovare cinghie e telo per assicurare lo zaino, perdersi per Hanoi.
Poche ore a una nuova partenza.


lunedì, aprile 28, 2014

Trenta su trenta

GIORNO 28, HANOI, VIETNAM


Non si sa come, abbiamo guadagnato un'ora. Nuovi prodigi del fuso orario. Arrivo in Vietnam, Hanoi, poco prima dell'alba. 
Viaggio fin troppo semplice: nessuno che sgranocchia zampe di galline come nella precedente tratta. Nessun pasto solubile, che tuttavia mi sento di ringraziare per la sua economicita' ma che spero di salutare per sempre, dopo aver trovato un uovo marrone (forse di tek, o parquet) nell'ultimo entusiasmente noodle beef super explosion qualcosa. Frontiere facili, un'ora per lato, se non fosse per un addetto all'immigrazione che non mi riconosce sul passaporto. Sono bastate barba incolta, ciuffo anni ottanta, e una cicatrice che non ho piu' a far sorgere dei dubbi nel ligio operatore. Dubbi risolti con il confronto della foto diciottenne sulla patente, in cui sfoggio capelli lunghi una quarantina di centimetri e, se non ricordo male, una maglietta dei System of a down. 

Cuccette top class acquistate dall'Italia su un improbabile sito di Hong Kong ai fini dell'ottenimento del visto. Biglietti non falsi, evento piuttosto sorprendente. 
Vietnam conquistato, trentesimo stato in carriera in quasi trentanni di vita. Un sesto, un settimo, del mondo. 

Ritorno al turismo di massa, Hanoi invasa da turisti da ogni parte del mondo. Meta' viaggio raggiunta, finito il piano prestabilito, i lunghi spostamenti. D'ora in poi si vaga. Poco piu' di un migliaio di chilometri all'arrivo, da percorrere in tutta calma, scegliendo itinerari poco battuti. Insomma, un altro viaggio.
Che inizia da qui, dal numero trenta. Il Vietnam.


sabato, aprile 26, 2014

La citta' verde

GIORNO 26, NANNING, CINA

Se un giorno dovessi scrivere un libro di fantascienza, non mancherei di vivere per un periodo in Cina. Qui le citta' nascono dal nulla, spuntano dai campi dal giorno alla notte. Torri ordinate, grandi come paesi, si inseguono nella folle gara del calcestruzzo. Un moderno medioevo nel quale ogni famiglia, ogni centro abitato, afferma il proprio potere economico elevando mattone su mattone, piano su piano, un simbolo della propria prosperita'.

Nanning e' un piccolo avamposto del sud. La citta' verde, la chiamano. Due milioni e seicentomila abitanti, il che ne farebbe la prima o seconda citta' italiana. Ordinata, spaziosa, un susseguirsi di centri commerciali chiassosi e animati. 
Sono un po' cosi' le citta' dell'Asia. Fiumi di folla che si accalca tra un negozio di moda e un chiosco di spiedini, nella luce irreale di insegne al neon. Un clima dolce, avvolgente. Code nei fast food come nei parchi, in un continuo movimento che non conosce pause, giorno e notte. Ma la Cina ha evidentemente qualcosa in piu'. L'ambizione. L'ansia di supremazia. In grado di rendere tutto cosi' fuori misura, abbagliante. Una sfilata di status symbol che vogliono sottolineare la ricchezza crescente e il potere di un paese che reclama un posto di primo piano. 

La citta' verde, forse, non e' piu' cosi' verde. Ma continua, a suo modo, a splendere, ultimo avamposto della superpotenza dell'Oriente prima dei confini irregolari del sudest asiatico. Domani, Vietnam.


giovedì, aprile 24, 2014

Caligine

GIORNO 24, PECHINO, CHINA


"La caligine e' un fenomeno atmosferico caratterizzato da opacita' dell'atmosfera dovuta a un pulviscolo principalmente secco o fumo, causato da inquinamento o incendio."

Buongiorno, Pechino. Giornata di sole secondo il meteo, nascosto nella realta' da un'indistinta foschia che poco ha a che fare con le leggi della natura. Un disco pallido, una mezza via grigio arancio, guarda con timidezza la citta' che freme in un mattino di fine aprile. Eppure, scooter elettrici, piste ciclabili, vicoli silenziosi liberati dalla tirannia del motore a scoppio. Pedalando tra gli hutong si potrebbe pensare a una semplice giornata di nuvole, un momento di passeggera quiete e malinconia. Ma gli occhi, che bruciano e si fanno rossi, ricordano come questo inverno nucleare sia ormai un triste complemento d'arredo per la capitale cinese. E anche quando un soffio di vento riporta la citta’ pulita e soleggiata, basta fare pochi passi per imbattersi in un passante dal volto misterioso con mascherina chirurgica.
Tutto molto diverso, sotto questa luce. Ma ugualmente interessante. Scrutare i turisti perplessi che si domandano il perche' della discordanza tra previsione meteo e realta'. Guardare la citta' che ormai non ricorda neppure quando tutto cio' ha avuto inizio. Sembra casa, d'inverno, la nebbia leggera del primo mattino, condita di un caldo tropicale.

L'incanto del pensiero e' rotto all'improvviso dall'arrivo burrascoso di alcuni turisti italiani nel bar dell'ostello. Parola d'ordine, mimetizzarsi. Non condividere certi momenti, almeno non con i propri conterranei. si finirebbe a parlare immancabilmente di Milano, del nord, del sud, del sole, del come si sta bene, del come non ci si puo' vivere. Tutti discorsi che non hanno senso, a ottomila chilometri da casa.
Camaleontico. Mi presento come un argentino con parenti alle antille italiane. E via, nella caligine, in una nuova avventura pechinese.


mercoledì, aprile 23, 2014

Affinita'/divergenze

GIORNO 23, PECHINO, CHINA

Si dice spesso che i cinesi sono tutti uguali. Mentre in realta' sono immensamente diversi. Se non altro perche', essendo quasi due miliardi di persone, sarebbe statisticamente poco credibile. Poi perche' in un una terra cosi' vasta convivono etnie differenti. Ma, alla fin dei conti, quello che si usa come un luogo comune ha un fondo di verita'.
Succede infatti di sentirsi osservati. Essere europei, per strada, pare essere fonte di grande interesse. Troppo diversi, esseri curiosi, forse non ancora cosi' diffusi in un paese che solo da pochi anni e' spiccatamente filo occidentale. Foto fatte di nascosto con i telefoni, persone che ti salutano quasi fossi un volto celebre di una serie tv. Strano, dato che Pechino e' invasa dai turisti. Ma forse in numero tale da risultare irrelevante, una goccia in quei due miliardi.

Differenze oggettive tra il sottoscritto e il popolo asiatico: capelli, mossi invece che lisci. Altezza, maggiore rispetto alla media, molto utile nei luoghi affollati. Naso, lungo, interpretato come sintomo di bellezza. Occhi non allungati. Differenze trascurabili. Dato che ci si ritrova vestiti allo stesso modo, tra fiisicita' cosi' lontane l'una dall'altra, un assortimento di centinaia di volti, espressioni figlie di culture variegate. 

Certo molto lontani tra loro gli stereotipi: cinese che mangia scorpioni e serpenti (avvistati, ma a scopo d'intrattenimento turistico), europeo/americano che mangia al fast food. Cinese in bicicletta, europeo portato sul rickshaw da un ragazzino. Estremi che possono vivere nel caso isolato, ma si discostano dalla realta' dei fatti che come spesso capita si trova nel mezzo. Si incontra, mescolandosi e portando esempi opposti. 
Davvero difficile comprendere questo interesse per lo straniero. Cosi' simile a loro. Ma forse, a suo modo, divertente.


martedì, aprile 22, 2014

Avanti a destra

GIORNO 22, PECHINO, CHINA

Tramonto dall'altura di Jingshan Park, la citta' proibita placidamente distesa alla vista, i giardini in fiore. Immagini da cartolina, all'arrivo a Pechino. 
Una moderna babilonia di grattacieli e pagode, impreziosita dalla storia e dalla passione per la bellezza degli antichi imperatori. Lo spazio, leit motiv di una cultura millenaria, che torna anche nella citta' moderna. Caotica, ma con ordine. Eccessiva, ma in maniera composta.

Attraversata di notte in bicicletta, un'ora di pedali in direzione nord. Sconfinata, capace di sorprendere in continuazione. In giro, senza mappa, con un po' di buon senso e qualche indicazione. Sommaria, avanti e poi a destra. Pedali pedali pedali. Avanti e poi a destra. Prima circonvallazione, seconda, terza. Avanti e poi a destra. Da piazza Tienanmen fino alla zona universitaria, per un meeting di couchsurfing. Bello scoprire la citta' cosi', uscendo dalla parte turistica e lasciando sfilare ai lati infiniti alveari umani. Avanti e poi a destra. Ruote, strade, luci, sensazioni.

Parlato italiano inglese spagnolo francese. Discusso di Cina con i cinesi, di Messico con i messicani. Mangiato ravioli a chiusura locali. Conosciuti compatrioti che lavorano a Pechino. Presi ottimi consigli di viaggio. 
Potrebbe essere un modo splendido per viaggiare: giorno, camminata, metro, monumenti. Notte, persone, racconti, incontri. Perche' a volte vale piu' un'opinione di una fotografia, un pensiero che una prova. 
Ed e' questa forse la cosa piu' bella dell'essere un viaggiatore: avere storie da raccontare. E incontrare qualcuno disposto a scambiare le sue storie con le tue.



domenica, aprile 20, 2014

Prossima fermata Pechino

GIORNO 20, TRANSMONGOLICA, ULAANBATAAR - PECHINO

Trasferimento dalle steppe mongole alla terra di Cina. Di nuovo in treno, ambiente conosciuto, piacevole, trenta ore che volano per l'ansia di chiudere l'ultima tratta della transmongolica, il lungo viaggio da Mosca a Pechino. Neve, immancabile, all'uscita da Ulaanbataar. Grattacieli che si fanno man mano piu' lontani, come pezzetti di lego disordinati all'orizzonte. Accampamenti di gher, ammassate, propaggini della citta' disperatamente avvinghiate a un accenno di tradizione ma concupite dal moderno.

Eventi notabili: deserto del Gobi, un'infinita distesa di nulla nel nulla che tiene compagnia dall'ora di pranzo fino al mattino seguente. Serata festaiola sul vagone in un'improvvisata partnership mongolo italiano svizzero svedese, al grido di 'bajkal bajkal', la celebre vodka russa dell'omonimo lago. Referto: vodka bajkal batte vodka gengis khan, una piccola rivincita sovietica nei confronti del piu' grande conquistatore di tutti i tempi. Voci di corridoio riferiscono di aver udito i partecipanti intonare canzoni rap nella melodiosa lingua mongola, ma fortunatamente non sono pervenute registrazioni audio-video.

La Cina ci accoglie con colazione e pranzo gratuiti nel famoso e fino allora misterioso vagone ristorante. Poi, la grande muraglia vista dal grande finestrino. E splendidi scorci di gallerie, canyon, fiumi, montagne. E, finalmente, Pechino.


venerdì, aprile 18, 2014

The Gher experience: parte 2

GIORNO 18, KHARKHORIN, MONGOLIA

Trasferimento nella gher dei parenti, sempre con Attila e Gengis, gli adorabili bambini, al seguito. La mattina raccogliamo materiale per cosi' dire 'combustibile'. Il riscaldamento delle gher, in un paese nel quale non crescono alberi, avviene in un modo abbastanza fantasioso. Si bruciano gli scarti della digestione animale, ovvero... insomma, erba masticata, passata attraverso lo stomaco di un bovino, che torna alla luce sotto altra forma.
Attivita' edificante che ci da la conferma di essere benvoluti nella comunita' nomade.

Nel pomeriggio il ruolo affidatoci e' invece quello di cane pastore. Raduniamo duecento o trecento capre che se ne stanno liberamente pascolando per riportarle all'ovile, dimostrando anche una certa perizia, forse maturata in anni di giochi di strategia online.
Scendiamo allo shop a prendere un caffe', complice il brutto tempo fisso. Quattordici chilometri a piedi nei prati. E caffe', solubile, estremamente guadagnato. La sera passa tra tentativi di comunicazione e lotta tradizionale alla tv. Perche', anche se nel mezzo del nulla, la tv non puo' mancare.

Al mattino la famiglia al completo si presenta per portarci a Kharkhorin, l'antica capitale. Stesso furgoncino, tre posti, e noi, cinque adulti, due bambini, tre zaini, due sacchi a pelo. In due, all'apparenza italiani, finiscono nel cassone del furgoncino, seduti su un sacco di lana di capra, vestiti come esploratori artici dei primi anni venti. Nevica, un grado, e ottanta chilometri per l'antica capitale.

L'esperienza della dura vita nelle steppe mongole si puo' dire conclusa. Con grandi risultati e un conquistato rispetto.

giovedì, aprile 17, 2014

The Gher experience: parte 1

GIORNO 17, DA QUALCHE PARTE, MONGOLIA

Fare un resoconto degli ultimi due giorni, in questo caso, sarebbe piuttosto arduo. Mi limitero' a riepilogare, per sommi capi, gli accadimenti, lasciando al singolo lettore eventuali considerazioni.

I fatti: terza notte in una gher, ospiti di una famiglia, che il giorno seguente ci accompagna alla gher dei parenti. Passiamo li la quarta notte e il mattino seguente la famiglia torna per accompagnarci a Kharkhorin, antica capitale mongola e sede di un importante tempio buddhista per poi lasciarci alla stazione degli autobus per prendere la linea delle 11 per Ulaanbataar.

I fatti, in modo approfondito: terza notte, ospiti di una famiglia. La seconda gher, che presupponiamo per gli ospiti, e' stata destinata alle capre. Si dormira' tutti sotto lo stesso tetto. Poco male, penso io.
Presto appare evidente che i due bambini, da noi soprannominati Attila e Gengis Khan, non hanno alcun timore nel confronto degli stranieri ma, al contrario, un quantitativo illimitato di energia del quale usufruire. La madre, per stemperare la tensione, ci invita a un giro con il furgoncino per andare a trovare il marito giu' al pascolo. Tre posti anteriori, madre, Chako (nostro compagno d'avventura direttamente dalla Grande Mela), Luca, Attila, Gengis. Posto per il bagaglio, ovvero l'intercapedine tra i sedili anteriori e la lamiera, il sottoscritto e otto capretti, che trasferiamo per ragioni sconosciute.
Pochi belati dopo lo sterrato giunge al termine, attraversiamo una pietraia ed eccoci al pascolo. Il marito ci accoglie con gioia, scarica i bambini e i capretti e ci invita ad andare a prendere da bere. Espressione equivoca, come capiamo in pochi minuti. Andiamo a prendere l'acqua.

Centro della Mongolia. Due gradi, fissi. Quattro uomini intorno a un pozzo. Giu' il secchio con la corda, su il secchio con la corda. Riempiamo due taniche e un barile che poi trasportiamo con numerosi improperi lungo la strada scoscesa fino al furgone. E poi, secondo giro. Niente da annotare, a parte una certa difficolta' nel compiere esercizi ginnici, per il resto della giornata.


mercoledì, aprile 16, 2014

In the middle of nowhere

GIORNO 16, DA QUALCHE PARTE, MONGOLIA

L'alba regala un'amara sorpresa. La pioggia, scesa insistente nella notte, si e' trasformata in neve che per l'ennesima volta ci regala un paesaggio surreale. Ieri pomeriggio, a poche centinaia di metri, ho camminato sulle dune di una striscia di deserto, una propaggine del Gobi spintasi in modo ardimentoso fino a nord. Zone climatiche sovrapposte, qualcosa mi sfugge.

Comincio a pensare di aver equivocato le parole dei giorni precedenti, nelle quali si accennava a un 'trasporto in cammello'. Incredulo, oltre il limitare della gher, scorgo quattro placidi cammelli innevati. Paese che vai, usanze che trovi.
E quindi eccoci, di li a poco, seduti tra una gobba e l'altra, ondeggiare in quella terra sconfinata. Addosso due paia di pantaloni, due felpe, giacca, sciarpa, cuffia. Il vento della Mongolia non perdona, due gradi nell'aria, raffiche come schiaffi sul volto, terra, e neve, e sabbia chiazzata di bianco, e tutto intorno il nulla. Splendido, nulla. Sguardo che vola in ogni direzione senza trovare ostacoli, solo dolci chine di montagne troppo antiche per occludere la vista, chilometri e chilometri senza una pianta, un albero. Una terra ostile punteggiata soltanto qua e la da puntini bianchi, le gher e gli accampamenti di chi, nonostante tutto, ha deciso di restarci, nel nulla.

domenica, aprile 13, 2014

Da qualche parte

GIORNO 13, ULAANBATAAR, MONGOLIA

Arrivati, in un qualche modo, in Mongolia. Tanto se ne e' parlato, nei giorni passati, di questo fantomatico confine, dell'uscita dalla Russia, delle formalita' alla frontiera. Controlli rigorosi, lunghe attese, ma nulla di piu'.
E quindi eccoci a Ulaanbataar. Metropoli in mezzo al nulla. Un altro paese, enorme, con un unica citta' e una lunga strada che la taglia in due, fino alla Cina, senza diramazioni.

Difficile muoversi su sterrati sconnessi, ma soprattutto, ancora di piu', difficile comunicare. Comprendere.
Al ristorante si ordina indicando, o facendo il tiro a segno sul menu. Stesso alfabeto della Russia, il cirillico, ma lingua totalmente diversa. Quindi poco utile quanto appreso finora, in giorni di impegno e attenzione, persi i preziosi buongiorno, grazie, scusi, mi chiamo, e i numeri. Incredibile accorgersi dell'importanza dei numeri.

In compenso trovato un buon ostello come appoggio e organizzato un giro in una zona interessante della Mongolia. Con un piccolo deserto, qualche montagna, un paio di laghetti, quasi una mappa in miniatura di una nazione che richiede un tempo immane per essere apprezzata. Se non altro per la difficolta' degli spostamenti.
Via per quattro giorni, a dormire nelle gher, le tende rotonde tipiche della tradizione nomade, a conoscere da vicino una cultura che anche se si lascia avvicinare dal turismo riesce a mantenere le proprie peculiarita'. Strano, forse per la prima volta, perdere l'orientamento. Andare in una zona, piuttosto che in una citta', che non ha un nome preciso, un punto sulla mappa. E solo li, a un certo punto. Da qualche parte.

mercoledì, aprile 09, 2014

Incontri ravvicinati

GIORNO 9, LISTVJANKA, RUSSIA

Seicento chilometri per sessanta di ghiaccio. Questo e' lo spettacolo che si presenta uscendo da un'ora e mezza di una pineta per raggiungere Listvjanka da Irkutsk.
Il lago Bajkal si mostra in tutto il suo splendore, ancora congelato, ad aprile, con le barche strette in pose innaturali, la gente che passeggia sulle acque. Nell'aria il profumo dell'immancabile omul, un pesce endemico simile al salmone, seccato, bollito, arrosto, affumicato. Ed e' qui, nel paese congelato che sembra attendere da troppo tempo il risveglio, che troviamo i primi turisti.

Strano incontro. Convinti a lungo di essere gli unici a muoversi in questa stagione, che invede ben si addice ad altre destinazioni baciate dal sole. Due svedesi. E addirittura, in un ostello fatto solo di tronchi d'albero, un manipolo di finlandesi. Gente che vive al freddo, tra alberi e laghi, che viaggia migliaia di chilometri per trovarsi al freddo, tra alberi e laghi. A volte e' proprio difficile cambiare le proprie abitudini.

martedì, aprile 08, 2014

Level completed

GIORNO 8, TRANSIBERIANA, NEI PRESSI DI IRKUTSK, RUSSIA


‘Nessuno sapeva che ore fossero a bordo del treno’.  Ore 2.30 del mattino. Vengo svegliato dalla provodnitza, la rigorosa responsabile del vagone, per la colazione. Ora, quell’enigmatica frase letta pochi giorni prima, sembra assumere significato.

Il fatto e’ che un paese che copre un terzo del giro della Terra non puo’ avere sempre lo stesso fuso orario. Bene. Ma questo ovviamente causerebbe enormi incomprensioni su orari e appuntamenti.
Per questo in Russia tutti i treni viaggiano seguendo l’orario di Mosca. Dopodiche’, circa ogni mille chilometri, scatta come e’ giusto che sia un’ora di fuso orario. 
Ora, Mosca di trova in zona +4, ovvero tre ore avanti a Roma. Ma non avendo l’ora legale al momento e’ soltanto due ore avanti. Irkutsk e’ a +5 rispetto a Mosca, come indicato sulla porta del vagone, ovvero in utc +9, cioe’ +8 da Roma, quindi +7 in questo periodo. Il fatto curioso e’ che chi viaggia dalla Cina spesso mantiene l’ora di Pechino, che nonostante sia molto piu’ a est si trova un’ora indietro piuttosto che avanti rispetto a Irkutsk. Ora, qualcosa dev’essere andato storto. E infatti, al mio apparente risveglio delle 2.30, indicato come 7.30 locali, e’ completamente buio. I russi si sono fatti prendere da manie di grandezza e hanno decisamente esagerato con i fusi orario. Alle 8.30, davanti a una buona tazza di the’, apprezziamo la luce dell’alba e la periferia di Irkutsk. Ottantasettesima ora di transiberiana. Prima tratta, completata.

domenica, aprile 06, 2014

Tempo/spazio


GIORNO 6, TRANSIBERIANA, CINQUANTA ORE DOPO, RUSSIA

Viaggiare da il tempo di pensare. 
La guida che sfoglio di tanto in tanto sostiene che il terzo giorno di transiberiana potrebbe subentrare un certo senso di disorientamento. Non e’ del tutto vero, ma forse si’, in un certo modo. Il tempo rallenta. Ci si sorprende a considerare particolari trascurabili. Le ramificazioni delle betulle prima che si tramutino in doghe a basso costo ikea. Le macchie di Rorschach celate in chiazze di neve perfettamente speculari. Le gambe delle lettere in una pagina di libro, ordinate come reparti di un esercito grammaticale.

Passato Barabinsk e le venditrici di pesce secco. Ancora dubbio l’utilizzo, come cibo o elemento decorativo, del suddetto pesce. Passato il fiume Ob. Lasciata Novosibirsk con un pasto liofilizzato e una frittella di pure’. Nella notte il fuso orario passa a +4 da Mosca, portando la pausa pranzo alle 9.55. Intanto la notte scorre attraverso il finestrino. Difficile distinguere forme e colori. Non confermata, ma abbastanza probabile, la presenza di neve e betulle. Il treno piano piano prende sonno, con la sua piccola comunita’ di storie e movimento. Per svegliarsi, fra poche ore, qualche chilometro piu’ in la. Disorientato, certo. Ma con gli occhi pieni di nuovi affascinanti e trascurabili dettagli.

venerdì, aprile 04, 2014

Long way east

GIORNO 4, TRANSIBERIANA, VERSO EKATERINBURG, RUSSIA

Un treno di quindici, venti vagoni, scivola nella taiga russa. Un finestrino a nord, un finestrino a sud. Il convoglio corre, senza incertezze, verso est. Non ci si puo’ sbagliare. Da un lato alberi e neve, dall’altro pure. 
E nevica. Sottile sottile, soffice soffice, in una luce da perenne crepuscolo che confonde il confine tra cielo e terra. Smussa gli angoli, le forme, in infinite sfumature di bianco di un operoso pittore esistenzialista.

Nel vagone della platzkart, la terza classe, cinquanta soldatini assiepati nelle loro cuccette ingannano il tempo bevendo the e vodka, giocando a carte, leggendo, preparando la cena. E’ un vivere quotidiano, quello della transiberiana. E non potrebbe essere altrimenti, con giorni di rotaie da affrontare. All’ingresso del vagone la lista delle fermate farebbe impallidire il piu’ determinato dei viaggiatori. Abbiamo scelto di scendere a Irkutsk, nel cuore della Siberia, dove l’arrivo e’ previsto dopo ottantasette ore di viaggio. E cinquemilacento chilometri. 
Difficile comprendere la portata di certe distanze. Sdraiato in cuccetta, cullato dal treno. Valutando la complessita’ di un azione in relazione al tempo e allo spazio. O al movimento.  Quasi impossibile scrivere. Possibile iniziare a leggere Il signore degli anelli e finirlo prima di scendere. Poco probabile che la batteria di un lettore mp3 sia sufficiente per giungere a destinazione. Semplice, da quanto posso osservare, trasportare il fabbisogno alimentare di una famiglia per dodici pasti. Divertente comunicare. Con le parole di un vocabolario o con un lessico internazionale calcistico. E a gesti. Inventati, simbolici. Un lieto diversivo al lento scorrere delle ore nel vagone di terza classe.  

giovedì, aprile 03, 2014

Sovietismi

GIORNO 3, MOSCA, RUSSIA

Freddo costante. Un clima che si rispecchia negli sguardi, gelidi, dei moscoviti. Nei loro capelli che sono di un biondo chiaro, assente, che difficilmente ha incontrato i raggi di una giornata al mare. Difficile trovare qualcuno che parli inglese, aspetto sorprendente, dal mio punto di vista. 
Momenti sovietici vecchio stile, come la visita al corpo imbalsamato di Lenin. In Piazza Rossa, guardato a vista da guardie armate, in religioso silenzio. Un giro al Kgb, locale nostalgico, per bere una vodka. Visita all'armeria del Cremlino, con la sua storia che e' anche quella di popoli e razze che si incontrano nella vastita' di un impero che forse non conosce neppure i propri confini. 

Russi che sembrano asiatici. Occhi allungati, che non saprei attribuire a un cinese o piuttosto a un eschimese. Quattro chiacchere con Lara, che fa il suo turno di ventiquattro ore di lavoro in ostello, e viene dal sud dei monti Urali. Porta con se' un incontro di culture simbolo di un paese che non conosciamo. Una Russia che vediamo solo negli stereotipi.
Mosca e' una citta' cosmopolita, affascinata dall'Occidente ma ancora rigorosa e legata al proprio passato. Cuore di una landa sconfinata che si stende per migliaia di chilometri fino alla Cina. E oltre. 

Terra che domani finalmente andiamo a conoscere: si parte con la transiberiana, il leggendario treno che collega Mosca con l'Oriente, il tracciato piu' lungo del mondo. E, a questo punto, non so davvero cosa aspettarmi.

martedì, aprile 01, 2014

L'impero perduto


GIORNO 1, MOSCA, RUSSIA
 
A quanto pare la Russia vuole mostrare i denti fin dal principio. Una splendida bufera di neve ci accoglie all’uscita dell’aeroporto Mosca Domodedovo. Colbacchi imbiancati della polizia, un certo senso di straniamento, l’arrivo alle due e mezza di notte tramutate in quattro e mezza locali, ci convincono in pochi minuti a non tentare l’attraversamento della porta a vetri della zona arrivi. Si attende, il tempo non manca. Il viaggio e’ iniziato, ora l’importante e’ trovare la sintonía con questo paese. Capire l’attimo.

L’aeroporto e’ sempre un luogo interessante nel quale muoversi in cerca di indizi, di esperienze. L’ambiente finto familiare nel quale non ci si sente inopportuni a tentare lo scontro con la lingua russa. Con l’alfabeto cirillico. Uno spazio dove il tempo e’ sospeso e ogni ora e’ simile alle altre, con gente indaffarata in partenza, corpi mollemente adagiati sulle poltrone in attesa, sguardi persi sui tabelloni informativi. Riposare qualche ora, la soluzione giusta. Risveglio senza bufera. Incastrato tra i braccioli, due passi per riprendere la posizione home erectus e via, nell’aria pungente di quella primavera che inaspettatamente ha congelato il paesaggio. Una mezz’ora di treno circondato da alberi intirizziti e poi Mosca, una línea di forme contrastanti contro il cielo livido, grattacieli sinuosi, case appuntite, cupole dorate. E poi, sotto terra. Il labirinto barocco e sfarzoso della metro, le fermate con le vetrate colorate e le colonne di marmo, le decorazioni sovietiche in ottone, i ponti e le gallerie di una citta’ sotto la citta’ che risplende come la cattedrale di un impero perduto, nascosto al riparo nel sottosuolo. 

Se la prima impressione e' quella che conta, si puo' certo definire un ottimo inizio.