giovedì, maggio 09, 2013

Riti di passaggio

GIORNO 24, NEW DELHI

Succede sempre cosi'. Si parte, con addosso accadimenti recenti, frammenti di quotidianita', occhi che osservano ma spesso non vedono. I primi giorni di viaggio si vive la scoperta e si sente la fatica, nelle gambe, e la confusione dei paragoni, nella testa.
Poi, in un momento preciso, accade qualcosa.

E il viaggio non e' piu' un modo per staccare dalla routine, ma una vita parallela, con le sue imperfezioni, i suoi rituali, il suo senso di aderenza con cio' che la circonda. E' un'esperienza che assume un significato, non una collezione di fotografie e piccoli souvenir. E, senza essere troppo sentimentali, e' qualcosa che si porta dentro.
Alla fine rimane come un timore, nel reinserirsi nel reale, perche' ormai cio' rappresenta un nuovo cambio di condizione, una sfida da vivere con maggiore forza, specialmente per chi non e' facilitato nel 'rientro' da un lavoro regolare o da scadenze da rispettare.

Insomma, l'India non e' un paese semplice. Ma ti conquista lentamente, perche' in India tutto e' possibile. Ed e' proprio questa assenza di limiti che affascina, con le sue esagerazioni, capaci di portarti dall'odio all'amore e viceversa nel tempo di una corsa in tuk tuk. E nel momento in cui sei in armonia con questa terra, non puoi sentirti in armonia con l'Occidente. Devi scegliere. Barcamenarti nel miglior modo possibile. Devi affrontare il rito di passaggio.
Poi, in un momento preciso, accadra' qualcosa. Forse su quel volo di ritorno, con il pranzo turco della compagnia aerea. O in aeroporto, di fronte alle tazzine del caffe'. O in salotto, un pomeriggio, sul divano. Sentirai che l"India ti sta dimenticando. Ma ti sentirai a casa, in armonia con cio' che ti circonda e con qualcosa di nuovo nei tuoi ricordi.


martedì, maggio 07, 2013

Fast food

GIORNO 22, NEW DELHI

Back in Delhi, rigettato un'altra volta nel cerchio dei procacciatori di turisti. Ormai preparato, consapevole, capace di dire a chi vende pacchetti di viaggio che parto domani, agli autisti di tuk tuk che vivo a Delhi da sei mesi, ai negozianti che faccio delle ottime offerte su dei cuscini comprati in Rajasthan, ai giovanotti conoscitori del mondo che la mia patria e' Andorra. Buio totale. Saluto anche in basco, se necessario.

Sono stato da McDonald's. Ok, non sono un sostenitore del mondo globale e questo andrebbe un po' contro l'etica oltre che contro il comune buon senso. Ma il fast food e' uno di quegli indicatori di un paese che non puo' mancare, una sorta di rituale, che ricerca in una formula sempre uguale, quella del cibo preconfezionato disneyano, uguaglianze e differenze.
Difficile pensare di aprire un McDonald's in un paese che non mangia maiale, per via dei mussulmani, e non mangia bovini, per via degli indu'. Infatti ecco il McChicken, il doppio Chicken, il Masala Chicken, il Veg Burger e il salutare panino con il filetto di pesce. Quell'incrocio tra fritto e salute che tanto poco successo ha avuto da noi da essere lentamente caduto nel dimenticatoio. E poi tutta una serie di cose piccanti, gli omaggi regionali, e il gelato, quello bianco denso come il polistirolo, che di volta in volta assume gusti e forme differenti.

I frequentatori sono quasi tutti giovani che si lasciano affascinare facilmente dall'occidente, vestono in jeans e maglietta, giocano con i loro smartphone. Solo qualche copricapo sikh e un gruppetto di viaggiatori coreani ci ricorda che siamo in India. Che e' un paese che corre, e cresce, a sua insaputa. In una direzione che non prende volontariamente, ma nella quale e' costretta dalle regole di un mondo che impone un certo standard di vita', di affermazione, di felicita'. 
E' un paese che nella sua frenesia di sviluppo crea contraddizioni e poverta', confusione, apparente benessere. E che ha basi cosi' poco solide da dover fare presto i conti con tanti dei suoi problemi.


domenica, maggio 05, 2013

Riflessioni

GIORNO 20, VARANASI, UTTAR PRADESH

Difficile non tirare le somme, in un posto come questo. La citta' della vita e della morte. Strade antiche, intricate, nascoste da un groviglio di motori e cemento, contornate dalle acque placide del Gange. Un luogo nel quale si sento il peso di una storia di quattromila anni. E bramini, mosche, moto, capre, mucche, turisti, un fiume umano che si riversa su un tappeto di fiori e rifiuti.
E fuoco, acqua. Fiammelle che alla sera galleggiano sul Gange, a simboleggiare i propri desideri. Odore di cenere nell'aria, di chi viene qui a morire per sfuggire all'eterna rinascita. C'e' il sacro, il profano, la contraddizione evidente di un paese come l'India, moderna e ancestrale. E la folla.

Varanasi suscita sensazioni, difficile da trasportare in parole. In un mondo nel quale tutto ci scivola addosso e' bello trovare una citta' che abbia ancora una spiritualita' intrinseca, un sentire collettivo che si puo' respirare negli spazi aperti del fiume cosi' come nei vicoli soffocanti. 

Potrebbe essere un buon luogo per riflettere. Ma non in modo definitivo, conclusivo, come pare essere per i milioni di persone che ogni anno accorrono qui. Ma di passaggio, un tassello di un percorso piu' ampio, un'immagine non banale da aggiungere al nostro bagaglio interiore. 




venerdì, maggio 03, 2013

Il deserto dei Tartari

GIORNO 18, KHAJURAHO, MADHYA PRADESH

Sono in albergo da solo. Nel senso che ci sono solo io, in tutta la struttura, e gia' la cosa farebbe abbastanza ridere. Ma diventa comica se decido di cenare. A qualsiasi ora, apre la cucina, il ristorante, si accendono le luci. Il menu' e' sempre tutto disponibile.
Chissa' se fanno come il mio buon amico Mario, che cucinava il primo del mese e conservava tutti i pasti congelati in bustine monodose. Aveva un frigo solo per lui, che troneggiava in sala da pranzo a Bologna accanto al televisore della Champions League. Perche' la tv era solo per le serate della Champions League, fatte di calcio, polpette scongelate e tornei di ping pong sul tavolo da pranzo.

Qui al limite si parla di cricket e del fatto se l'ospite vorra' fare colazione domani o sara' l'ennesima mattinata da deserto dei Tartari. E' un posto tranquillo e, ormai l'ho capito, maggio e' bassa stagione. 
Ma ci sono lati positivi. Ho preso una bicicletta e ho vagato fuori dal paese. Finalmente, uno scorcio d'India incontaminata, volti stupiti degli abitanti al passaggio di questa mina vagante che pedala come in una tappa del giro delle Fiandre. Templi a sud, templi a est, poi un lungo falso piano fino alla riserva naturale, alle cascate senza'acqua, al rifugio assonnato dei guardaparco. Ritorno, con difficolta', contro vento e con una mandria contromano.  

Ad aspettarmi sul terrazzo i tre camerieri che affettano e tagliuzzano, il tavolo apparecchiato con vista del tramonto sui templi. Menu' spiegato, bottiglia in fresco, impossibile rifiutare. Mi siedo, tavolo numero uno. L'unico.

giovedì, maggio 02, 2013

Il gioielliere

GIORNO 17, KHAJURAHO, MADHYA PRADESH

Salim ha ventinove anni ed e' un tipo sveglio. Non sa leggere e scrivere, e ha il suo nome tatuato sul dorso di una mano. Parla un ottimo inglese. Gli piacciono le ragazze spagnole. Guida il rickshaw, che non e' neppure suo, ma in affitto. E visto che gli affari scarseggiano si ferma a parlare con me che sfinito dal sole boccheggio sul bordo di un marciapiede.

Uno di fronte all'altro. Basterebbe scambiare i nostri luoghi di nascita e ora sarei io a farmi cinquanta chilometri al giorno pedalando con due passeggeri sul groppone. Lui scherza: ha l'aria condizionata, solo in discesa pero'.
E' un periodo in cui si guadagna poco. Fa troppo caldo, i turisti ricchi preferiscono i mezzi a motore e gli indiani si risparmiano volentieri una manciata di rupie. Ma c'e' un altro modo per tirar su quel che basta per sopravvivere: portare gli stranieri a fare shopping. Anche se il malcapitato non compra nulla Salim riesce a farsi dare qualcosa. E' una specie di lavoratore a cottimo. E poi puo' avere una percentuale sugli acquisti.

Mi chiede di prestarmi nel ruolo del turista spendaccione. D'accordo, ho un sacco di tempo libero. Guido io pero'. Ed eccomi contromano in un angolo sperduto dell"India a pedalare per il mio inconsueto passeggero. Scambio di ruoli a pochi metri dal negozio, e si va in scena. Il gioielliere. Sfoggio il mio talento da intenditore di pietre, ammiro la fattura, il taglio, ottengo anche un buon prezzo per un paio di orecchini e pendente. Ci devo pensare, a presto. E via, verso nuove avventure.

martedì, aprile 30, 2013

Fenomenologia della fotografia

GIORNO 15, AGRA, UTTAR PRADESH

Importante ricordare. Avere immagini, volti, storie. Determinano cio' che siamo. Una mescolanza di esperienze, di dettagli che messi in fila come tessere del domino ci portano a fare un ragionamento
E la qualita' di quel pensiero non puo' che scaturire dalla cura del dettaglio, dalla pluralita' di punti di vista, dall'unicita' di un'esperienza.

Dico questo perche' non riesco a fotografare. Il culto della condivisione forzata, della collezione d'immagini svuotate del loro significato, non mi appassiona. Trovo che la fotografia debba essere forma d'arte, o se non altro di bellezza, estetica e concettuale. Oppure occasione per fissare un ricordo. Ma non debba essere una carrellata infinita di soggetti architettonici, tolti dal loro contesto e oltretutto ritratti in malo modo. Scatti anonimi di una cattedrale, di un fiume, di un cartello di divieto di sosta.

Oggi sono stato al Taj Mahal, all'alba. Il colore del marmo, la perfezione, la simmetria, l'irrealta' della mattina indiana. E cento macchinette che cercano di far spostare le persone per avere la loro immagine vuota e pulita da catalogo d'architettura. Non lo posso capire. E' la stessa immagine che trovi su internet, piu' brutta, senza nulla di personale
Capisco di piu' le pose stupide: prendi il Taj per la cupola, sorreggi la torre di Pisa, tieni tra due dita il Vaticano. E le foto di famiglia. La bimba che sbadiglia, il padre con la fronte sudata, la fidanzata che si aggiusta i capelli e, dietro, un capolavoro come il Taj Mahal.

Foto che, si spera, non finiranno per sempre dimenticate in una cartella su un hard disk esterno insieme alle milleduecento del giorno di Pasquetta a Fregene.


domenica, aprile 28, 2013

Safari urbano

GIORNO 13, JAIPUR, RAJASTHAN

Jaipur, la citta' rosa. La capitale. Del Rajasthan, certo, ma pur sempre una capitale. Capace infatti di mettere insieme otto milioni di persone con il solito apparente ordine indiano.
E' su queste strade, fiancheggiate da banchetti di frutta e pollo alla diavola che Khan, spericolato autista di tuk tuk, entra di diritto nella top ten dei trasporti piu' pericolosi della mia vita. Credo anche in una posizione particolarmente alta. Un uomo capace di superare il carretto di un venditore di piatti sfruttando l'intercapedine creato dal muso tondeggiante dell'ape merita sicuramente questo onore.

Perche' in fondo il tuk tuk e' un'ape modificata al trasporto passeggeri. Spesso in modo un po' artigianale. E la soddisfazione di vedere la scritta 'piaggio' sul retro in qualche sperduto vicolo indiano non ha prezzo.
Tralaltro nella stessa top ten figurava gia' un'altra ape, a dimostrare forse la mancanza di feeling tra me stesso e il simpatico veicolo a tre ruote. E poi ci sono una macchinetta da campo da golf, un autobus sulla strada della morte, una barchetta a vela... credo mi manchi giusto un biplano della prima guerra mondiale per poter completare degnamente la classifica.

In compenso grande spolvero di mezzi di trasporto tra le strade di Jaipur: il rickshaw, ovvero la bicicletta con il rimorchio passeggeri, che nell'immaginario collettivo e' guidato da un bambino secco sovrastato da due turisti grassi. Questa volta pero' nella versione a motore, con un 'ciao' a sostituire la bici con grande soddisfazione del suo proprietario, che si atteggia di fronte ai passanti stupiti. A seguire, il dromedario, che sgroppa lungo l'itinerario dello shopping con il suo carico di giovani viaggiatori stranieri. 
E, colpo di scena, l'elefante. Dipinto a festa, con baldacchino, una piazza e mezza. Dall'alto giunge la voce del cacciatore tamil che lo guida, alla ricerca non tanto di un pasto per la sera quanto di un turista sprovveduto a qual rifilare un bel safari urbano.

sabato, aprile 27, 2013

Prospettiva

GIORNO 12, AJMER, RAJASTHAN

Seduto a terra di fronte a un ingresso secondario della stazione di Ajmer lascio che il mondo mi scorra accanto. Va detto che Ajmer e' una delle citta' sacre del mondo islamico. Nonche' passaggio obbligato per Pushkar, citta' sacra del mondo indu'. Quindi l'umanita' che riversa per le strade e' decisamente una mescolanza inconsueta.

Tutto e' molto colorato. Gli uomini hanno dei pantaloni decisamente eleganti. Mi sembrano tutti leggermente piu' alti di quanto siano in realta'. Scarpe consumate, sandali, piedi nudi ed anelli, caviglie dipinte.
Passo quasi inosservato; ho capito che i miei capelli sono un dilemma da queste parti. Non si addicono a una star di bollywood, a un asceta, o a un autista di tuk tuk. Talvolta e' come se fossi fuori luogo. Il turismo sembra funzionare a compartimenti stagni: nessuno si sorprende per un grasso turista nordamericano con due litri di pepsi sui gradini della moschea, ma un italiano seduto a terra nel formicaio umano ferroviario desta preoccupazione.

Due persone mi guardano scrivere. Con una curiosita' inaspettata, forse per il mio corsivo lontano dall'inglese stampatello che appare nelle noiose ore complementari scolastiche. Mostro anche l'Italia su una cartina che mostra i vari fuso orario. C'e' una specie di nuova armonia con quello che mi sta intorno. E, soprattutto, incrocio persone che sono ancora capaci di sorridere per strada per un incontro inconsueto.

giovedì, aprile 25, 2013

Quiete

GIORNO 10, UDAIPUR, RAJASHTAN

Molti gli interrogativi da sollevare oggi. Giornata difficile, bisogno di quiete, difficile da trovare in un vortice di clacson, moto motorini e similari che ti sfiorano, mucche che pascolano agli angoli delle strade, voci che ti richiamano per offrirti l'imperdibile ennesima attrazione per turista. Venti ore passate disteso a letto, con quale rara apparizione sul terrazzo dell'hotel e frequenti allucinazioni sonore.

Alle quattro di mattina ho sentito la banda. Proprio quella delle majorettes e delle divise, con il ritmo scandito dalla grancassa e le sezioni di fiati affannati. L'averla rivista, dopo poche ore, guidata da due dromedari, non so se mi abbia consolato e convinto di una improvvisa forma di follia. 
Lasciato l'hotel, a spasso fino a sera inoltrata quando il treno in poco piu' di cinque ore mi catapultera' a Ajmer, alle 3.40 di mattina. E poi via, in tuk tuk, verso Pushkar.

Intanto ho capito tre cose che mi sfuggivano mentre ero in perfetta forma. Primo, puoi capire un paese dall'acqua. Un luogo dove non puoi bere dal rubinetto, dove vedi donne fare il bucato il laghi costellati da galassie di spazzatura galleggiante, e' un luogo che soffre, e si inabissa lentamente in problemi ormai insormontabili. 
Secondo, non esiste la quiete. L'idea di parco, aiuola, spazio verde, nel quale respirare, riposare, prendere una pausa, non e' un concetto che puo' essere realta'. I rari spazi sono accessori, semplicemente decorativi, chiusi da pesanti cancelli o protetti da filo spinato. Fazzoletti di prato all'inglese che abbelliscono l'ingresso delle caserme militari.
Terzo, il mio non stare bene mi impedisce di apprezzare le cose. Sottolinea gli aspetti negativi e mi priva della predisposizione a cio' che e' differente.

Bisogno incessante di riprendere la retta via.

mercoledì, aprile 24, 2013

Rajashtan, parte prima

GIORNO 9, UDAIPUR, RAJASTHAN

Arrivato in Rajasthan, sette di mattina e un sole che annebbia la vista, le case color indaco di Udaipur. 
Dopo le ventiquattro ore di autobus per scendere dall'Himalaya a Delhi, dodici ore su un treno che sembra l'arca di Noe', l'ultima occasione utile per salvare l'umanita'. Venti, venticinque, trenta vagoni di donne colorate, uomini dal viso scavato, sacchi di riso. Una coppia di mucche, due capre, un paio di polli. Ignaro se fossero viaggiatori o cibo freschissimo per la traversata.

Stomaco a pezzi per l'esperimento culinario di ieri: abbandonare la dieta di basmati per passare a qualcosa di diverso. Una specie di insieme di verdure e strani condimenti, finito a forza: pessimo errore. Minuscole spezie sconosciute che mi tolgono la capacita' di camminare lucidamente, di pensare. Uno stato permanente di alterazione. D'accordo, c'e' chi pagherebbe per questo, ma quando si e' in giro per l'India con quaranta gradi fissi in testa non e' proprio lo stato ottimale.
Testa frullata dalla bocchetta dell'aria sul viso, tutta la notte. Insomma, grande stato di forma.

E il caldo, quello vero. E il turismo, quello finto, dei gruppi organizzati. E la citta', che si sveglia lentamente al suono dei tuk tuk.
Benvenuti a Udaipur.


domenica, aprile 21, 2013

Trivial pursuit kashmir edition

GIORNO 6, SRINAGAR, KASHMIR

Facciamo progressi. Credo che i rapporti con la famiglia che mi riceve stiano migliorando. Certo, oggi mi hanno detto di non andare in citta' perche', essendo festa, mi tirano le pietre. Ma mi e' parso di scorgere un atteggiamento di apertura in queste poche parole. 
Farouk mi ha anche prestato la sua shikara, una specie di gondola per muoversi agili e leggeri nelle basse acque del lago. E, nel mezzo della traversata, una barca mi ha accostato per vendermi un mazzo di fiori. Ormai, e' chiaro, chiunque incontrerai e in qualunque momento sara' in grado di venderti qualcosa

Poi, giro al mercato, in compagnia di Farouk nella veste di scudo umano. Banchi del pesce, stand gastronomici, piadinari e ballo liscio. Il tutto trasportato nella mentalita' del Kashmir, regione di conflitti interni politici e sociali, fortemente islamizzata, con ambizioni secessionistiche e nessuna intenzione di mostrarsi benevola con il turismo occidentale. Che, solitamente, evita le passeggiate in paese preferendo le escursioni in tenda full optional e servo sherpa, sulle maestose montagne del circondario. Posti tipo il Nanga Parbat, tanto per dirne uno.

Farouk invece e' un tipo moderno. Mi spiega che capisce che anch'io sono uno che si fa il mazzo a casa nel suo lavoro. E' contento che voglia viaggiare in India. Che non abbia comprato l'erba quando, a dire il vero, era lui stesso a volermela vendere. E anche lui non e' di queste parti, ma del Ladakh, altra regione di monti cielo laghi. Dice pure che la gente se ne accorge che e' uno straniero, e lo guardano un po' storto. Bene, l'accompagnarsi a me non potra' altro che accrescere la sua fama.
Comunque sia, non riesco a parlargli di religione, politica, societa', arti e spettacolo. Rimane la categoria sport, non si sbaglia mai. Che gioco affascinante il cricket!


giovedì, aprile 18, 2013

What's your good name?

GIORNO 2, DELHI

Per un attimo mi e' sembrato di capire l'India. Mi ci sono volute sedici ore di stress, viaggi in tuk tuk, giri in tondo, risposte vaghe. Ora, seduto su un vecchio barile di olio per auto e con in mano una tazza di the, vedo per la prima volta le cose in modo piu' chiaro. 
Sembra una di quelle sere d'estate, piene di un vociare incessante e colorato, con biciclette, ragazzini col gelato e donne sedute a chiaccherare. Certo, l'aria ha quel sapore dolciastro che si mischia all'odore di grasso per auto dell'officina, un ragazzo di dodici anni sta trainando un treno di gomme e la la strada vive del suono incessante dei clacson. Ma e' il primo momento di quiete di una giornata sconvolgente. E' forse il primo istante nel quale passo inosservato, svesto i miei panni di turista e sono solo un passante seduto con la sua tazza di the.

L'India e' una ripetizione, continua e incessante. Di parole. Di proposte. E' un meccanismo di autodifesa che considera i turisti tutti allo stesso modo, persone ricche da incanalare negli stessi circuiti, con le stesse modalita'. What's your good name? Una domanda ripetuta fino allo sfinimento, chissa' se per poca memoria o per bisogno costante di riaffermare una sorta di rapporto, di relazione, con il turista che si ha davanti. Impossibile andare in stazione per fare un biglietto del treno. Ci ho provato, sei volte. E ogni volta sono stato ributtato indietro, messo su un tuk tuk e scaricato in un ufficio turistico del governo, con un sedicente agente che penna alla mano scrive giorno per giorno il posto in cui mi trovero' e perche'.

Il primo a colpirmi e' stato Raju, il ragazzino che alle 4.30 in aeroporto mi ha spedito con un taxi in citta', in un ufficio, aperto alle 6, nel quale sono stato tenuto 'prigioniero' ad ascoltare proposte per turisti decisamente non low budget. A quanto pare un cinque stelle a Chamonix la sera di capodanno costa meno di una stanza a Delhi. Quindi via. Con il taxista alle calcagna. E il tipo dell'agenzia. Primo albergo, secondo, terzo. I prezzi scendono. Mi arrendo al quinto, ho spuntato cinque euro a notte, in sole quattro ore.

Un paio d'ore per riprendermi, e fuori dalla stanza trovo il tipo dell'agenzia. Lo devo letteralmente seminare per poter girare da solo in citta'. Da li sara' solo un ripetersi delle prime quattro ore. L'incontro con un uomo che mi libera da una mendicante, mi indica il luogo per fare i biglietti del treno, ed ecco una nuova agenzia. Pacchetto tutto compreso. Fermo un poliziotto, agenzia, pacchetto. Autista di tuk tuk, agenzia pacchetto. Arrivo anche incredibilmente vicino alla stazione, orientandomi in strade senza nome solo con il sole, mi ferma un capotreno, agenzia, pacchetto.

Per questo l'essere seduto con una tazza di the a guardare il cambio gomme e' una cosi' grande soddisfazione. Certo, sono dovuto scendere a un compromesso. Ho un viaggio nel nord prenotato, per fortuna con un autobus di bassa lega. E una serie di treni nei giorni successivi. 
Sperando che l'India la smetta di stare sulla difensiva.

lunedì, aprile 15, 2013

Preparativi


Difficile pensare alla partenza. Ai preparativi. Cose da portare, lasciare, spazi da riempire, situazioni da immaginare. Poco importa di quell’accozzaglia di oggetti più o meno accessori delle nostre vite che finirà nello zaino. La catena è sempre uguale, scarpe mutande giacca magliette, in ordine quantità e aspetto più o meno variabile a secondo dello stato d’animo e del clima. Lo zaino impone il suo limite, fisico, fatto di tela e cerniere. E’ lo stesso di tanti altri viaggi. Quaranta litri, un volume che passa anche come bagaglio a mano. Il necessario con un certo margine di tolleranza, agile e sempre a portata di mano. Pochi problemi di scelta. Anche perché, piuttosto che le cose, sono altri i dettagli capaci di fare la differenza.

Intanto la musica. Cosa mettere nel lettore, quale sensazione lasciar risuonare nelle cuffie in filigrana col mondo circostante. Con i rumori di un paese sconosciuto. Poi i pregiudizi. Quali lasciare a casa, quali difendere ostinatamente e sfoggiare con noncuranza ai quattro angoli del globo. E le risposte, più che le domande. Credo non saprei rispondere a chi mi chiedesse: perché questo viaggio? 

Mi piacerebbe dire semplicemente perché il mondo è grande, e c’è molto più di quanto possiamo immaginare da vedere là fuori. Ma forse la realtà è che si tratta di un profondo atto di egoismo. E’ per Trovarsi senza contatti, quotidianità, spazi, luoghi e costumi conosciuti. Messo a nudo, perso. Per vedersi realmente. E conoscersi un po’ di più.

domenica, aprile 14, 2013

Premessa #6

Strana la rete. Non dimentica. Forse nasconde, tra milioni di risultati, quelli corretti, ma se si cerca con attenzione è sempre tutto li, a portata di mano. Un po' come questo blog, che torna a vivere solo nel momento in cui un viaggio degno di nota ruba la scena della quotidianità.

Come un diario, nascosto e impolverato, sul quale di tanto in tanto si trascrivono momenti di vita. Non ci sono tutte le persone, le esperienze, gli incontri significativi. Neppure tutti i viaggi. Ma impressioni, sguardi differenti raccolti in questi anni. 

Come da tradizione, cambio nel titolo. 
Duemilasette, la vita a Valencia e in giro per la Spagna. Poi l'esperienza nel quartiere cinese di Bologna, nei panni di una persona completamente differente rispetto a quanto sono oggi. Duemilaotto, il viaggio in Europa. Poi Roma, silenzio, a tratti, evoluzioni. Duemilaundici, finalmente di nuovo sulla strada, Sud America. Silenzio. Ora, India. Capitolo numero sei.