mercoledì, febbraio 27, 2008

Evasioni

Salto su un treno, regionale, che farà centinaia di fermate. Destinazione Torino.
Chilometri di binari tra le campagne, alberi secchi che alzano le braccia al cielo, variazioni di distese pallide, gialle e verdi, qua e là mattoni rossi come scheletri di casali abbandonati. L’immagine che rompe la monotonia è fatta di terra scura, nella nebbia, dalla quale spuntano centinaia di paletti bianchi. Inquietanti, come croci, ai quali si sostengono le viti piantate di recente. Avvicinandosi alle città si incontrano invece quelle stazioni tutte uguali: uno stabile abbandonato, un vagone dimesso sullo sfondo, un lungo magazzino con le finestre a quadretti e i vetri rotti. Il mio arrivo a Porta Nuova è caratterizzato dai luoghi comuni. I treni sono sempre i ritardo, al nord fa sempre freddo. A fianco ho pure gli operai della Fiat, turno quattro, che oggi tornano al lavoro. Dopo trenta giorni di cassa integrazione. Sono tutti contenti, adesso hanno sessantamila motori da assemblare, e ce ne sarà per parecchio tempo.

Inizio a girare per le strade, a perdermi nella scoperta di una Torino che si rivela splendida. Ha questi portici con luci particolari, l’aspetto signorile, certi spaccati da rivoluzione industriale. Come le porte, i balconi, le cassette delle lettere in ferro battuto, tanti ingranaggi di un’unica macchina che è la città che si muove e respira. Una strada è costellata di piccole librerie all’aperto, di curiosi e studenti tra i banchi. A fianco un negozio etnico, due vetrine di vinili d’autore, all’improvviso un teatro che spunta di via in via. Un crocevia d’Europa che accoglie e conquista.

Nessun commento: