domenica, dicembre 28, 2008

Ovemai

A volte penso di avere la chiave per risolvere tutto. Basta l’ottimismo, la determinazione, il non lasciarsi abbattere da quello che può succedere. Avere calma, pazienza, sorriso.

E’ sufficiente continuare a costruire, a sognare. Dimenticare le parole lontano, impossibile, un giorno, non posso, non è la cosa giusta, perchè io, quando mai. Non avere paura delle scelte, dei bivi, dei cambi di direzione. Giusto o sbagliato che sia ogni passo che facciamo è un passo in avanti, un rompere quella stabilità che ci lascia con l’amaro in bocca, con la voglia di provare una sensazione. Il che non significa saltellare da una parte all’altra senza ragione: il più delle volte è più difficile seguire una strada già tracciata che imboccarne una nuova.

Certo, credo a quello che dico. Profondamente, aldilà del luogo comune, della frase fatta, del già sentito, dello scontato. E provo a condividere questa filosofia con chi mi sta accanto, con le persone che incontro, con chi si lamenta senza rendersi conto di avere piena libertà, capacità di azione e decisione.

Ma posso avere anch’io un attimo di sconforto. Posso disinnamorarmi della vita, delle possibilità. Posso essere estremamente cinico, pragmatico, attenendomi a quello che vedo, a numeri che parlano da soli. Posso creare una consuetudine che non mi dia più modo di capire le cose. Posso dimenticare le esperienze, i libri, gli sguardi, le emozioni e vivere tranquillo. E in quel momento non voglio che qualcuno mi rinfacci i discorsi che ho fatto, i propositi di speranza, i sogni.

Ma voglio che un altro mi parli delle sue ambizioni, di come sta inseguendo un obiettivo irraggiungibile, di cosa sente quando capisce quanto è lunga la strada. E voglio riuscire a dargli ragione.

domenica, dicembre 14, 2008

Il popolo del surf

Aspetterò la piena a Ponte Milvio. Con queste parole il sindaco di Roma ha ben pensato di rincuorare i propri concittadini, colpiti dalla psicosi generale dell’aumento del livello del fiume Tevere. Con tanto di secchiello e paletta, seduto sull’argine, pronto in caso di necessità a togliere l’acqua di troppo.
Il fatto è questo: la pioggia eccezionale c’è stata, otto virgola sei centimetri d’acqua in una sola notte, che convogliati da affluenti e scarichi nel letto del fiume ne comportano un aumento di livello di una decina di metri. D’accordo. Esattamente si è arrivati a dodici metri e cinquanta, ben lontani dalla piena di sedici metri anni settanta o dagli oltre diciassette di inizio secolo.

Non dico che i disagi non ci siano stati: stazioni allagate, sottopassaggi impraticabili, tombini otturati che non riescono a smaltire l’acqua in eccesso. Ma la situazione è stata amplificata in modo inaspettato: si è parlato di Roma sommerse dalle acque, di inondazioni previste per lo straripamento del fiume. E la sera della piena erano tutti lì, sul lungotevere, ad aspettare l’onda. Che ovviamente non esiste. Il livello sale piano piano, magari di una decina di centimetri in una serata, eppure il pubblico assiepato sugli argini era proprio convinto di dover aspettare un’onda distruttiva, a mezzanotte, alle tre, non si è mai capito bene quando. In fondo costa meno del cinema e del teatro, ed è comunque uno spettacolo dignitoso. Preti in preghiera sull’isola tiberina, che si trova a un livello più basso rispetto all’argine e se la è quindi passata male. Protezione civile che dispone sacchetti di sabbia, polizia ad ogni ponte, foto ricordo con gli alberi sommersi. Almeno in questa confusione abbiamo imparato qualcosa: una parola nuova, esondazione, che rende tutti immediatamente esperti quando la pronunciano. E anche che i grandi muraglioni che imprigionano il Tevere nel suo corso sono stati costruiti da Garibaldi, che oggi non è più solo l’eroe dei due mondi ma anche, in un certo modo, l’eroe di Roma.

giovedì, dicembre 11, 2008

Il lento divagare

Sembra che attorno tutto stia rallentando, che ci sia la necessità impellente di frenare, fino quasi a fermarsi. Niente più vita frenetica, fast food, flash news. Ritorno alla quiete, alla calma.
Sarà solo un'impressione, o il natale che si avvicina e rende le persone pazienti e disponibili, o la neve che nasconde la fretta e blocca i camion alle frontiere.
Ma negli ultimi giorni mi sono ritrovato a viaggiare a velocità dimezzata. Ho cucinato con calma senza la smania dell'apporto energetico, soffermandomi a guardare la superficie dell'acqua nella pentola che trema prima di bollire. Sono stato a teatro e lo spettacolo mi è sembrato così lento, scandito, quasi che il pubblico avesse bisogno dello spelling per capire bene le parole, per avere il tempo di pensare a quello che stava succedendo. E ho visto la mostra di un genio della video-art che gira video a trecento fotogrammi al secondo invece dei classici ventiquattro, per poter dilatare la visione e il tempo, sfumando un'espressione del volto in lunghe sequenze di interminabili micromovimenti.

E poi piove, vedo un lampo di luce che illumina la finestra e poi conto i secondi. Uno, due, tre, trecentoquaranta metri di distanza per ogni secondo che passa. E nessun tuono arriva mai prima del tre.
Quasi che anche il fulmine voglia rallentare, prendere un bel respiro prima di farsi sentire. Senza fretta, facendo le cose con la giusta cura, dando la giusta importanza ad ogni frazione di tempo.

sabato, novembre 29, 2008

Cronache marziane

Chissà perchè mi lascio sempre affascinare dallo spazio. Da ogni piccolo dettaglio, ogni scoperta irrilevante, che scatena l’immaginazione. Forse perchè è una delle poche cose indefinite che ci restano, talmente sotto gli occhi di tutti da passare inosservata. O forse perchè in fondo spero che ci sia davvero qualcuno la fuorì, su altri pianeti. E spero per loro che non abbiano la pelle verde.

L’ultima notizia è questa: è stata trovata una particella di zucchero nello spazio. Si, zucchero, quello che abbiamo tutti nella credenza della cucina. E l’articolo d’apertura di qualche esimio giornalista non può far altro che cadere in un serie di luoghi comuni sconvolgenti: “Il brodo primordiale è dolce e viene preparato nella cucina dello spazio, con la polvere di stelle a fornire gli ingredienti e gli astri in via di formazione che danno il calore necessario”. D’accordo.
Tralaltro non ho idea di come si possa individuare una particella a ventiseimila anni luce di distanza. Nè sono a conoscenza se si trattasse di zolletta o zucchero in bustina. L’unica indicazione che ci viene data è che ha una temperatura simile a quella della Terra durante una giornata estiva. Quindi un po’ sciolto. L’equipe di scienziati conclude rassicurandoci sul fatto che debba esistere altro zucchero nello spazio.
E sembra essere una buona notizia: la piccola particella è considerata un elemento fondamentale per la nascita della vita. Ma sono ancora molti i passi che ci separano dalla conoscenza del processo che porta una bustina di zucchero a trasformarsi in essere umano. E senza pelle verde.

mercoledì, novembre 26, 2008

Quarantotto ore

Quarantotto ore di vuoto, di nulla, di buio. Malinconoia, lavoro saltato, scarsa predisposizione ai rapporti interpersonali. E tutto questo nella vita reale, non in quella virtual blog che è abbandonata da tempi non calcolabili. Addirittura il mese ottobre 2009 non apparirà mai in elenco; è questa, di per sè, è una cosa abbastanza grave.
Ma quando uno meno se lo aspetta l'organismo umano risponde in modo inaspettato. A nulla sono valsi i pasti saltati negli ultimi giorni, la pioggia del pomeriggio per la strada senza ombrello, lo zapping tra letto e divano e la totale mancanza di stimoli. Qualcosa è scattato e alla mezzanotte di oggi sono stato sorpreso da un incredibile picco d'energia.
Quasi che il corpo si voglia ribellare a questa staticità, facendomi saltellare per la casa, iperattivo e senza alcun segno di stanchezza. Una botta di adrenalina che mi ha addirittura spinto a riprendere le pagine del blog, dopo aver fatto qualche corsetta per le scale del condominio.
Certo, è notte. Forse non è il momento più utile. Ma fatto è che dopo quasi due mesi posso nuovamente scrivere e raccontare sulle pagine dell'amato blog.

domenica, settembre 28, 2008

Un euro solo un euro

La domenica mattina la tradizione sta diventando il mercato di Porta Portese. Quell'accozzaglia di stili, culture, oggetti, ricordi che si riversa per le strade del quartiere, attirando gli sguardi curiosi di turisti e passanti. Occhi sgranati verso ogni bancarella, passo lento e cadenzato, buste di plastica e la colonna sonora delle voci dei venditori. Ve li stiamo regalando, un euro solo un euro, roba bella ce n'è. Il capo è uscito pazzo, tutto cinquanta centesimi, quante belle cose.
Parole lanciate con accenti improbabili che raccontano di terre lontane, volti cordiali di romani e pakistani, commenti volanti e teste che si voltano di qua e di la come in una partita di tennis.

Tra le bancarelle si possono scorgere personaggi inimitabili, caratteristici. Perchè qui come non mai è importante colpire l'attenzione, creare curiosità per vendere la propria merce battendo la concorrenza. Un simpatico signore con un microfono legato al collo svolge la sua televendita continua, con tanto di dimostrazione pratica, affilando incessantemente forbici e coltelli. Gruppi di uomini spaesati si soffermano di fronte a un espositore di trapani a percussione. Il passato incontra il futuro al banco cinese, calamai e lampadine al neon.
Alle quattordici tutti via, e la città ripiomba nel silenzio di una pigra domenica pomeriggio.

sabato, settembre 27, 2008

Ode a Chatwin

Informazione discontinua e disorganizzata. Penso che come sottotitolo per questo blog non si possano trovare parole migliori. Visto che gli spunti arrivano ormai con la cadenza delle affermazioni intelligenti della politica italiana. Insomma, molto raramente. Leggo troppo spesso negli spazi di amici e sconosciuti le parole 'so che è un po’ che non aggiorno questo blog, ma sono stato molto impegnato'. Ultimo post, natale 2006. In altri casi, assecondando quella vena che porta ogni italiano ad essere ct della nazionale, qualche commento sui campionati europei. Il che ci porta a un soddisfacente luglio 2008. Poi il nulla.
Voglio essere onesto, e sfatare questa leggenda che cancella i pensieri della rete perchè la vita di ogni giorno è troppo densa di avvenimenti. Non sono stato particolarmente impegnato, ho tanto tempo libero, carta e penna sempre con me e una coscienza critica sugli avvenimenti. Penso, ogni tanto, a un commento su un determinato argomento. Mi immagino un frase scritta nella mente, con una sorta di deformazione professionale del giornalista consumato. E poi non fermo un pensiero sul foglio, o sul blog. Pigrizia, privacy, non lo so.

Eppure i presupposti ci sarebbero: uso lo stesso blocchetto di Hemingway, di Picasso. C’è proprio scritto in quarta di copertina. E ogni volta che qualcuno lo sfoglia esce la stessa frase: 'ah, come il blocchetto di Hemingway'. Si almeno, dall’esterno. E poi il discorso cade sempre lì: 'Picasso, Van Gogh, Chatwin... Chatwin?! E chi è Chatwin?'. Lo dico, una volta per tutte. E’ uno scrittore britannico, famoso per i suoi racconti di viaggio. E anche lui, ogni tanto, non aveva voglia di scrivere.

sabato, settembre 13, 2008

Notti bianche o quasi

Per fortuna siamo a Roma, basta uscire e qualcosa si trova sempre. Così viene sintetizzata la gloriosa notte bianca che quest'anno non ci sarà, o almeno non nelle modalità che l'hanno resa celebre nelle passate edizioni. In cassa non c'è un soldo, sostiene la giunta Alemanno. Abbiamo aperto la scatola delle offerte e la sinistra non ha lasciato neanche una monetina per andarci a divertire. Nè per riparare le buche delle strade, o prendere un cornetto al bar.
La decisione quindi sembrerebbe sensata ma, anche se non è compito mio stare qui a sindacare, non mi sembra una scelta felice. Anche perchè poi il ritorno economico c'era, per forza, con due milioni e mezzo di persone per strada tutta la notte. E l'immagine, il riaffermarsi come città dell'arte, della cultura. Ma niente da fare.
Questa volta sono però i Municipi a rimboccarsi le maniche. Perchè Roma è fatta di tanti quartieri che godono di una certa autonomia, e possono decidere spontaneamente di riempire una piazza, organizzare un concerto, un dibattito, senza spese folli ma con tanta buona volontà. Ecco allora la serata di tango a piazza Navona, il festival dedicato a Pasolini a Capanelle, musica blues a Campo dei Fiori, attori, band, qualche nome famoso, sparpagliati qua e là. Ciliegina sulla torta per il Municipio XVII, a mezzanotte la proiezione del famoso film 'La corazzata Potemkin'. Presentata da Paolo Villaggio, che in un momento di intensa cultura indosserà i panni del ragionier Fantozzi per il revival della frase che ha segnato la storia del cinema. Chi vuol capire, capisca.

mercoledì, settembre 10, 2008

Vroom

Vroom vroom, meeeeeee, ni no ni no, trshhhh...

Non è l'inizio di una improbabile poesia dadaista. O quanto meno non ancora. E' invece una breve sintesi dei rumori che di notte salgono dalla strada, a qualsiasi ora.
Il cambio di questa settimana è davvero notevole, nessuno è più in ferie, addio all'idillica pace di agosto.
La città si riappropria con arroganza dei propri spazi e non si concede pause, nè ovviamente silenzi. Il che ha un suo fascino. E una tendenza insita a portare sull'orlo della crisi di nervi chi abita fronte strada e dorme ancora con la finestra aperta, perchè in fondo fine delle vacanze non coincide per forza con fine del caldo.

Non sono nato in città, anzi, sono sempre vissuto a contatto con la natura, con la quiete. Se dalla finestra vedevo le foglie degli alberi bagnate capivo che aveva piovuto. Adesso lo capisco dall'odore d'asfalto zuppo che sale con un'onda di vapore e gas di scarico. Non vedo caprioli nel prato vicino casa, non stacco pesche dal ramo, non guardo i pesci nel fiume. Per ora è giusto così, altri obiettivi, altre sensazioni.
Ma se avete un motorino truccato con la marmitta tagliata evitate di passare alle quattro del mattino da queste parti. Ve ne sarei enormemente grato.

giovedì, settembre 04, 2008

My cinematic life

Roma è la città del cinema. O forse no. Perchè poi si finisce sempre per pensare a Venezia, al festival che è così bello mentre nella capitale fanno solo la Festa del cinema, che nasce come imitazione e quindi non può avere il livello dell'originale. Ma qui si respira un'aria diversa, si vive tra le ambientazioni di pellicole che hanno segnato la storia, non è raro imbattersi in qualche lavorazione in corso. Anche senza spingere in fondo alla metro fino a Cinecittà.
Nella via sotto casa hanno girato I soliti ignoti, dietro accanto al gazometro Le fate ignoranti. Giusto perchè Ozpetek abita dall'altra parte del ponte e non voleva fare troppa strada per andare sul set. Tra le due location la casa di Muccino, poco lontano quella di Santamaria. Perchè la nuova generazione di attori e artisti preferisce vivere appena fuori dal centro, dove la notte è viva e piena di locali.

Intanto in questi giorni continuano le riprese del film che porta Roma a fare i conti con un passato scomodo: Il grande sogno, regia di Michele Placido, una sorta di racconto del '68 e della rivoluzione giovanile. Imperdibili le scene che si stanno realizzando nei pressi della facoltà di architettura, dove tutto prese il via quarant'anni fa. Manifestazioni, occupazioni, scontri tra polizia e studenti, rigorosamente in abito lungo e cappotto sotto il sole di fine estate. Capelli alla Beatles, pantaloni di velluto e occhiali squadrati, un tuffo nel passato che per pochi giorni rivive nella città che lentamente si sveglia al ritorno dalle vacanze.

mercoledì, settembre 03, 2008

Supereroi contro la municipale

Ripresa delle trasmissioni. Dopo un assenza che non si può definire forzata, nè voluta, o cercata. Tanti sarebbero gli avvenimenti degni di un' opinione, di un dibattito, di un punto di vista: l'ultimo mese è stato ricco di novità, sul piano personale come su quello pubblico. Ma nel pieno rispetto della miglior tradizione giornalistica, l'estate non concede approfondimenti. Non si parla con Vespa in seconda serata, non si leggono le cronache dei quotidiani gratuiti, non si considerano più le sparate dei politici (o almeno non quanto le loro avventure estive, ricche di scoop e cadute dai gommoni).
Ce ne sarebbero di cose da raccontare, tante da riempire un dizionario. Lettera G, Giochi olimpici, Georgia, Gheddafi, Gustav. Lettera C, Convention, Ciclone, Controlli sulle strade, Cinema, Cina, Caldo (argomento di punta di ogni tg).

Ma la notizia che merita rilievo per oggi è un'altra. Un bandito, mascherato da Uomo Ragno, ha rapinato un ufficio postale in provincia di Como. Dopo aver arraffato circa mille euro è scappato in bicicletta, facendo perdere le proprie tracce.
Una scena d'altri tempi, quasi nostalgica, che frutta appena i soldi per pagare l'affitto. E che fotografa meglio di tante parole questo pigro settembre italiano.

lunedì, agosto 11, 2008

Quotidiana vita tibetana

Per fortuna che ci sono i giochi olimpici. Altrimenti non avrei mai saputo che il Taipei Cinese è diventato uno stato. Che poi non è vero, ma intanto sfila per conto suo, anche se la bandiera è quella con i cinque cerchi e poi il nome della nazione scritto con i trasferibili. Infatti c’è anche la Palestina, con stendardo ufficiale, e Hong Kong in vena di separatismo. Addirittura si presenta Timor Est, che poi lo sappiamo che non esiste, sicuramente è ancora in guerra ma tanto non interessa a nessuno.
Lo Zimbabwe c’è ma hanno chiesto la cortesia al presidente dittatore Mugabe di non presentarsi in modo da non mettere in imbarazzo tutti quanti. Myanmar presente, ulteriore prova che il mancato rispetto dei diritti umani non impedisce la partecipazione alla kermesse dell’anno.

A suo modo, sorprendentemente, c’è anche il Tibet. Grazie a un piccolo sotterfugio, un po’ kitsch e usato decisamente a sproposito, sfruttando l’impatto mediatico degli ultimi tempi. Quando parte la pubblicità si apre una scena californiana, fondale hollywoodiano. Primo piano di Richard Gere che lascia le impronte nel cemento della via delle star. Pochi secondi dopo, stesso zoom sulla faccia d’attore insieme ad un ragazzino vestito da monaco. I due lasciano le impronte nella neve, dietro di loro il palazzo di Lhasa e scene di quotidiana vita tibetana. Richard Gere sale le montagne dell’Himalaya, e le sale grazie a Lancia Delta. Il potere di essere differente.

sabato, luglio 26, 2008

In attesa di giudizio

Guida dei giochi per lo straniero. Tutto quello che avreste voluto sapere e nessuno vi ha mai raccontato. E' questo, a grandi linee, il titolo di un opuscolo che circola in questi giorni preolimpici a Pechino.
Un inno all'intolleranza, alla repressione, alla privazione della libertà. Un atto di coerenza, dopo tutto, da parte di uno dei regimi più contestati del mondo.
Che non perde occasione per ricordare che sono proibite azioni che minacciano l'unità nazionale, danneggiano l'ordine pubblico, turbano la stabilità sociale o incoraggiano il separatismo etnico. Quindi chi ha intenzione di parlare di Tibet o Birmania farebbe meglio a restarsene a casa. D'altronde forse ci resterà davvero: alle frontiere si presta ben attenzione a non far entrare semplici turisti che possano avere legato allo zaino il fazzoletto di Emergency, o che abbiano nel portafoglio un tesserino di qualche partito attivista. E le cifre crollano, solo centomila visitatori a fronte del milione previsto.
C'è poi il problema delle bandiere: è vietato sventolare quelle dei paesi non partecipanti, e in generale è vivamente sconsigliato portare con sè alcun genere di striscione o cartello. Immagino già la scena di un supporter sardo arrestato perchè sventola lo stendardo con i quattro mori, o le milizie contro la schiera degli italiani con scritto 'ciao mamma'.

Insomma, a conti fatti, le premesse per la sospirata apertura mentale della Cina al resto del mondo non sono le migliori. In attesa di giudizio non resta che alimentare la speranza, non tanto nascosta, che qualcosa stia stia per cambiare.

giovedì, luglio 17, 2008

Atto primo

Il dubbio è: ritornando indietro, faremmo le stesse scelte? Mi sono sempre sentito di rispondere di si. Eppure non posso fare a meno di pensare a quei momenti, a quelle scelte, forse dettate dal caso, che hanno condizionato fortemente il susseguirsi degli avvenimenti. Una mail mandata quasi per gioco, una notte a chiaccherare invece di buttarsi nel letto senza forze, anche quel colpo di testa senza riflettere tanto.
Perchè tutto è equilibrio di istinto, coscienza, fortuna, circostanza. Nel gioco dei ruoli chiamato vita ognuno è chiamato a recitare una parte, diceva Shakespeare. Buona o cattiva che sia, mutevole e inevitabile, vicina o distante dalla nostra realtà.

A volte compiamo delle scelte senza sapere se siano quelle giuste. Seguendo il copione, le battute, senza discuterle. Tenendo solo un briciolo di indecisione nel cuore e un pizzico di coraggio nella mente. Ansiosi di un nuovo giorno da affrontare.

sabato, luglio 12, 2008

Intolerance (quando nulla cambia)

Intolerance è un film muto del 1916, con la regia dello statunitense David Wark Griffith. Una pellicola che descrive come l'intolerranza, in quattro momenti cruciali della storia dell'umanità, abbia giocato un ruolo fondamentale per la rovina della società. Il film nasce come risposta alle accuse di razzismo della prima opera del regista, il controverso Nascita di una nazione uscito l'anno precedente. La storia di due famiglie sullo sfondo della guerra di secessione, la ricerca di una giustificazione per la nascita del ku klux klan come mezzo per mettere ordine nella confusione creata dagli ideali abolizionisti della gente di colore. A Griffith vennero rivolte pesanti critiche, accusa di xenofobia e apologia di ideali nazisti, quando nella vacchia europa il fuhrer se ne stava ancora placido in culla.

Era, come abbiamo detto, il 1915. E mi sento di dire che nulla è cambiato. Certo, non abbiamo più i bianchi cavalieri incappucciati che linciano e bruciano, ma il loro animo sopravvive nella mente di tante persone. Non si riesce ad estirpare la discriminazione, il razzismo, la paura del diverso. Alla faccia di una globalizzazione imperante la società si racchiude in microcelle, in piccole cerchie di privilegiati gelosi della propria esistenza.
Vorrei girare un film e chiamarlo Ignorance, perchè è questo il segreto di tutto. E' la mancanza di conoscenza che continua a renderci così antichi nel nuovo millennio. Che ci fa alzare la guardia contro un calderone di rom, gay, musulmani. Senza differenze. Senza tolleranza.

domenica, luglio 06, 2008

Into the wild

Parto per qualche giorno, in macchina questa volta. Senza un itinerario ben definito, verso la Spagna, approfittando di quella libertà che viene dall'avere un proprio mezzo di trasporto. Niente orari, musica dall'autoradio e paesaggi che scorrono veloci fuori dal finestrino.
Sto pensando che la mia destinazione non è poi così vicina come la ricordavo: un'ora e mezza di volo, giusto il tempo di sfogliare un giornale, si traduce in un intera giornata di viaggio, in ruote che si consumano sull'asfalto. Quindi non ho ancora deciso quanto lontano mi spingerò, mi lascerò guidare un po' dall'istinto. In fondo sarà un modo per scoprire quel sud della Francia troppo spesso dimenticato eppure splendido nell'immaginario di ognuno. Sempre dritto fino all'Atlantico, in mezzo ai Pirenei, visioni da cartoline di cespugli gialli, rami attorcigliati e cielo limpido.
E' molto tempo che non viaggio d'estate. Anzi, forse non l'ho mai fatto. Giusto qualche vacanza marittima e poi per diversi anni confinato in qualche località turistica, per lavoro, senza il respiro del viaggiatore, senza la possibilità di scoprire una costa, l'entroterra.
Si parte, di nuovo, con lo stesso entusiasmo di sempre.

venerdì, luglio 04, 2008

Cocce

Roma parla sempre. Non riesce a farne a meno, deve raccontare storie ed episodi con le bocche dei suoi abitanti, deve riaffermare ogni giorno il suo ruolo, centrale, nella storia e nell'arte. In poche settimane ho già una serie di racconti metropolitani, scaturiti da incontri, più o meno fortunati.
Questa mattina la nuova puntata, sulla linea autobus centosettanta, una sorta di luogo d'incontro per un'umanità varia e appassionata. Il principio, con le prime fasi del discorso, è sempre uguale, con piccole variazioni. Che caldo che fa, l'autobus è in ritardo, in città c'è traffico, non mi piace la metro, però è comoda, ma non si può scavare, hai visto adesso, che gente c'è in giro.
Poi si ricama, si sviluppa, si sorprende. Oggi ho incontrato un signore del ventinove, con il classico dolore al ginocchio, affabile e felice di raccontare la propria vita.

A Roma, negli anni della guerra, era tutto diverso. Ogni tanto sentivi il rombo delle fortezze volanti che portavano le bombe, qualche mitragliata della contraerea, e poi il cielo si illuminava e si sporcava di grigio. Il sabato si andava tutti a Piazza Venezia per l'adunata, che non interessava a nessuno, ma bastava stare lì a battere le mani ai discorsi e si saltava un giorno di scuola. Poi c'era la tessera per il pane, una rosetta al giorno, e la sera si mangiava semolino di farina, sempre. Che poi la farina bisognava andarla a prendere fuori città, e un giorno passava un camion d'arance, e allora abbiamo chiesto all'uomo sul mezzo di lanciarcene qualcuna. Ma lui ci ha buttato solo le cocce, e noi ce le siamo mangiate lo stesso. E mia moglie stava pure peggio. Si mangiavano le fave un giorno, e il giorno dopo le cocce delle fave, bollite, perchè altrimenti non si mandavano giù.
E stato come vivere per un attimo in un tempo distante, dimenticato. Capace di farci apprezzare ancor di più la semplice realtà di ogni giorno.

giovedì, luglio 03, 2008

Slow motion

Per il bene dell'umanità e dei viaggiatori oggi ho compiuto un serio esperimento scientifico. Navigando nei meandri di trenitalia ho trovato un sito di pubblica utilità, che informa sul ritardo dei treni, fornisce dati esaurienti sul traffico e i numeri del trasporto nazionale. Pieno di fiducia ho allestito un'improvvisata indagine statistica: ho scelto, del tutto casualmente, quattro tratte, distanti una dall'altra, nord sud e le due coste. Il risultato, alquanto prevedibile, è il seguente.
In questo istante sulla ferrovia che collega Rimini ad Ancona sono in viaggio tre treni: l'intercity proveniente da Milano ritarda di ventun minuti, quello diretto a Lecce di quarantuno. Non sfugge neppure l'eurostar per Taranto, indietro di tredici minuti.
Tra Pisa e Roma l'intercity verso la capitale ha ventisette minuti, in senso contrario, destinazione Ventimiglia, trentatre minuti. Un altro ritardo minimo, sei minuti, e finalmente due convogli in orario.
Al nord, tratta Milano Verona, pochi minuti di attesa per tutti e un treno paradossalmente in anticipo. Che però arriva dalla Svizzera.
Per concludere notizie dalla ferrovia Salerno Paola, tre intercity e due eurostar. Venti, quattro, quarantanove, tredici, quindici. Come numeri del lotto andrebbero anche bene.
Ogni viaggio è un incognita, relativa, indefinibile. Alla quale siamo talmente abituati da restare indifferenti anche a quest'elenco di disagi e disservizi chiamati ritardi.

mercoledì, luglio 02, 2008

Evidenza

L'obiettivo dichiarato di oggi è creare un mondo migliore. Lo dicono un po' tutti, qualcuno in fondo ci spera, e per una volta voglio seguire il branco e accodarmi a quest'ondata di ottimismo. Cambiamo il mondo, d'accordo. Come i quattro amici al bar, come Obama e Gorbaciov prima di lui, come i verdi e Scajola, anche se non nello stesso modo.
L'importante è essere d'accordo che c'è qualcosa che non va. Giusto così, in linea generale, senza approfondire troppo. Sono sempre belli gli ideali, comunque vada, ma nella realtà delle cose tutto è un po' differente.

Premetto che quello che dirò da adesso in avanti è solo una banale generalizzazione, che si contraddice nel momento stesso in cui esiste. Comunque, prendiamo un problema a caso, di quelli che crescono in maniera esponenziale e attanagliano l'umanità.
Esempio numero uno, la fame nel mondo. E' scientificamente provato che se fossero tutti vegetariani ci sarebbe cibo in abbondanza ovunque. Basterebbe coltivare a cereali le distese utilizzate per l'ingrasso di animali in allevamenti intensivi, che il più delle volte mangiano nel terzo mondo e sono mangiati qui da noi. Esempio due, la crisi energetica. Ben venga la ricerca di fonti alternative, ma il problema è un altro. La domanda cresce ogni giorno, il benessere dilaga, si bruciano più risorse nel solo anno duemilaotto che in tutto il medioevo. Esempio tre, l'inquinamento. Qui vago un po' nell'incertezza, le soluzioni probabilmente ci sono ma hanno un costo difficile da gestire, con un conseguente calo del tenore di vita difficile da accettare.
Con questo cosa voglio dire: che il mondo può cambiare, sta cambiando. Con i piccoli gesti di ogni giorno, con la liberalizzazione della cultura e della conoscenza, che pone le basi per un futuro più consapevole. Prenderemo coscienza della necessità di fare delle rinunce. E sceglieremo tranquillamente il mondo che vorremo creare. Perchè a tutto c'è rimedio, basta avere la volontà per seguire la strada corretta.

lunedì, giugno 30, 2008

Il giardino di casa

Qualche giorno in giro per Roma, come un turista. Perchè in fondo quando si vive in una città si scade inevitabilmente nell'ordinario, nel già visto. Ed è in quei momenti che l'incontro con qualcuno che visita per la prima volta l'Italia può cambiare il tuo modo di vedere le cose.
Sto diventando un sostenitore sempre più accanito dello scambio culturale, della scoperta che nasce da un confronto, del divanismo. Ovvero dell'ospitare ed essere ospitato, da persone che non conosco ma delle quali condivido una certa concezione della vita, come un viaggio mai banale e sempre ricco di novità ed emozione. Forse non riesco neppure ad immaginare cosa significhi per un giapponese, un texano, un uzbeko, mettere piede per la prima volta a Roma. Tanto è abitudinario per un italiano vivere in mezzo all'arte e alla cultura.
C'è bisogno di apertura mentale, è necessario considerare sempre molteplici punti di vista. Senza parlare dei turisti attraverso luogni comuni, senza pensare a come truffarli facendo loro pagare un bicchiere d'acqua un euro. Il mondo si fa sempre più piccolo e affollato, in continuo movimento. Bisogna apprezzare, conoscere, anche quello che si trova fuori dal giardino di casa.

lunedì, giugno 23, 2008

Prove sul campo

Sono stato a un concorso, di letteratura creativa. Forse più per la curiosità di capire in che modo funzioni questo genere di manifestazione piuttosto che per un'ambizione da scrittore. E per ironia della sorte sono dovute tornare a Bologna, nonostante le selezioni si tengano in tutta Italia; ma essendo una delle ultime prove non avevo molta alternativa. Ottima organizzazione e una bella location, un teatro che sa trasformarsi per accogliere l'arte in molteplici modi.
Il meccanismo è abbastanza semplice: una traccia da seguire, quasi sei ore di tempo per completare il tutto e un limite massimo per la lunghezza. A scuola l'avremmo chiamato semplicemente 'tema', ora lo definiamo 'estemporanea di scrittura'.

Il problema però è far rientrare tutto in 2550 battute. Chi ha un po' di dimestichezza con la funzione conteggio parole di word avrà già capito che si tratta di un po' più di mezza pagina. E condensare un racconto, un'emozione, una sensazione in così poche righe è un'operazione abbastanza complessa. Si punta tutto sull'impatto, sulla capacità di sintesi, sul creare un atmosfera con pochi aggettivi. Senza allontanarsi troppo da quella scaletta fissata dagli organizzatori.
Due tracce: una riunione di famiglia, con i suoi mille personaggi e un segreto custodito gelosamente. O un aeroporto affollato, un volo in ritardo e sguardi in sala d'attesa. Fate voi. Liberate la fantasia. In fondo, con le parole, nulla è impossibile.

giovedì, giugno 19, 2008

Ossi di seppia

Un bel mattino sono uscito di casa e mi sono diretto verso quel simbolo di quartiere che è il ponte di ferro sul Tevere. Ho imboccato lo stretto sentiero che porta alla riva, e ho incontrato un uomo che dormiva per terra: disorientato, stanco, mi si avvicina chiedendomi di comprargli una bottiglia d'aranciata. Io, più barbone di lui, non avevo in tasca neanche cinquanta centesimi; ma l'arzillo viandante ha aperto il sacchetto delle monetine e mi ha indicato la strada per il discount.
Al mio ritorno due persone dei servizi sociali gli stavano accanto, proponendogli di portarlo in un centro d'accoglienza, dove avrebbe potuto fare una doccia e avere un pranzo come si deve. Il barbone, con mia grande sorpresa, ha rifiutato, sdraiandosi irremovibile dalle sue posizioni.

Con questo cosa voglio dire: che ho scoperto dove si trova il discount. E che ci sono persone, pagate dal comune, che si occupano di monitorare la zona, aiutare i disagiati, evitare che siano abbandonate a loro stesse. Mi spiegano che con il nuovo sindaco molto è cambiato: sono stati abbattuti i campi abusivi, centinaia di persone sfollate, alcune trasferite nei centri permanenti, altre non si sa bene dove.
Non si può ancora capire se il problema è stato affrontato nel modo corretto, se c'è la possibilità di risolverlo. L'unica cosa che ora interessa e che non ci siano persone sulla strada. Che l'immagine della città sia di ordine e pulizia. Anche li, sotto il ponte di ferro, dove si accumulano gli scheletri delle baracche abbattute.

martedì, giugno 17, 2008

Azioni salienti

Nella notte resa silenziosa dalla partita decisiva degli azzurri, una figura scivola lungo la strada deserta. Pioggia battente, misto di umidità e calore calcistico. Camminando si ascolta di tanto in tanto un frammento di telecronaca, come uscito da una vecchia radio malandata, instabile. Alzando gli occhi si possono vedere qua e la stanze piene di luce gialla e sagome di persone, con gli sguardi rivolti verso la scatola che trasmette immagini.

E’ il momento di agire. La figura nel buio si avvicina al margine della strada, dove è stato gettato un antico mobile, di quelli di vero legno, ad angolo. In un attimo lo afferra e lo mette in spalla, avviandosi con passo spedito verso casa. Silenzioso e invisibile, nessuno si accorge di nulla.
Quando gioca la nazionale non esiste nient’altro.

domenica, giugno 15, 2008

Tracce

A volte penso a un determinato momento, a un istante, a una sensazione. E mi viene in mente una canzone. Rivedo l'immagine di me stesso che ascolta un particolare pezzo, canticchia, simula un assolo di chitarra con il manico della scopa. O suona i bicchieri con la forchetta e il coltello, resta in silenzio lasciando fluire emozioni.
Quella mattina, alle sei del sei gennaio, in macchina nella nebbia con uno strumentale infinito dei Chemical Brothers, Surface to air. Una notte, salendo un cavalcavia dell'autostrada, Eyeless degli Slipknot con quattro amici a fianco. Anche una sonata di piano nelle cuffie guardando gli alberi distendersi sulle sponde di un lago ghiacciato. Keny Arkana e rap francese, interno giorno, pizza prosciutto funghi e bottiglia. I still haven't found, U2, tante mattine quando mi sveglio. I Blur e quel giorno che sono uscito per comprare il Best of, finito, e allora via col treno in un altro paese, alla ricerca.
Oggi ho preso un vinile, un trentatre giri, lucido nella polvere di una bancarella. Festivalbar 86, con tanti nomi che nessuno ricorda più, successi di una stagione, miti e nuove speranze. Cancellati, intrappolati in quel cerchio nero ridotto ad oggetto di design. O a semplice, splendido, ricordo.

sabato, giugno 14, 2008

Fatti realmente accaduti

In città non esiste il silenzio. L’orario non fa alcuna differenza: la giornata è scandita da echi di ambulanze lontane e la notte è rotta dalle corse di motorini impazziti. Dovrò farci l’abitudine, lasciare che tutto diventi un sottofondo indistinto, una colonna sonora che accompagni i dialoghi, le pause, i risvegli.
Mi sto calando lentamente nella dimensione della metropoli, percorrendo i vicoli del quartiere, familiarizzando con le distanze relative dettate dal traffico. Non può esistere una conoscenza precisa, non si può determinare il tempo necessario per spostarsi da un punto all’altro. Vaghe supposizioni, indizi, pronostici. Dettati da intuizioni sulla mappa che raffigura forse un terzo dell’area metropolitana.
Il fatto positivo è che qui nessuno si spaventa se gli chiedi un’informazione. Non c’è diffidenza, paura, ognuno è felice di poter essere utile. Può addirittura succedere che un cameriere di ristorante vada a prendere il TuttoCittà per mostrarvi la strada. O può anche accadere che una turista vi domandi gentilmente un indirizzo e siate in grado di darle una risposta. Perchè in tutta quella confusione ha chiesto casualmente proprio la via per il bar sotto casa vostra.

mercoledì, giugno 11, 2008

Children of revolution

Semplifichiamo le cose. Breve riassunto di quello che ha dichiarato il ministro dell’istruzione Gelmini. Gli studenti italiani sono i peggiori d’Europa, per colpa dei professori che non sono pagati abbastanza.
Continua dicendo che è inaccettabile che un insegnante delle superiori dopo quindici anni guadagni 27500 euro; se fosse tedesco ne prenderebbe ventimila in più, finlandese sedicimila in più. Fatti due conti un professore prende duemilaeuro al mese, per un lavoro che gestisce un po’ come crede, che gli permette ogni anno settimana bianca libera e pasquetta al mare, oltre a un paio di mesi di vacanze estive. Bisogna sottolineare l’importanza sociale di un ruolo difficile, d’accordo. Aggiornamenti, lavoro a casa, situazioni complicate. Bene.
Ma nella mia personale esperienza non posso dire di avere incontrato delle grandi cime, dei sapienti custodi della saggezza, o semplicemente delle persone in grado di garantire una corretta crescita dello studente. Con le dovute eccezioni, ovviamente, per persone appassionate e competenti.

Resta il fatto che i paragoni con il resto d’Europa mi sembrano un po’ senza fondamento, non si fanno le dovute proporzioni. Parliamo di Finlandia, dove i professori sono pagati sedicimila euro in più. Una bottiglia d’acqua costa in media un euro contro i nostri trenta centesimi, un biglietto dell’autobus due euro e cinquanta. Stesso discorso per la Germania, dove non è lo stipendio degli insegnanti a essere più alto, ma la retribuzione di un qualsiasi impiego.
La riforma di un sistema che non funziona non passa attraverso un aumento di stipendio. E’ importante investire sul’istruzione, ma sono altre le strade. Per ora io e il ministro concordiamo su un solo punto: “La scuola italiana resta mediocre nei risultati, mediocre nelle speranze”. E la strada verso la rivoluzione culturale sembra ancora lunga e piena di incertezze.

giovedì, giugno 05, 2008

Oscillazioni

Ogni volta che il prezzo del petrolio sale, esce una vecchia storia fatta di costi, oscillazioni e tassi di cambio.
Ciò che si racconta è più o meno questo: nel 2001 il prezzo di un barile di greggio era di sessanta dollari, un biglietto verde valeva 1,2 euro e quindi, fatti due conti, portavamo a casa il nostro bel barile a settantadue euro. Al giorno d'oggi è pur vero che il prezzo unitario supera i centoventi dollari: ma con il tasso di cambio aggiornato, che svaluta la moneta americana a poco più di 0,6 euro, il nostro barile sarebbe sempre all'incredibile cifra di settantadue euro.
Migliaia di persone scandalizzate, indignate, di fronte all'evidenza dei fatti e ai continui aumenti immotivati del prezzo della benzina. Tutti pronti a scagliare la prima pietra, a diffondere la storiella senza cercare di capire se sia vera o meno.

Perchè invece i fatti stanno così: intanto nel 2001 il prezzo oscillava in media a ventisei dollari, e questo basterebbe per smontare la bufala. Perciò, anche se sembra assurdo affermarlo, il costo del greggio non ha niente a che fare con la benzina. E la vera bugia è credere il contrario.
Basti pensare che nel lontano 1999 si portava a casa un barile con nove dollari, ora ne servono quasi centotrenta. Mentre la benzina è passata da un euro a uno e cinquanta. Dieci anni fa si affermava che se mai si fosse arrivati a cento dollari sarebbe arrivato un tracollo dell'economia. Mentre a dispetto delle previsioni la macchina prosegue la sua corsa, la domanda aumenta ogni giorno e il prezzo cavalca l'onda come un titolo di borsa.
Facciamo un esperimento: domani provate tutti ad andare a piedi, o in bicicletta. Così per il weekend potremo fare benzina a novantanove cent e saltare in macchina, verso nuove avventure.

mercoledì, giugno 04, 2008

Tutto ebbe inizio così

Primi passi nella nuova città. Alberi larghi come sul lungomare, colonne di turisti e pietre millenarie. Quartieri nascosti, case come formicai che crescono senza controllo, e giornate trascorse con gli occhi sul giornale degli annunci. Per capire come funziona un affitto, quanto velocemente si sposta la metro, se conviene o meno abitare a un capolinea, sul raccordo, nel quartiere popolare o nella palazzina dell'università.
Non è semplice orientarsi in una capitale. O in una città cresciuta apparentemente senza una forma prestabilita.

Ho trovato casa, a Trastevere: un quartiere che affascina e conquista, a ridosso del centro storico. Anche se prenderò possesso della camera soltanto la prossima settimana; intanto vago per le vie di Roma, cercando di conoscere e riconoscere, perdendomi tra quegli scorci da cartolina. Ancora senza la consapevolezza di tutto ciò che sta accadendo.

mercoledì, maggio 28, 2008

Cambiare direzione

Inversione di rotta o forse solo un’altra strada, comunque vada. Oggi parto per un’altra città, con una valigia di cartone in cerca di fortuna. Mi trasferisco a Roma, dove tutto mi sembra confusione e opportunità.
Proprio nel momento in cui tutti pensano a fuggire dal grigio, dal traffico, con l’estate che si avvicina. Ma sono contento di questa scelta: per la prima volta dopo quattro anni non passerò questi tre mesi sulla spiaggia, a saltellare e divertire, a vivere in quella realtà parallela che è il mondo del villaggio turistico. Avrà tutto l’aria della novità, dell’inusuale, per quanto normale e ordinario.

E’ il momento di cambiare direzione, forse. Senza preoccuparsene troppo. Sarà comunque un tentativo, un assaggio di vita metropolitana, una continua ricerca dell’occasione giusta. Che bisogna inseguire e saper riconoscere.

lunedì, maggio 26, 2008

La scoria infinita

Si parla tanto di energia nucleare. E trovare dei dati chiari, come sempre, è difficile. Trarre delle conclusioni, è complesso. Schierarsi da una parte o dall’altra è facile fino a che non si conoscono i fatti. Ovvero che le bollette dell’energia elettrica sono raddoppiate negli ultimi dieci anni, e che dipendiamo dall’estero per l’ottantacinque per cento del fabbisogno. Se usassimo solo quello che produciamo, dovremmo staccare il frigorifero ogni volta che accendiamo la tv.
L’energia nucleare non risolverebbe la situazione. Perchè è già previsto che consumeremo di più. Oltretutto ci sono una serie di problemi da considerare, scorie, sicurezza, tempi di realizzazione, disponibilità della materia prima. Che, neanche a dirlo, sta moltiplicando costantemente il prezzo di partenza rendendo sempre meno conveniente l’investimento.

E poi ci sono le energie rinnovabili. L’eolico, che ancora rende poco rispetto ai soldi spesi per gli incentivi statali. E che deturpa l’ambiente, con pali di centocinquantametri nelle campagne, descritti poeticamente da Sgarbi come falli che stuprano la terra.
Alla fine c’è il fotovoltaico, che non conviene a nessuno. O meglio conviene solo al cittadino, perchè il sole non si può privatizzare, sezionare, inquadrare. E’ una fonte praticamente inesauribile. Qualcuno obietta che non ha una resa paragonabile al nucleare, certo. Per dirlo con un esempio concreto un pannello solare di un metro quadrato tiene acceso solo il frigorifero, ma almeno potete lasciarlo in funzione mentre la centrale idroelettrica vi fa vedere la partita in tv.Il problema è che il fotovoltaico è una tecnologia che nessuno ha sviluppato. L’anno passato sono stati spesi soltanto quarantamila euro, che rappresentano lo zero virgola zero zero zero due di quanto destinato allo sviluppo energetico.

La conclusione non può che essere il solito vecchio luogo comune, la storia infinita: abbandonare il consumismo, ottimizzare i consumi e incentivare la ricerca. Per quanto banali possano sembrare, non vedo sinceramente altre strade.

venerdì, maggio 23, 2008

La metà della metà

Mi sorprendo di come il caos generale riesca sempre a dare come ultimo risultato una situazione equilibrata, precisa. Insomma di come la casualità, o l’inconscio, non riesca a prendere una decisione radicale, definitiva.
Penso agli Stati Uniti. Trecento milioni di abitanti. E si pensa subito ai grattacieli, a quelli che ci sono e quelli che non ci sono più, ai giganti di cemento, alle superstrade. Poi si legge trentuno abitanti per chilometro quadrato. Che sono pochi, in effetti. E allora uno si ricorda anche il gran canyon, le montagne rocciose, la casa nella prateria. E la signora in giallo, che girava in bicicletta nelle campagne di Cabot Cove.

Fatto sta che alle ultime elezioni per il re del mondo, insomma per il presidente, la partita è finita sostanzialmente in parità. Ma la storia continua, anche all’interno dello stesso partito. Hillary Clinton e Barack Obama, cinquanta e cinquanta, fifty fifty. Non si riesce a prendere una decisione. Nessuno vuol farsi da parte. Si vota in due stati, uno a testa. Per quella strana legge che tende a compensare chi si trova leggermente in svantaggio, dandogli un’altra opportunità, rimettendolo in corsa.
Perchè ogni americano è indeciso, combattuto, dentro di sè. E non vuole perdere l’alternativa. La possibilità di confronto. O forse soltanto ha paura di commettere nuovamente gli stessi errori.

lunedì, maggio 19, 2008

Sicilianismi parte seconda

La caratteristica che rende unica una spiaggia siciliana è che non sai mai cosa aspettarti.
Perchè le montagne si gettano nel mare, si fermano a un passo dall’acqua e incorniciano un cielo limpidissimo.
A Cefalù sembra di vivere nello stesso tempo in un’antica leggenda, nel racconto di un esploratore o in una cittadina strappata al mediterraneo. Una striscia di sabbia riposa sulla riva. Due ali di scogli ai lati, sui quali prudentemente avanzano le terrazze dei locali e i panni appesi alle finestre. Poi il centro storico, la chiesa normanna e le vie che si sostengono l’un l’altra per salire lentamente il fianco della collina. E il monte, alle spalle, che custodisce la bellezza della cittadina.
Vento costante, mare limpido e sconfinato. E' semplice immaginare in lontananza navi dal mondo che nei secoli si sono date appuntamento su queste spiagge. Portando un pezzo della loro cultura, della loro arte. Creando un crocevia di splendide singole emozioni.

domenica, maggio 18, 2008

Bollettino di guerra

L’Inter vince lo scudetto. E non è il titolo di una barzelletta fuori moda. Vince e lo fa alle spese del Parma che in fondo, con diciotto sconfitte e sessantadue gol subiti, un po’ se l’aspettava. Ma non è tanto questo che mi preoccupa, in fondo il mondo è fatto a scale, c’è chi scende e c’è chi sale.
Quello che mi inquieta è invece il solito caravan serraglio di violenza gratuita che accompagna il mondo del calcio. E sul quale, francamente, non so neppure se vale la pena di spendere qualche parola. Alcuni tifosi nerazzuri hanno infatti ben pensato di festeggiare l’agognata vittoria dello scudetto devastando una scuola materna, che ha l’unica colpa di trovarsi nei pressi della curva dei boys parmigiani. Sono state sfondate porte, rotti vetri, addirittura divelti alcuni alberi. Che poi mi chiedo come si fa a sradicare un albero. Penso non siano molte le persone che vadano allo stadio con un kit da giardinaggio.
Per la cronaca prima della partita fuori dallo stadio ne sono successe delle belle. Un agente è ricoverato nel reparto di chirurgia d’urgenza dell’ospedale di Parma per lesioni multiple alla milza. Multiple. Un altro è stato colpito da un sasso che ha sfondato il vetro di un furgone. Sfondato. Forse troppo spesso leggiamo con leggerezza il bollettino di guerra domenicale, non fa più effetto.

Non so cosa sta succedendo. So soltanto che sono felice di restare fuori dal mondo del calcio. Di aver passato questa domenica in spiaggia. Di non sapere dove si giocano gli europei e chi è convocato. E complimenti all'Inter.

giovedì, maggio 15, 2008

Sicilianismi

L’idea è affascinante. Una fonte d’acqua dolce su un isola, che scorre sotto il fondo del mare per sgorgare circondata da piante di papiro. Un muricciolo e dall’altra parte il mare, il porto. E’ la fonte Aretusa, cuore di un crocicchio di case, storie e leggende che è Ortigia. A sua volta centro pulsante di Siracusa, la splendente città prima tappa della mia scoperta della Sicilia.

Dall’altra parte, verso l’entroterra, l’anfiteatro, adagiato sul fianco di una collina che respira, svuotata nei secoli dalle pietre bianche che sono diventati spalti, scene, scale. Un trionfo della cultura e dello spettacolo che rivive in questo mese di maggio col festival del teatro greco, diventando quell’anello mancante tra passato e presente, tra tradizione e modernità. Ogni costruzione è in armonia con l’ambiente che la circonda, pervaso di pacato equilibrio. La natura ringrazia creando qua e la macchie di colore col rosso dei papaveri, con gli olivi millenari, con i fiori che sbocciano al sole.

Oggi giornata trascorsa alla scoperta di Agrigento e la valle dei templi. Disegnati nel cielo azzurro, immortali, perfetti. Gialli come la terra che li custodisce, tesori da ammirare o da guardare distrattamente, respirando sensazioni ed emozioni. Un viaggio che è soprattutto mente, voglia di conoscenza. O forse soltanto di riscoperta.

venerdì, maggio 09, 2008

Long train runnin'

Parto. Un’altra volta. Attraverso l’Italia da cima a fondo, verso la Sicilia. Attaccato al finestrino di un treno, dopo tanti viaggi aerei surreali, nei quali i paesaggi cambiavano in un istante senza lasciare traccia. Voli al di sopra di un manto perenne di nuvole, che solo a tratti lasciano intravedere cosa succedeva laggiù a valli e montagne, a fiumi e mari. Adesso voglio guardare il paese che piano piano si distende, si colora e si tuffa nel mare.

L'alba sullo stretto e poi via, alla scoperta di un'isola mai incontrata. Porto di arabi e normanni, greci e spagnoli. Un pezzetto di quell'Italia con una storia da rivivere e un futuro da affrontare.

mercoledì, maggio 07, 2008

Quote rosa

Camminando per strada all’improvviso mi sono accorto di una freccia rosa disegnata per terra. Un indizio da seguire, pallido e confuso nelll’asfalto. Dopo pochi metri ecco spuntare una seconda freccia. E un’altra. E un’altra ancora. Poi, finalmente, il grande mistero: il parcheggio rosa. Ovvero una serie di posti macchina, comodi da raggiungere, senza fastidiose retromarce, spine di pesce e doppie file, rigorosamente riservati alle donne.
Sembra uno scherzo, un’ulteriore presa in giro al pericolo costante delle donne al volante. Ma non è proprio così. L’iniziativa nasce con un intento lodevole, semplificare la vita delle donne incinte o con neonati appresso, senza dover affrontare lunghe attese alla ricerca di un parcheggio o grandi camminate per giungere a destinazione.
Certo nella mia graziosa cittadina si tratta più di un atto simbolico che di una reale necessità. Il parcheggio scelto è sempre vuoto e si trova sempre posto. Sarà per questo che il cartello recita una frase leggermente diversa da quella di altri comuni: “All’interno del parcheggio troverete questo simbolo che indica un’area destinata alla sosta delle auto utilizzate dalle donne. La vostra cortesia aumenterà la loro sicurezza”. Ora, ne sono sicuro, ci sentiamo tutti più tranquilli.

lunedì, aprile 28, 2008

Una storia da raccontare

Un anno dopo, un bus scende lungo la costa, scivola sinuoso tra due rive di rocce rosse e cespugli bassi. D'un tratto la terra si spiana, come un'immensa tavola che si getta nel mare e si apparecchia di paella e sangria. Ritorno a Valencia, per un paio di giorni.
Ritorno a un anno fa, a una giornata calda d'aprile. Passeggiavo lungo il porto, sospeso, indeciso, perdendo lo sguardo lontano, fra le onde dell'orizzonte. Senza sapere di preciso cosa mi avrebbe portato l'estate, quale strada avrei intrapreso. Silenzioso, di fronte a un viaggio che finisce. Perchè è semplice trovare le parole per un'avventura che inizia, ma non per una che volge al termine.
Non si puo' considerare la fine di un cammino come un punto d'arrivo o un'obiettivo centrato. Ma soltanto come una nuova storia da raccontare, da condividere e ritrovare di tanto in tanto.

Domani torno a casa, e sono felice di non sapere cosa mi aspetta. Forse un nuovo viaggio, un'altra pagina bianca da riempire di parole. Intanto mi piace pensare che Valencia mi sorrida. Che abbia gradito questo omaggio, questo ritorno dove forse tutto è iniziato un anno fa. A presto.

giovedì, aprile 24, 2008

I favolosi anni ottanta

Quant´erano belli i favolosi anni ottanta. La discomusic, gli abiti esagerati, una sorta d´idea della societa´ che si mostra e si esibisce, si circonda di status symbol, di oggetti inutili che tutti devono avere. Uno stile di vita che risplende nel momento stesso in cui si esaurisce, con tanto di battito di mani finale e velata malinconia.

Ecco perche´ ritrovarsi i favolosi anni ottanta sotto gli occhi da solo la sensazione di polvere sul viso, colori sbiaditi sulla pelle, tristezza nel cuore. Mi e´ successo camminando tra le vie del mercato di una qualche citta´ dell´est. Dove tutto sembra essersi fermato ai favolosi anni ottanta. E dove l´ aggettivo favoloso riesce solo ad essere una perfida ironia.
Una donna ha il fazzoletto in testa, il volto segnato, e sul carretto decine di pupazzi fosforescenti, accesi, improbabili. Un uomo vende cd dalle copertine ingiallite dal sole, accanto a banchi di verdura dove tutto e´ coperto di terra. Come se nulla cambiasse da quando una carota e´ immersa nel suolo a quando arriva sulla tavola: un´ immagine d´altri tempi che mi riporta alla realta´ della citta´ nella quale mi trovo. E mi fa dimenticare quella fila di bancarelle di giubbotti di pelle cosi´ dannatamente anni ottanta.

domenica, aprile 20, 2008

Reparto ortofrutta

Il principio della comunicazione sta nella trasmissione di un messaggio. Che siamo abituati a concepire come un susseguirsi di parole e fonemi che abbiano piu' o meno un senso compiuto. Ma in realta' e' molto di piu'.
Lo si puo' capire a pieno solo togliendo un ingranaggio al complesso meccanismo, rifondando da principio regole e significati. L'esperimento si svolge in questo modo: ci si butta in un paese straniero, differente stile di vita, temperatura. Differente ceppo linguistico, uro-finnico piuttosto che cirillico, evitando l'uso dell'inglese come chiave per conoscere il mondo.
Ogni nuova esperienza, ogni parola appresa, e' un gradino che ci avvicina all'infinito. In un attimo si palesa la difficolta' di un processo comunicativo, l'amplificarsi della gestualita'.
Sfogliare un giornale fatto solo di foto e geroglifici, attraversare il reparto verdura di un supermercato, fa vivere l'emozione di un archeologo alle prese con una civilta' sepolta. La soddisfazione, per quanto semplice, e' chiamare un caffe' e una ciambella col loro nome. L'ambizione, ancora distante, e' riconoscere l'ambulatorio di un dentista dall'insegna, senza scambiarlo con un centro internet.

martedì, aprile 15, 2008

Ordinaria amministrazione

L'ordinario sta nel rivivere un'esperienza conosciuta.
Nel sentire la tromba di Miles Davis che risuona nell'aria e capire chi e' che con dita leggere tira fuori quella melodia da un pezzo d'ottone. Ordinario e' guardare la ragazza seduta all'angolo del bar con due uomini in cravatta.
Uno si passa una mano sul viso, stringendo la penna, e segna appunti su un blocco. Il secondo pone le domande, la ragazza sostiene lo sguardo e cerca di essere a proprio agio. E per quanto possa essere preparata e sciolta nel presentare le proprie capacita' potrebbe perdere quell'occasione di lavoro solo per la sciarpa che porta intorno al collo. Perche' ha un colore, verde, che distrae l'attenzione di chi le sta di fronte. Il curriculum sembra fare un buon effetto, ma il tipo con il braccio disteso sul tavolo passa sempre la mano sul volto, rivela nervosismo, tensione. L'altro indossa una cravatta, rosa, e certamente continuera' a essere tormentato dalla sciarpa, verde, che gli sta di fronte.
Perche' dopo un po' e' inevitabile cadere nell'ordinario, nel "le faremo sapere".
P.S. Le elezioni sono passate. Dovrei commentare i risultati. Ma c'e' chi l'ha fatto gia' splendidamente e del quale condivido il messaggio. Date un'occhiata.

lunedì, aprile 14, 2008

Spaghetti western

Ore 15. Si chiudono le operazioni di voto. Mi guardo attorno, indifferente, lontano. Vedo solo la citta' di Dublino che si stende sotto i miei occhi, dall'alto del Gravity bar all'ultimo piano della fabbrica Guinness. Sento solo il sapore di una birra che e' del tutto differente da cio' che ci viene servito in Italia. Forse incontro soltanto uno stile di vita diverso da quello che ci viene propinato nel nostro paese.
Forse non e' tanto importante chi vincera', piuttosto quanto ognuno riuscira' a far valere le proprie idee. Abbiamo bisogno di rivalutarci, di credere nelle possibilita', nel rilancio. La competizione deve essere stimolo, il confronto un dialogo aperto.
Sono lontano, europeo, ma felice di essere italiano. Contento del rito del caffe' mattutino, della pasta a pranzo, delle parole gesticolate. Pronto ad affrontare l'avvicendamento politico, qualunque esso sia, con rinnovato entusiasmo.

domenica, aprile 13, 2008

Sfr 777

E' il volo che collega l'aereoporto di Glasgow Praestwick a quello di Dublino, le lande della Scozia alle colline d'Irlanda. Quasi verso la mezzanotte, una sala d'attesa deserta e gente seduta tranquillamente di fronte a una pinta di birra nel pub dedicato ad Elvis. Perche' Praestwick, in un qualche modo, e' l'unica citta' del Regno Unito visitata dal re del rock n' roll. Il 3 marzo del 1960 la leggenda della musica e' stata ben lieta di incontrare i fans, sopraggiunti all'aereoporto, mentre il suo jet personale si riforniva di carburante. E per una cittadina che ha attorno solo rocce e steccati tutto diventa motivo d'orgoglio. Una targa ricorda l'avvenimento, all'Elvis bar si inganna l'attesa di quel volo che chiude la giornata.
Un attimo, quaranta minuti di sali e scendi tra nuvole e scie luminose delle citta' dimenticate. L'aereoporto di Dublino, immenso, che sprizza vitalita'. Una citta' sulle sponde del fiume che sembra conoscere solo la birra come unico idolo.
Questa sera esco, vado nel leggendario Temple Bar, a cercare una piadina. Dopo tanto bere anche gli irlandesi vorranno mettere qualcosa sotto i denti.

sabato, aprile 12, 2008

Seduto all'angolo della strada

Momenti di vita di una giornata d'aprile, angolo di Roxburgh street, Edimburgo. Case tutte uguali, file di comignoli e pietre annerite, vetrate ampie come quelle di una cattedrale. Immagini riflesse di tetti aguzzi e torrette degne di un film di Harry Potter. Una di quelle strade in pieno centro nelle quali misteriosamente non passa nessuno, proprio mentre il traffico si congestiona nella via accanto.
Ore 13. Due turisti italiani stanno seduti all'angolo, visibilmente infreddoliti, improvvisano un aperitivo con pacco di patatine e qualche lattina. Un gruppetto di bambini dai capelli rossi passa in maniche corte. Un'ambulanza con un autista dai capelli rossi si avvicina suonando la sirena. Cade il pacco di patatine, senza un'apparente motivazione. Il suolo perfettamente pulito si ricopre di piccole foglie gialle. I turisti iniziano a raccogliere e nascondere le prove sotto lo sguardo indagatore di un sopraggiunto uomo in pantaloncini, che pur non avendo capelli rossi ha gli occhi di un grande e grosso scozzese infastidito.
L'ambulanza si ferma proprio all'angolo, le corrono incontro un ragazzo e una ragazza con immancabile testa rossa, urlando e agitandosi. Le patatine sono scomparse. Un passante interroga i turisti, che orgogliosi della loro nazionalita', non comprendono una parola. Uno dei due risponde un ipotetico "no, penso di no". Lo scozzese e' soddisfatto. I gabbiani anche, circondano la scena aspettando che si calmino le acque per fiondarsi sulle briciole.

Gli stessi turisti italiani sono avvistati poche ore piu' tardi mentre provano la veridicita' del gioco di prestigio chiamato "la scatola mangia soldi". A malincuore si rendono conto che non si tratta di un gioco. E le monete se ne vanno davvero.

martedì, aprile 08, 2008

Lost in highlands

E' stato un attimo attraversare Parigi, tra vicoli e quartieri inaspettati. Parti di un solo organismo che e' quella citta' instabile, romantica, mutevole. Dal quartiere di Montmartre, uscito dalla fervida immaginazione di un vignettista, relegato e imprigionato in un qualche modo sul tramonto degli anni ottanta. Con quel Moulin Rouge che e' simbolo di un'immaginario collettivo fatto di musica e storie d'amore, e che invece delude le aspettative. Fino alla zona popolare dove ho passato le nottate, fatta di palazzi alti che a loro modo raccontano una storia, dall'alto di strette scalinate coperte di tappeti. Ho visto e vissuto, con il freddo costante nelle ossa.
Ieri tutto si e' acceso e scaldato per un attimo, con il passaggio della torcia olimpica, le contestazioni, la caccia aperta ai turisti cinesi da parte dei manifestanti. Poi oggi tutto e' tornato nella morsa del gelo. La torre Eiffel si e' coperta di neve. Ma io a Parigi non ci sono piu'.
Sono appena atterrato in Scozia, a Glasgow. Ho visto volando le bianche scogliere di Dover e il canale della Manica, e poi la terra che mano a mano si fa piu' scura, si punteggia di rocce nere e di coste frastagliate. Steccati, greggi di pecore, colline erbose dal finestrino del treno. E infine la citta', ancora da scoprire.

sabato, aprile 05, 2008

Paris!

Sono partito. Senza troppi ripensamenti, senza sapere bene cosa ho messo in valigia. Che valigia non è, ma una casa ambulante, uno zaino che sarà tutto quello che ho per un mese. E' veramente incredibile il giorno dopo aver fatto un trasloco dalla casa di Bologna, tra pacchi borse e sacchetti, vedere l'armadio pieno e uno zaino con il nulla, l'indispensabile. Una sorta di compendio dell'anticonsumismo, nel quale ogni oggetto è simbolico, ogni abito funzionale.
Ho viaggiato una notte per risvegliarmi sulle sponde della Senna, ho camminato una giornata a dispetto della metropolitana che nascosta avvolge le viscere della città. Mi sento bene.
Commosso forse, di fronte alla spiritualità di Notre Dame, incuriosito di fronte a una tazza di caffè cosi' grande che mi terrà sveglio per giorni. Spero di perdere presto quella coscienza che mi costringe a continui paragoni, a confronti, rispetto all'Italia nella quale vivo. Spero di non essere un turista, ma un viaggiatore.
L'ostacolo maggiore, prendere e andare via, è superato. Ora devo imparare a scrivere con questa tastiera francese con le lettere scombinate. E lasciare che il vento che non mi da tregua diventi solo un compagno di viaggio.

mercoledì, aprile 02, 2008

Il gioco del gessetto

Qualcun altro ha deciso al posto mio . O forse non qualcun altro, ma una serie di condizioni. Detto in breve non andrò a votare. Perchè sarò lontano, in viaggio, il che mi sembra una giustificazione validissima. Mi tolgo dalla condizione di dover risolvere una marea di dubbi e rivendico invece il privilegio di criticare tutto e tutti.

Certo, il rovescio della medaglia è che non potrò lamentarmi nei prossimi anni, dovrò subire in silenzio il processo democratico che si rinnova. Dovrò guardare come sempre illusioni che svaniscono, aspettative disattese, senza concedermi il piacere di una sana polemica. Perchè è giusto contestare solo ciò che si è voluto, ciò che si è costruito con le proprie mani e il proprio voto.

Non ho la pretesa di giudicare le proposte, i programmi, non ho le competenze, le conoscenze. Altrimenti sarei candidato io stesso. Avevo anche pensato a un nome per la lista, qualcosa di ingannevole con simbolo tricolore, come partito delle libertà democratiche, o popolo democratico dei partiti liberi. Programma di lotta agli sprechi, energetici, economici. Taglio simbolico degli stipendi ai politici. Mi basterebbe sentire queste due cose, invece di vedere centinaia di pagine di idee e progetti, che puntano ad accontentare tutti sapendo che aumentare da una parte significa togliere dall’altra.
Starò lontano da tutto questo qualche settimana. Mi dispiace solo perdere l’avvincente finale, voto dopo voto, fino alla proclamazione del vincitore. Del Grande Fratello, ovviamente. Per le elezioni in fondo, comunque vada, non potrò lamentarmi.

martedì, aprile 01, 2008

Fine delle danze

Ho chiuso il mio rapporto con l’università. In una splendida giornata, con alcune delle persone con le quali ho diviso bei momenti, con la famiglia. Con un certo tono istituzionale che mi fa parlare come se fossi a una conferenza, strette di mano, e foglie d’alloro in testa. Ho messo pure una cravatta che fa molto evento, un completo gessato, scarpe nere e lucide. Ho raggiunto una prima tappa che vuole essere solo il prologo dovuto di ciò che succederà.

Per dovere di cronaca devo aggiungere che mi hanno fatto girare ore per Bologna vestito da pagliaccio. Un bambino mi ha chiesto un palloncino, qualcuno ha fatto il simpaticone, altri si sono complimentati. Un gruppo di irlandesi in vacanza ha voluto una foto con me.
Ho sentito addosso gli sguardi di tutti, ma non mi ha dato fastidio. In fondo mi sento proprio così, un po’ buffone e disimpegnato, con la voglia di calamitare l’attenzione del pubblico, dello spettatore, del lettore. Con un bagaglio di progetti che da oggi possono essere un po’ più vicini alla realtà.

giovedì, marzo 27, 2008

Pure imagination

Sono stato in una di quelle edicole, a labirinto, con scaffali di riviste mai incontrate. A volte non riesco proprio a capire come faccia ad esistere così tanta carta stampata. Forse è un bene, aumenta la pluralità di sguardi. O più semplicemente cresce la possibilità di occupazione di un laureato fotocopia di qualche disciplina umanistica. In fondo siamo definiti cittadini di un paese nel quale tutti scrivono e pochi leggono, in quei sondaggi da porta a porta nei quali il campione prescelto in proporzione acquista meno giornali del campione finlandese.

Certo, sono solo statistiche. Ma la certezza è che non tutto ciò che è scritto venga letto. Sarebbe impossibile seguire la fiumana di giornali, inserti, allegati, monografie, speciali, reportage. Molti dei quali, perlopiù, resistono grazie a finanziamenti statali e pagine su pagine di pubblicità. Diventa tutto, come sempre, un’operazione commerciale, nella quale non importa tanto il contenuto, ma il denaro che si mette in circolo. In una catena infinita.
Nello stesso tempo però apprezzo veramente chi scrive su questi giornali. Perchè svolge la propria missione con perseveranza, passione, e sorprendente inventiva. E’ necessaria l’immaginazione di un bambino per avere sempre una storia da raccontare su riviste come ‘Il gommone’, ‘Armi e tiro’, ‘Il comportamento del cavallo’.
Veramente, vi devo tutto il mio rispetto.

domenica, marzo 23, 2008

Un anno fa

Un anno fa non era un anno fa. Ovvero l’ultima Pasqua cadeva un paio di settimane dopo. Era sempre domenica, ovviamente. Ero lontano da casa, batteva un sole forte che scaldava la pelle. A pranzo ero da amici, al settimo piano di un palazzo in una via dal nome arabeggiante. Silenzio nelle strade, calma, inizio di primavera. Poi ricordo un tavolo rotondo, una televisione con un solo canale, i volti delle persone, lasagne e gamberi. La sera a mezzanotte avrei preso un autobus per partire, verso il sud e l’Andalusia. Era tutto diverso.
Non sto dicendo migliore, peggiore. Soltanto diverso. Oggi sono a casa, e mi sembra il momento giusto per esserci. Come era perfetto stare via un anno fa con un biglietto in tasca e qualche amico col quale condividere l’esperienza. Mi piace ripensare ai particolari, quelli splendidi e inutili, che ti fanno ricordare ciò che hai vissuto. Senza malinconia, ma con intensa partecipazione.

In questi giorni ho riguardato i luoghi dove sono cresciuto, quei panorami fatti di distese e colline, di colori. Ho rivisto tanti volti, che da troppo avevo lasciato in disparte. Come se avessi un limite, continuo, nel coltivare un rapporto, una relazione sociale.
Sento che la soluzione giusta è sempre guardare in alto, avanti, lontano, ricercando una strada differente. Ma senza dimenticare le persone, i dettagli, i momenti, che mi hanno reso la persona che sono.

sabato, marzo 15, 2008

Pro creazione assistita

Il mondo non finirà mai di sorprendermi.
Cercavo qua e la le informazioni meteo per prepararmi a un lungo viaggio. Forse non andrò troppo a nord, non vedrò l'aurora boreale o semplicemente la neve. Ma e' meglio sapere a cosa si va incontro. E allora guardavo la cartina, scorrere verso nord, con gli stati dell'Europa che passo passo si fanno più grandi e desolati. Siamo troppo abituati a fissare il cuore del continente, un'accozzaglia di staterelli dai confini irregolari, che nessuno sa con precisione quanti siano, come siano incastrati.
E invece lassù al nord i paesaggi sono senza tempo e senza spazio, si gettano nel mare e tra i ghiacci per le nazioni sono sconfinate. E' cosi' che ho scoperto le isole Svalbard, un arcipelago di terra gelata dimenticato da tutti. Scogli grandi come l'Irlanda, oltre il circolo polare, governati dalla corona norvegese. Duemila simpatici abitanti. Minatori perlopiù, qualcuno impiegato nel turismo e otto folli che gestiscono una stazione radio.
E' qui che nasce un progetto che sembra l'arca di Noè dei nostri giorni. E' la banca dei semi, una sorta di deposito mondiale di qualsiasi vegetale conosciuto, una vera e propria banca genetica. Il governo norvegese sta scavando una galleria di centoventi metri nella roccia sull'isola di Spitsbergen, portando la temperatura a -18 gradi centigradi dagli originari -6 della zona. La banca avrà porte blindate antiesplosione e due prese d'aria. Il motivo di questo progetto è prevenire l'estinzione delle piante a causa di una catastrofe mondiale come la guerra nucleare o il riscaldamento globale, tanto è vero che il tunnel si trova a centotrenta metri sopra il livello del mare.
Un'ipotesi decisamente poco ottimistica.

venerdì, marzo 14, 2008

Deja vu

Uno slancio di narcisismo e determinazione mi ha spinto ad un’azione inaspettata. Mi sono cercato su internet. Ovvero ho scritto il mio bel nome e cognome, virgolettato, e l’ho lanciato in quella ricerca di quattro millesimi che sfoglia un qualche milione di pagine web. Non tanto per scoprire quanto sono famoso. Anche perchè ognuno è famoso per quindici minuti, o quindici pagine, che dir si voglia.
Quanto per la curiosità di scopire un’omonimia, di incontrare un deja vu, un ricordo del passato, un parente perduto. E i risultati sono stati sorprendenti. Merito forse di un nome che è piuttosto diffuso, il sesto più usato in Italia. Sesto come Sven in Svezia, Ian in Polonia, Charles in Gran Bretagna. D’accordo, anche Sigurd in Norvegia.
A conti fatti ho scoperto che un omonimo si pubblicizza come mago del telemarketing, di una società che non ho ben capito cosa venda. Un altro ha inserito un annuncio su un sito di trattori usati, vende un Lamborghini quasi nuovo e una macchina specializzata per la raccolta delle bietole. E il solo fatto che esiste un macchinario del genere mi riempie di orgoglio. A Torino invece l’ennesima fotocopia di me stesso lavora come giullare e saltimbanco. Lo assicuro, non sono io. Anche se mi piacerebbe davvero.
Ma in assoluto l’esponente migliore di questa piccola famiglia è un calciatore del Lazio. Il referto arbitrale racconta: "Espulso per condotta violenta nei confronti di un avversario, alla notifica del provvedimento offendeva e minacciava l'arbitro e afferrava per i capelli lo stesso avversario. Mentre lasciava il terreno di gioco spingeva leggermente un assistente arbitrale, lo offendeva ed incitava il pubblico a comportamenti violenti. Dall'esterno continuava nelle minacce." E ovviamente col suo comportamento dava inizio a una gara di solidarietà. "I sostenitori durante la gara, in occasione di due espulsioni dei giocatori della squadra, sputavano più volte contro un assistente arbitrale attingendolo al viso, alle braccia e alle gambe".
Come sempre il calcio ha qualcosa da insegnarci.

sabato, marzo 08, 2008

Quel che deve succedere

Ieri sera sono andato a teatro. E quando vai a teatro non sai mai cosa aspettarti.
Oltretutto devo scrivere un pezzo, aggressivo, su questo spettacolo che è tutto un urlare in faccia, un continuo buttar fuori insofferenza, gioia e dolore. Sono entrato tra il pubblico, con il mio volto di studente alternativo, biglietto alla cassa, sopracciglio alzato di chi guarda tutto con interesse. Un passaggio come tanti che per me è sempre emozione, quando sento l’arte attorno, la tensione della scena, il calore del pubblico.
E tutto poteva essere un po’ diverso. Perchè proprio per la rappresentazione del giorno precedente avevo un accredito stampa. Ovvero un posto riservato, gratuito, da giornalista. Niente di importante, ma è la prima volta che qualcuno mi fa guardare uno spettacolo affinchè possa scriverne un pezzo. Anche se a conti fatti ho pagato il biglietto la soddisfazione rimane.
Intanto ripenso a immagini che possano tramutarsi in parole, a colori che possano diventare frasi, a movimenti che si possano lasciar imprigionare in un titolo, in un commento. Poi se è destino un’altra occasione arriverà.

giovedì, marzo 06, 2008

Punto di partenza

Leggendo questo blog potrebbe sembrare che io sia andato a Torino e non abbia più fatto ritorno. Perchè da quel momento in poi per infiniti giorni non ho più dato alcuna notizia. Non ho più scritto, commentato. O meglio, ho scritto tanto, troppo, ideato e cancellato, strappato (no, non il pc…) e rivisitato quella che potrebbe essere la mia tesi di laurea.
Ho anche una data, finalmente, ed è la mattina del 28 marzo. Un venerdì “di grande pregio storico e artistico”, come il palazzo che lo ospita. Nel quale non è consigliabile lanciare uova e farina, nè contro gli affreschi del settecento ne’ contro il sottoscritto.
Intanto sono successe tante cose. Colloqui di lavoro, qualche ipotesi presa in considerazione. Bisogna rimettere in gioco tutto. Poco tempo per pensare, meno per agire. Poi ho incontrato un ragazzo argentino che in realtà è marchigiano e viaggia alla scoperta delle origini. Devo viaggiare, devo partire. Sto decidendo cosa fare.
E poi è un classico andare via per un po’ finiti gli studi. Chissà. Il problema è capire da dove iniziare. Ho una cartina dell’Europa davanti. Provate voi a scegliere una città, a scartare il quadro dei girasoli di Van Gogh per preferirlo a un tramonto della Grecia. A gettare la sirenetta della baia di Copenaghen per un kebab in un paese dove fanno veramente il kebab.
Penso che sceglierò tutto, o lancerò una freccetta sulla cartina. Da qualche parte dovrò pur iniziare.

mercoledì, febbraio 27, 2008

Evasioni

Salto su un treno, regionale, che farà centinaia di fermate. Destinazione Torino.
Chilometri di binari tra le campagne, alberi secchi che alzano le braccia al cielo, variazioni di distese pallide, gialle e verdi, qua e là mattoni rossi come scheletri di casali abbandonati. L’immagine che rompe la monotonia è fatta di terra scura, nella nebbia, dalla quale spuntano centinaia di paletti bianchi. Inquietanti, come croci, ai quali si sostengono le viti piantate di recente. Avvicinandosi alle città si incontrano invece quelle stazioni tutte uguali: uno stabile abbandonato, un vagone dimesso sullo sfondo, un lungo magazzino con le finestre a quadretti e i vetri rotti. Il mio arrivo a Porta Nuova è caratterizzato dai luoghi comuni. I treni sono sempre i ritardo, al nord fa sempre freddo. A fianco ho pure gli operai della Fiat, turno quattro, che oggi tornano al lavoro. Dopo trenta giorni di cassa integrazione. Sono tutti contenti, adesso hanno sessantamila motori da assemblare, e ce ne sarà per parecchio tempo.

Inizio a girare per le strade, a perdermi nella scoperta di una Torino che si rivela splendida. Ha questi portici con luci particolari, l’aspetto signorile, certi spaccati da rivoluzione industriale. Come le porte, i balconi, le cassette delle lettere in ferro battuto, tanti ingranaggi di un’unica macchina che è la città che si muove e respira. Una strada è costellata di piccole librerie all’aperto, di curiosi e studenti tra i banchi. A fianco un negozio etnico, due vetrine di vinili d’autore, all’improvviso un teatro che spunta di via in via. Un crocevia d’Europa che accoglie e conquista.

lunedì, febbraio 25, 2008

Underground

La chiamano cultura underground. Sotto il suolo, sotto l’apparenza. Come un qualcosa che si vede e non si vede, ma resta insito nelle pieghe delle società risorgendo a tratti con forza e passione. Scorre sotto pelle, disegna tratti che paiono fumetti della mente, colora e denuncia, suona e fa vibrare ciò che la circonda.
Come le foto che vedete qua accanto. Un impatto e uno stile che sono il biglietto da visita di Bloody Sound Fucktory, etichetta indipendente e molto di più. Feste rock sulla spiaggia, afterhours, e musica nuova. Diversa. Gruppi che si faranno conoscere e una selezione musicale che vuole prendere le distanze dalle leggi omologate di mercato.
Se vi va fate un salto sul loro sito, magari scorrete la lista degli eventi. Ascoltate un pezzo, affittate una fabbrica e organizziamo una serata. Insomma, se non possiamo cambiare il mondo, almeno cerchiamo di portare avanti le idee giuste.

sabato, febbraio 23, 2008

Yes, weekend

Oggi è arrivato il classico discorso aziendale. Puntuale come sempre. Il contenuto a grandi linee è fatto di forza ragazzi, siamo una grande famiglia, l’obiettivo è vicino. Dobbiamo darci da fare nell’interesse di tutti. Tra il mormorio generale mi è sembrato di sentire anche abolirò l’ici e liberalizzala. Insomma, riassumendo bisogna alzare la produttività, la qualità, la praticità. Yes we can. Si, noi possiamo. Non si poteva concludere meglio, facendo ancora un po’ di pubblicita’ a Pd e Barack Obama. Gli avrei volentieri risposto “yes, weekend”, ovvero dacci un po’ di calma adesso che è sabato sera e siamo ancora al lavoro quando tutti sono in giro a divertirsi.
Sembrava di essere ad un comizio elettorale, uno di quelli che vanno tanto di moda in questo periodo. Grandi promesse di benessere per il futuro, a patto di qualche rinuncia nel presente. E questa è una storia che già conosciamo. E ci piace riascoltarla, come una favola, la sera prima di andare a letto. E rinuncia a qualcosa per entrare nell’euro, rinuncia a qualcosa per rimanerci, rinuncia a qualcosa perchè arrivano i cinesi, rinuncia a qualcosa perchè governa la destra, rinuncia a qualcosa perchè governa la sinistra.
Fra tutti questi sacrifici rituali e’ rispuntato pure l’oracolo Beppe Grillo. Che una cosa giusta l’ha detta di sicuro: come si fa a scegliere chi votare se i programmi sono identici?