lunedì, febbraio 28, 2011

La vida tombola

GIORNO 37, LA PAZ, BOLIVIA

domenica, febbraio 27, 2011

Gira la ruota

GIORNO 36, LA PAZ, BOLIVIA

Posso dire serenamente di non aver imparato nulla dai miei errori. Certe cose si sbagliano e basta. C'e' poco da fare.
Puoi credere di avere accumulato un'esperienza e una coscienza tale da non poter piu' ricadere nelle stesse situazioni; ma la vita e' li', pronta a smentirti. Che sia fato, destino, casualita', poco importa. Ti resta solo l'amarezza di non essere stato in grado di riconoscere te stesso, il tuo comportamento, lo stesso momento che si ripete. In fondo, e' giusto cosi'.
Altrimenti tutto sarebbe una corsa verso la perfezione, verso l'omologato, il giusto condiviso.

Ci sono persone, luoghi, emozioni, capaci di mandarti al settimo cielo o buttarti nella polvere. La differenza non e' poi cosi' grande. Quello che ho imparato e' non darmi la colpa di cio' succede. Non a priori, per partito preso. Riflettere. Considerare. Non si puo' avere il controllo di tutto. Il destino non e' una macchina precisa secondo la quale piu' si lavora e piu' si ottiene.
E' un po' una ruota delle fortuna, con i suoi spicchi colorati che dispensano soddisfazioni e rimpianti. L'importante e' la coerenza. L'onesta'. Il pensiero. Che poi succeda quello che deve succedere. Non mi faro' certo fermare da un momento sbagliato o da una scelta non esatta.

sabato, febbraio 26, 2011

Saturday night

GIORNO 35, LA PAZ, BOLIVIA

A tratti un viaggio puo' assumere sfumature differenti. Puo' essere incontro, cultura, scambio, divertimento, crisi, conoscenza. Puo' portarti a riflettere profondamente su se stesso, a guardarti dentro come non avevi mai fatto prima. Puo' anche farti vivere le giornate come se attorno non ci fosse nulla, soltanto sfumature di grigio nella falsa luce di un giorno di pioggia.
Quando cammino tra un fiume di turisti, con le cuffiette nelle orecchie a suonare la compilation della mia vita, e' come non trovarsi dall'altra parte del mondo. E' una giornata, semplice e malinconica, che ti scorre addosso. Muri, vicoli, mattoni e finestre, cassette delle lettere, voci indistinte che si mescolano in un sottofondo variegato.

Poi ogni tanto alzo la testa e vedo una montagna scoscesa coperta di casette rosse. O un volto andino avvolto nella sua coperta colorata. Ed e' viaggio, differenza.
Poi la sera, sabato sera, buttato nella mischia da americani e neozelandesi. Festa a tema, tutti vestiti da pirati, e secchielli di grog che girano sul bancone. Con David Guetta che fa da re in ogni parte del mondo, per quanto non sia ne' boliviano, ne' pirata. Il sabato, a quanto pare, non conosce differenze geografiche.

venerdì, febbraio 25, 2011

Fifties

GIORNO 34, LA PAZ, BOLIVIA

Io gli anni cinquanta non li ho visti. Ma me li ricordo. C'erano il rockabilly, le cameriere coi pattini e i drive in. E Fonzie in giubbotto di pelle appoggiato con un gomito al jukebox.
A volte qui sembra di essere in pieni "fifties". Soprattutto quando hai un centrotavola di plastica gialla e a fine pasto per dolce ti portano la gelatina. E bevi da quelle bottigliette allungate, di vetro, con le etichette che sembrano disegnate a mano una per una. Magari ordini una gazzosa, cosi', tanto per gradire.
O quando cammini per le strade e vedi i negozi di ricambi: per le macchine, per gli elettrodomestici, per quei televisori grossi e ingombranti a tubo catodico che non si pongono nemmeno il dubbio di cosa sia il plasma e il digitale terrestre.
Le cose si riparano, non si buttano. Le auto a volte hanno gli sportelli di un altro colore. Le tastiere dei computer, consumate dal ticchettio incessante dei navigatori di internet, hanno le lettere scritte a mano su pezzetti di carta e incollate sui tasti. Puoi scegliere di passare all'Apple Store e prenderti un'I Pod, o entrare nel laboratorio affianco e uscirne con il tuo walkman di terza mano fiammante. E aspettare che il nastro della cassetta di riavvolga per ascoltare la tua canzone preferita.
Ho vagato tra i vicoli del centro ascoltano Sam the Sham and the Faraons. In un altro tempo, guardando gli andini nostalgici e le bancarelle per turisti. Tutto cosi' retro'. Per qualche ora, i miei personali anni cinquanta.

giovedì, febbraio 24, 2011

Bolivia express

GIORNO 33, COPACABANA, BOLIVIA

Nella vita almeno una volta devi essere stato a Copacabana. E' quasi un obbligo. Gia' il nome dice tutto, e l'immaginazione vola a spiagge magnifiche, ballerine, cuba libre e samba. Certo, Copacabana e' in Brasile, ed essere nella versione boliviana decisamente non fa lo stesso effetto. E' come finire in un viaggio organizzato con destinazione Barcellona Pozzo di Gotto.

Comunque la citta' e' carina. Ha un monte sul quale puoi salire dopo un'ascesa degna di Indiana Jones per vedere il lago Titicaca che si stende all'infinito. Dal lato boliviano, questa volta. E se guardi bene vedi la Isla del Sol, che una volta era abitata e coltivata dagli Inca. Gli Inca non dovevano essere un popolo molto cordiale. Se ne andavano sempre sulla cima dei monti, sulle isole lontane, e costruivano le loro stradine con i gradini stretti e alti. Poi li coprivano di piante, li nascondevano e se ne stavano tra i cespugli di coca a ridacchiare.

E' il primo assaggio di Bolivia. Tutto un po' piu' economico, piu' semplice. Ora tocca vedere un itinerario. Arrivare a La Paz e capire quanti bivi ci sono. Quanti chilometri, quante ore. Quante strade ancora da percorrere.

mercoledì, febbraio 23, 2011

Vamos a la playa

GIORNO 32, PUNO - LAGO TITICACA, PERU'


Ci sono la spiaggia, le panchine, i chioschi dei gelati. Ma non e' la riviera adriatica. L'aria e' quella frizzante di una mattina da settimana bianca, le palme lasciano il posto agli aghi d'abete che pungono l'acqua. Quasi quattromila metri e un lago del quale non si vede la fine.
La mattinata ha inizio con un'escursione alle leggendarie isole galleggianti del lago Titicaca, abitate da simpatici andini che vivono di pesca e turismo. Nei loro abiti sgargianti e con i cappelli piccoli appoggiati sul capo non sembrano essere troppo a disagio di fronte alla nostra barca da arrembaggio carica di cileni e macchine fotografiche.

I simpatici andini viaggiano sul lago con le loro barchette e trainano enormi zolle di una pianta che galleggia sull'acqua e si circonda di terra e radici. Le legano assieme, fanno un bel pavimento di canne e bambu', e vivono tranquillamente pescando e intrattenendo i turisti. Se il vicino non e' particolarmente socievole, nella notte tagliano l'isola in due e se ne vanno galleggiando.

Il problema e' che i simpatici andini sono un po' troppo simpatici. Ernesto, il presidente dell'isola, ci porta a fare un giro con la sua barca. La sua Mercedes Benz, dice lui. Le donne intanto cantano per salutarci, in aimara, la lingua tradizionale. E concludono con un notevole riarrangiamento di 'Vamos a la playa' per voci e percussioni.
Vittime e protagonisti di un turismo ottimizzato, i simpatici andini riprendono la loro quotidianita', esercitandosi nell'intero repertorio dei Righeira e stendendo i loro vestiti sgargianti alla vista dei turisti.


martedì, febbraio 22, 2011

Decisioni

GIORNO 31, CUZCO, PERU'

Sto bene bene bene. Anche' perche' sono stato quattro giorni a un'altitudine ragionevole. Adesso di nuovo a Cuzco, e sempre piú' in salita, verso la Bolivia. Ho deciso di combattere il mal di montagna con una nuova medicina, la Coca Cola. La teoria e' questa: mi hanno dato delle pastiglie, qualche giorno fa, che contenevano, tra le altre cose, anche caffeina. La Coca Cola contiene, tra le altre cose, anche caffeina. Quindi e' una medicina. Ve detto che le pastiglie non mi hanno fatto alcun effetto, ma le pastiglie non fanno ballare gli orsi polari ne' tanto meno hanno come testimonial Babbo Natale. Per Natale, periodo di massimo lavoro del simpatico vecchietto.

Poi ho deciso che il mio zaino e' anche borsa frigo. Basta crederci. Quindi la vaschetta di mortadella si conserva li per domani. Anche perche' l'emozione di trovare la mortadella in cima alle Ande e' difficile da spiegare.
E poi oggi a pranzo ho deciso che ho uno stomaco d'acciaio e non mi da fastidio niente, e sono andato il ristorante indiano tutto a volonta'. Entri e ti distruggi di pollo al cocco, farina di ceci, basmati e cose strane e colorate che forse una volta erano verdure.
Ho deciso che si riprende con lo slancio iniziale. Continua la corsa.

lunedì, febbraio 21, 2011

Inca jungle

GIORNI 27-28-29-30, INKA JUNGLE, PERU'

Sulla cima di una montagna, a 4300 metri, un uomo in bicicletta guarda perplesso lo strapiombo che si trova di fronte. Piove, l'aria fredda e la nebbia ricordano una tappa del Giro d'Italia da periodi epici, quelli con un solo uomo al comando nella sua maglia bianca celeste.
Ha inizio una quattro giorni di fuoco. Mi sono concesso un tour organizzato, lontano pero' dalle logiche del mercato che vedono un treno cileno inglese accaparrarsi il fiume di turisti che si riversa su Machu Picchu. Si parte dalla cima di una montagna, dopo alcune ore in minibus. Ci si butta per ventotto chilometri di tornanti mozzafiato in bicicletta. Poi si cammina. Due giorni, nella giungla, lungo il fiume Urubamba, sul fianco delle Ande, su sentieri inca che si perdono nel vuoto e nella vegetazione. E l'ultimo giorno si sale, prima dell'alba, a Machu Picchu.

C'e' l'olandese che ho incontrato in ostello, che nel suo poncho rosa sembra il leader di classifica mentre scende i tornanti dell'Abra Malaga. Poi uno scozzese che non teme il freddo. Fratello e sorella dall'Irlanda che lottano per le prime posizioni. Un italiano uscito da 'Il signore degli anelli'. Un gruppo di cileni che saranno la grande delusione di questo giro del Peru', tutti ritirati tra la seconda e la terza tappa e raccolti dal pulmino ammiraglia che vigila sulla buona salute degli atleti.

GIORNO 1
Un bel gruppo. Il primo giorno, sulla vetta del monte, si gela. La discesa e' molto tecnica, la strada, a tratti, e' attraversata da torrenti e cascate. Dopo la diffidenza iniziale, si vola, inzuppati fradici, con le ruote della bici che sollevano terra e pioggia. Nel pomeriggio, per non farsi mancare nulla, partiamo per fare rafting. Il fiume e' impressionante, gonfio per il mese delle precipitazioni, con rapide di livello tre e mezzo, a tratti quattro. Lottiamo per due ore contro la forza della corrente, volando da una parte all'altra. Uno dei due gommoni viene letteralmente scaraventato per aria e piccoli caschi gialli annaspano tra le onde cercando salvezza. A conti fatti, un solo ferito.
Piu' uno caduto in bicicletta. Meno due per la lotta in classifica.

GIORNO 2
Partenza alle sette di mattina, piove, insistentemente. Si cammina, la strada e' chiusa per la presenza di frane. Attraversiamo un tratto di corsa mentre ancora le rocce rotolano gettandosi nel letto del fiume impetuoso. Dopo un po' la pioggia se ne va e si sale sul fianco della montagna, sull'antico sentiero inca, fatto di pietre e gradini. Quando la strada esce dalla macchia di alberi di maracuja il paesaggio e' impressionante. Siamo praticamente nel vuoto, aggrappati a una lingua di roccia che cammina sullo strapiombo. C'e' chi e' in grossa difficolta'. Chi mastica foglie di coca. Tutti ci segnamo il volto con il rosso estratto da una pianta rituale, come gli antichi messaggeri. Oggi si fa classifica. Al termine della tappa, forse nove, dieci ore nelle gambe.

GIORNO 3
Si riparte, in cammino. Un ponte di corda sul fiume. Poi una carrucola con cestello, che passa da una sponda all'altra, mentre le gocce dei flutti di bagnano il volto. Il giorno prima abbiamo anche avuto l'ormai classico tronco d'albero per attraversare una stretta gola che, nell'immaginario di tutti, era popolata da piraña e coccodrilli. Nel pomeriggio appare la sagoma della montagna di Machu Picchu, e il pueblito turistico di Agua Caliente, ultima tappa prima della salita alla meraviglia del mondo.

GIORNO 4
Sono le quattro di mattina e c'e' grosso fermento tra le strette vie di Agua Caliente. Alle quattro e mezza apre il ponte per iniziare la salita a Machu Picchu. Il sito apre alle sei, e chi vuole visitare la parta piu' alta, ovvero la montagna di Huayna Picchu, deve rientrare tra le prime quattrocento persone. Da non dimenticare che alle cinque e mezza inizia il servizio autobus, al prezzo esagerato di quindici dollari, ma comunque molto richiesto. Ma il vero viaggiatore sale a piedi, sia chiaro.
Gradini di pietra, al buio, luce di torce e gente che corre, poi crolla, su panchine improvvisate. Ce la facciamo, in un'oretta. L'olandese a tirare il gruppo, l'italiano in fuga con il colombiano rivelazione, gli irlandesi determinanti nella fase finale. Tutto il gruppo qualificato.
E poi, cosa dire. Machu Picchu. Una citta' sulla cima di una montagna, sentieri che si inerpicano sulle vette, lama che brucano indisturbati. Un tempio astronomico che segna equinozi e solstizi con una precisione inaspettata, terrazzamenti per le coltivazioni, e il rumore, lontano, del fiume Urubamba, ridotto a una linea sottile sul fondo della valle.
Fine del tour. La sera si fa ritorno a Cuzco, in treno e autobus, con una meraviglia del mondo in piu' negli occhi e nel cuore.


mercoledì, febbraio 16, 2011

Spiderman spiderman

GIORNO 25, CUZCO, PERU'

Quando non stai bene e sei lontano da casa tutto e' piu' difficile. Pensi di non alzarti dal letto, ma sai che nessuno ti portera' il pranzo o una tazza di the' caldo. Cuzco mi ha distrutto. Totalmente. Niente di irrecuperabile, d'accordo. Ma tempo perso, fermo, a fissare il vuoto.
E invece c'e la voglia di andare, di vedere. A migliaia di chilometri da casa, non si puo' restare ad apprezzare la decorazione di un paio di lenzuola e la morbidezza di un cuscino. Tutto sfugge un po' di mano. Pochi stimoli.
La vista della citta' dalla finestra. Notevole. Le urla di due australiani che giocano a ping pong. E non urlano perche' giocano a ping pong. Urlano e basta. Sempre.

In compenso le mie capacita' sensoriali stanno diventando come quelle dell'Uomo Ragno. Ho percepito che stava per entrare qualcuno in camera quando ancora non aveva iniziato le scale. Ho sentito una farfalla sbattere sullo specchio del bagno. Ho capito che la guardia all'ingresso dell'ostello stava leggendo dal fruscio delle pagine.
Superpoteri. O forse semplice attenzione, di chi aspetta che la giornata passi alla svelta e si porti via ogni stanchezza.

martedì, febbraio 15, 2011

Senza parole

GIORNO 24, CUZCO, PERU'

Oggi non ho niente da dire. Difficile essere piu' chiari di cosi'.

lunedì, febbraio 14, 2011

Ymca

GIORNO 23, CUZCO, PERU'

Sono proprio maledettamente europeo. Credo di avere qualche difficolta' con l'altitudine. Ma faccio finta di niente, questa soddisfazione alla gente che ridacchia dei turisti mezzi storditi in cima alle montagne non gliela voglio dare.
La notizia e' che se vivessi in Peru' sarei un cocainomane. Nel senso buono del termine, comunque. Niente a che vedere con quello che siamo abituati a sentire. Semplicemente mi devo fare una tazza dietro l'altra di the' con le foglie di coca, l'unico rimedio per combattere i sintomi della mancanza di ossigeno. Buono, tralaltro. E fa passare la fame, la fatica, fa vedere piccoli arcobaleni per strada. No beh, non esageriamo. Pero' speriamo che aiuti.

Oggi sono rinchiuso nell'ostello dei gringos. Un posto dove nessuno parla spagnolo. Dove dopo pranzo si ridacchia guardando South Park. Abbiamo un tavolo da biliardo e uno da ping pong, la sala internet, in centro per le escursioni, l'happy hour. E un bar ristorante dove si guardano le partite. Oggi per un attimo hanno girato su Milan - Parma quattro a zero.
Lo staff e' simpatico, e ogni giorno in bacheca sono esposte le attivita'. E' un piccolo villaggio turistico. Per San Valentino c'e' la serata due di picche. Domani il torneo della Wii.
Non ho niente a che fare con tutto questo, mi trovo qua per caso. Adesso pero' vado che e' partita Ymca e devo fare il trenino. Altrimenti gli animatori non mi lasciano in pace. Dal finto sudamerica e' tutto. A presto.

domenica, febbraio 13, 2011

Ventiquattro

GIORNO 22, autobus LIMA/CUZCO, PERU'

Ventiquattro ore. In autobus, su e giu per le Ande, tra Lima e Cuzco. Che in linea d'aria sono poco piu' di cinquecento chilometri, ma diventano mille e cento seguendo il tortuoso percorso che lambisce l'Oceano Pacifico, si butta poi nel misterioso deserto di Nazca e infine su per le montagne, tornante dopo tornante. Partito alle undici, arrivato alle undici e un quarto. Un giorno quasi cancellato dal vivere su una poltroncina tra bambini che mangiano pannocchie e signore andine che raccontano barzellette in quetchua.

Un buon tempo considerando che abbiamo perso un paio d'ore intorno a mezzanotte per la rottura di un freno. E quando tutti gli uomini sono scesi a dare un'occhiata, secondo la vecchia teoria che piu' si guarda piu' si ripara, sono andato con loro. All'inizio erano un po' diffidenti. Ma quando hanno sentito che anch'io davo la mia teoria, come ogni uomo che guarda i lavori, si e' instaurato un rapporto di fiducia e complicita'. Quando siamo diventate quindici persone a guardare il meccanico che lavorava, lentamente mi sono defilato. Su cinquanta passeggeri mi sembrava ci fosse gia' un'ottima rappresentanza.
Resto del viaggio tranquillo. Impatto con Cuzco. Manca l'ossigeno. E sono ancora solo a 3400 metri. Ah, e viaggio nuovamente da solo. Imprevisti. Piove, stagione delle piogge a Cuzco. Ho preso un poncho. Citta' di gringos. Mi sento a meta' tra i peruviani che non mi sopportano in quanto turista e gli americani che non mi piacciono.
Obiettivo, acclimatarsi. Trovare una via, un modo di essere. Respirare.


sabato, febbraio 12, 2011

Coffee time

GIORNO 21, LIMA, PERU'

Che dire. Giornata un po' persa. Basso stato di salute, nottata in giro per Lima, addormentato su una panchina chissa' dove. Mai sottovalutare i cocktail della tradizione locale. Tale Pisco Sour. Che si fa con il Pisco, che e' tipo un alcolico nazionale che si fa con due tipi d'uva. E poi succo di limone, zucchero, ghiaccio, e un pizzico di angostura, che ci sta sempre bene.
Cosi' ti sembra leggero, estivo, tropicale e invece e' come buttar giu' grappa friulana. La tradizione comunque e' la tradizione, e andava rispettata. Poi bella gente e buon ambiente. Certo, un po' di mal di testa e la sensazione di ritrovarsi a un raduno degli alpini.

Per questo mi sono messo a cercare un caffe'. Che e' tanto italiano, lo so, ma e' l'unica cosa della quale e' difficile fare a meno. E' quel rituale che ti fa iniziare la giornata. E' il momento tra amici dopo pranzo. E' l'occasione per parlare e incontrarsi.
Ovvio, il sudamerica e' pieno di caffe'. Ma stile americano, in bicchieri alti, in caraffe da centro tavola. Solubile, il piu' delle volte. Tanto che ti portano la bustina e l'acqua calda. Insomma, dopo vari tentativi, ho chiesto un macchiato. E mi hanno fatto un caffelatte con la schiuma. L'espresso e' il caffe' lungo. Il lungo, e' una pentola formato famiglia.
In fondo, basta solo sapere cosa chiedere.

venerdì, febbraio 11, 2011

Mario il cinese

GIORNO 20, LIMA, PERU'


Gli italiani sono in ogni angolo del mondo. Come i cinesi. E infatti, persino a Lima, c'e' una piccola chinatown. E cosa fanno i cinesi? Aprono ristoranti. Chiaro. Scontato.
Ma e' tutto un po' diverso. Non sono un'entita' a parte, come da noi. Sono parte di un tessuto sociale complesso e variegato. Ci sono addirittura dei camerieri peruviani, nei ristoranti cinesi. La salsa di soia e' insieme ai condimenti tipici andini. Si vogliono tutti bene, credo.
Perche' qui non c'e' la competizione sfrenata, l'arrivismo che invece domina il nostro paese. E i cinesi fanno prezzi normali, non stracciati, in linea con quelli degli altri ristoranti. Cosi' la gente non li odia. E parlano un bello spagnolo, senza accenti strani e parole strascicate, pronunciano anche le erre. E diro' di piu'. Parlano bene anche il romano. Lo dico sempre, facciamo un giro da Mario il cinese, che e' tanto simpatico e sono anni che non ci fa lo scontrino. Solo l'italiano e' indigesto. Come un involtino primavera rimasto sul fondo del sacchetto del take away.

Gli stranieri qui sono altri. Siamo noi. I gringos, gli americani arroganti. Certo, noi non siamo americani, ma non fa differenza. Non si distingue tra turisti, tra blankitos. Tutti uguali. Una donna me lo ha proprio detto in faccia, dovete smetterla di venire qui a rubare i nostri soldi. Sono cose che fanno male. Perche' fai di tutto per apprezzare una cultura, un paese. Parli con le persone come se fossero fratelli, sei estremamente disposto ad accettare, provare, vivere. Almeno per me e' cosi'. E invece sei l'ennesimo gringo pieno di soldi che sfrutta e disprezza.

Ma lo posso capire. La prima cosa che la gente pensa, quando parlo di un viaggio, e' che ho un sacco di soldi. Piovuti dal cielo, ovviamente. Europei o sudamericani non fanno differenza. Non sanno che in realta' non e' il denaro che ti permette di viaggiare. Non sanno che magari hai rinunciato a tante cose per tenerti da parte quei pochi euro. Soprattutto non sanno che occorre meno per viaggiare in giro per il mondo che per vivere la vita di ogni giorno.

giovedì, febbraio 10, 2011

Stessa spiaggia stesso mare

GIORNO 19, TRUJILLO, PERU'

Ho visto uno stadio per le partite di ping pong. Credo una delle cose piu' inaspettate di questo viaggio. E' come lo stadio del tennis, tondo, alto. Ma al centro c'e' un tavolo da ping pong. A Trujillo, che e' una bellissima citta' peruviana quasi sul mare. Uno dei quei posti dove si prende il gelato la sera, si vedono i gabbiani in cielo, ci sono le feste in piazza ma il mare non si vede. E come camminare sul lungomare, ma l'acqua non c'e'. E' sette, otto chilometri piu' in la'. Una citta' incompiuta, un piccolo errore di calcolo del piano regolatore ed ecco che una lunga fila di panchine da mare, uno stand di granite e la casetta di un bagnino si trovano a mezz'ora dalla spiaggia.

E allora facciamocela questa mezz'ora. Si esce di citta'. Ricomincia il deserto. E ci si imbatte in un capolavoro dell'umanita'. E' la citta' perduta (e ritrovata) di Chan Chan, un insediamento precolombiano che si estende per chilometri e chilometri. Muraglie incise con figure di guerrieri, stelle e pesci. Ci siamo, mi dico. Si sente anche il rumore delle onde, a tratti, portato dal vento. L'altare sacrificale. Le tombe. La sala vip, dove i sacerdoti si preparavano ai rituali, ingresso solo in lista. La piazza. E poi basta. Muro conclusivo, immenso, dodici metri d'altezza ad impedire la vista verso qualsiasi cosa sia dall'altra parte.
Camminata nel deserto, tra vento e polvere, per tornare alla strada principale, a qualche chilometro di distanza. Appuntamento con il mare rinviato.

mercoledì, febbraio 09, 2011

Machete

GIORNO 18, PIURA, PERU'


Il deserto. L'autobus viaggia sfrecciando su una lingua d'asfalto che sembra non avere fine. Per cinque ore attorno solo sabbia, rocce. Qualche montagna buttata qua e la, un paio di cespugli. La terra e' rossa, il sole anche. Non sapevo neanche ci fosse un deserto in Peru'. Il panorama e' affascinante. Forse e' la prima volta che viaggio di giorno, e' uno spostamento breve, sei, sette ore. Non c'e' assolutamente nulla attorno. E all'improvviso sale sull'autobus un venditore di cornetti, uscito da chissa' dove. Certo, i cornetti invece che essere alla marmellata sono ripieni di pollo e cipolla, ma non credo che nel mezzo del deserto si possa stare tanto a sottilizzare.

L'autista per deliziare il nostro viaggio mette un film. E' Machete. Machete e' forte. E' la storia di un tipo, che si chiama Machete. Era nei servizi segreti, nella Cia e nell'Fbi. Usava un machete per uccidere i cattivi con i mitra e le pistole. Poi gli hanno fatto fuori la famiglia, e lui ha iniziato a vivere per strada. E' messicano, e clandestino negli Stati Uniti. Non ha neanche piu' il suo machete. Poi un giorno i cattivi lo ingaggiano per uccidere un senatore contrario all'immigrazione, anche lui cattivo, che e' Robert De Niro. Il capo dei cattivi, che comunque e' anche amico del senatore, e' Steven Seagal. Quando portano Machete nel covo segreto, gli danno un arma, che e' un fucile di precisione. Ma per sicurezza lui prende anche un machete.
Ma e' una trappola. Vogliono solo uno da accusare per l'omicidio. E allora Machete si arrabbia. Con i suoi amici, un prete e una venditrice di tacos, mette su una banda. Che ha tutti gli immigrati clandestini dentro. E si riprendono la frontiera. Alla fine Steven Seagal affronta Machete. Lui ha due katana giapponesi, Machete due machete. E sei piccoli machete sul gilet da battaglia. Sembra che il cattivo vinca. Ma Machete ha solo fatto finta di perdere, e vince.
Sara' stato il deserto attorno, il viaggio, i cornetti al gusto di pollo. Ma mi e' sembrato il film giusto al momento giusto. Grazie autista, grazie Machete.

martedì, febbraio 08, 2011

Il freddo

GIORNO 17, CUENCA, ECUADOR

Il Freddo e' un personaggio di Romanzo Criminale. Non c'entra niente con quello che scrivo, ma fa audience. Invece quello che centra e' che in montagna fa freddo. All'equatore, sembra strano, fa freddo. Specialmente se piove giri con la sciarpa e la giacca a vento. Freddo freddo e' l'originalissimo nome di una gelateria di Cuenca. La catena del freddo e' il mantenere costante la temperatura di cibi surgelati e congelati per evitare che si rovinino o si creino microbi e batteri. In Sud America pare non sia conosciuta, mangi sempre quei gelati confezionati che si sono sciolti nel trasporto e si sono ricongelati in forme bizzarre.

Poi prendi un autobus, e in breve arrivi a una nuova frontiera, perche' l'Ecuador e' proprio piccolo piccolo, buttato li' in mezzo al continente. E al posto di blocco, in fila a farsi timbrare il passaporto, c'e' gente con le ciabatte. E il costume da bagno. Un asciugamano sulle spalle, giusto perche' nell'autobus c'e' il freddo. Dell'aria condizionata. Ma capisci, o almeno intuisci, che in Peru' c'e' il caldo. E non puoi fare a meno di sorridere mentre con la tua giacca a vento cammini accanto al popolo della spiaggia.

lunedì, febbraio 07, 2011

Sotto le nuvole

GIORNO 16, QUITO, ECUADOR

Legge universale di Quito. La mattina c'e' il sole, il pomeriggio piove. E siamo a tremila metri d'altitudine, il che significa che ti accorgi di essere all'equatore solo perche' il sole tramonta in quattro minuti, non certo per il clima.
La pioggia. Ecco qualcosa a cui non sono preparato. L'ho vista poco fino ad ora, un pomeriggio in Colombia e una notte in Venezuela. Devo trovare qualcosa per il mio zaino. E' un problema far asciugare i vestiti mentre si viaggia. Non credo si possa attaccare una fila di calzini al finestrino dell'autobus. Non e' elegante, e nemmeno pratico. Svolazzano troppo.

E poi da stasera, per un paio di settimane, non viaggio piu' solo. Mi segue una ragazza tedesca che studia a Quito, e che fa parte della stessa splendida community di viaggiatori nella quale mi trovo anch'io. Sara' strano. Mi ero abituato a un contatto da 'Into the wild' con i paesi che attraversavo. A tempi solo miei. Staremo a vedere.

domenica, febbraio 06, 2011

La frontiera

GIORNO 15, RUMICHACA, frontiera COLOMBIA - ECUADOR

Per sicurezza personale e delle persone coinvolte, nonche' per evitare problemi con la giustizia internazionale, non raccontero' tutto cio' che e' successo oggi alla frontiera di Rumichaca. Ufficialmente, dopo il mio arrivo in Venezuela, sono misteriosamente scomparso e ritrovato in stato confusionale nella cittadina di Tulcan, in Ecuador.

Tutto quello che si vede nei film d'avventura, come episodi di corruzione, passaggi di confine nascosti da una coperta, perquisizioni e posti di blocco, mazzette, sono pure invenzioni di fantasia. Episodi lontani dalla realta' dei fatti.

Comunque, dopo l'ennesimo autobus, sono a Quito. Dall'altro lato dell'equatore. Maggiori dettagli ve li raccontero' di persona al mio ritorno. In un luogo sicuro. Lontano da orecchie indiscrete.

sabato, febbraio 05, 2011

The terminal

GIORNO 14, POPAYAN, COLOMBIA,


Seduti in una sala d'attesa il pensiero raramente va al viaggio, al cammino che ci aspetta. O a quello che e' trascorso, ai ricordi vicini o lontani di una giornata o di una vita. La mente si concentra sempre sull'attesa. Seduti ad aspettare il prevedibile, con gli occhi che si spostano mollemente dai capelli arruffati della signora sulla panchina al banco dei panini del bar di fronte.
Cosi', piu' o meno, iniziava la mia tesina per la maturita'. Chissa' dove volevo arrivare. Il succo del discorso era che il futuro si costruiva tornando al passato. Che l'originalita' era riproporre l'antico nel nuovo.

Mi viene da pensarci dopo tutte le ore trascorse tra autobus e terminal. La scorsa notte dodici ore da Bogota' a Popayan. E questa sera via, di nuovo, sette ore per arrivare al confine. Mi piacciono le stazioni. Gli aeroporti. La gente indaffarata che trasporta valigie e pacchetti. Tutto quel movimento che non porta a nulla. Mi siedo. Mi alzo. Prendo un caffe'. Mi siedo. Cammino. Guardo una vetrina. Sfoglio un giornale.
Luoghi dove il tempo e' tutto, e niente. Dove il piu' delle volte non riconosci neppure la citta' o lo stato dove ti trovi, nascosti da pareti di acciaio e cristallo, banchi d'informazione, seggiolini neri.
Penso che potrei vivere in un terminal, in un aeroporto, come un nuovo Tom Hanks incastrato dalla burocrazia e costretto a sopravvivere in sala d'attesa. Mi muovo sorprendentemente bene in spazi sconosciuti, mentre la gente arranca tra i cartelli d'indicazione e gli avvisi dell'interfono.

In fondo e' una parte di viaggio anche questa. Che ti regala tempo per pensare, progettare. Per rivivere in modo rilassato la quantita' di stimoli che una giornata in terra straniera ti butta addosso. Per riappropriarti semplicemente di quello che ti sfugge nella fretta del tempo che corre.

venerdì, febbraio 04, 2011

Ariosto, il meglio per il vostro arrosto

GIORNO 13, BOGOTA', COLOMBIA

Mi sono sempre chiesto perche' esistono gli aromi per i cibi. Forse perche' non hanno piu' sapore. Come il leggendario Ariosto. Ovvero, aggiungi il sapore di arrosto al tuo arrosto. Tanto vale comprarsi una rosetta, spolverarla di Ariosto, e fingere il cenone del giorno del ringraziamento. O versarlo sul pacchetto delle gomme, e andare in giro masticando tacchino con patate.
Questo solo per dire che mi sono concesso il primo pranzo completo. E un pollo cosi' in Italia non mi capita mai di mangiarlo, tranne il giorno di pasquetta quando la nonna butta in tavola l'anatra cresciuta in cortile.

Adesso non voglio dire che in Colombia sia tutto sano e genuino. Ma in quel ristorante, sicuramente si'. Certo, chiamarlo ristorante e' un po' esagerato. E' una stanza piastrellata con due file di tavolini da fast food, quelli con gli sgabelli inchiodati a terra. La serranda alzata che sembra di entrare in un garage. Nessuna insegna, solo un cartello scritto in pennarello nero che annuncia menu' completo a 4000 pesos. Un euro e ottanta. E questo basterebbe a convincermi. E in piu' e' pieno di gente. Niente turisti, ancora meglio.
Zuppa di verdure come primo. Poi pollo al forno con patate. Un piatto di misto verdure, lenticchie e riso. Da bere limonata. Certo, accostamento azzardato, ma tutto sommato riuscito. Al servizio totale, preciso e puntuale per quanto spartano, darei tre stelle michelin.
E sicuramente mi riprometto di segnalarlo in una mia personale riedizione del Gambero Rosso.

giovedì, febbraio 03, 2011

Vite parallele

GIORNO 12, BOGOTA', COLOMBIA


Sentirsi a casa ed essere dall'altro lato del mondo. E' incredibile come una citta' possa entrarti nel cuore, come si possa condividere cosi' tanto con persone cresciute in ambiente, cultura e tradizioni differenti.
Sono nel quartiere della Candelaria, il centro storico della citta' ma anche una sorta di roccaforte universitaria, piena di spazi d'epressione, luoghi d'incontro, teatri e locali. Quasi sulla cima della collina, che da li a poco si trasforma in aspra montagna, si trova una piazzetta, plaza del Chorro de Quevedo. Sembra di stare nel centro di Bologna.

Gente seduta sui gradini a leggere col sole sulla fronte, un attore da un lato che intrattiene un gruppo di studenti, giocolieri e muri dipinti. Una giornata alla scoperta di vicoli stretti e colorati, vitali. E poi bella serata in un locale sulla settantesima con la community di viaggiatori della quale faccio parte.
A ridere con un professore di filosofia che ha provato a lavorare in Italia, e si e' ritrovato a distribuire volantini per le strade di Seregno. A parlare con una ragazza afro spagnola che fa la volontaria a Bogota'. A insegnare a un gruppo di colombiani come gli italiani parlano muovendo le braccia.

E sentendo che il mondo e' tutto li. E' esperienza e racconto. Indifferente trovarsi in un bar della Garbatella o sulla cima dell'Everest. Sono le persone, con il loro bagaglio di vita ed emozione, a rendere speciale un incontro, un momento. Sono le persone, che per quanto diverse possano essere, ti fanno sentire a casa.

mercoledì, febbraio 02, 2011

Corri, Forrest

GIORNO 11, BOGOTA', COLOMBIA


Sto correndo come un pazzo. Senza pausa, scivola tutto con una velocita' incredibile. Solo la giornata e' lenta, immensa, infinita. Piena e vuota, bianco e nero di una stessa sensazione.
Ma i chilometri non sono nulla. Le frontiere, appena accennate. Anche questa notte otto ore in autobus. Non e' tanto il nuovo, l'incontro, lo sconosciuto, l'esperienza a essere determinante in questo momento. E' il viaggio, la corsa. Essere un puntino che si muove sulla mappa.

Domani sono ancora qui. In diretta, da dove sto scrivendo, un ostello di fattoni nel centro storico di Bogota'. C'e' anche la sauna, lo devo dire. In fondo, siamo in alta montagna, 2600 metri. Anche se non sembra. Domani sera ho un incontro con un po' di gente della citta'. Ed e' giovedi. Venerdi' mattina, mi svegliero' ancora nello stesso ostello di fattoni. E domenica sono in Ecuador. Come, davvero non lo so.

martedì, febbraio 01, 2011

Siempre viva l'ipnorospo

















GIORNO 10, BUCARAMANGA, COLOMBIA

Giornata tranquilla. Di quelle che ti fanno riprendere il fiato. Un bus urbano a caso e mi ritrovo nel pueblito di Giron, che sembra uscito da un cartone animato. Casette bianche, ponti di roccia che attraversano il fiume, chioschetti dei gelati. Bambini che corrono, aquiloni, una scimmietta che suona il tamburo... beh, quasi. Dagli Appennini alle Ande. Il dolce Remi'. Cose di questo genere.

Nel pomeriggio Bucaramanga. File di banchetti che fanno spremute di mandarino. Di venditori che illustrano le proprieta' magnifiche di uno schiacciapatate. Appena sollevi lo sguardo, attaccano con la parlantina. "Le qualita' di questo prodotto sono tali che mai piu' nella vita vorrete schiacciare verdure con altri attrezzi". E via dicendo. E' un continuo, un mescolarsi di parole e aggettivi e di una formula rituale che apre ogni discorso, che richiama l'attenzione. 'A la orden'. Tradotto piu' o meno in 'a tua disposizione'.
Obiettivo, fuggire lo sguardo ipnotico. Altrimenti rispondere, con spiccato accento italiano, 'buona serata anche a lei'!