domenica, febbraio 25, 2007

Good morning, Valencia!

Oggi sono iniziati i bombardamenti. Non sappiamo ancora quanto dureranno. Ovvero, lo sappiamo, e cerchiamo di non pensarci. Oggi è domenica e la città offre un anticipo della grande festa che dal primo marzo inonderà Valencia di luce, musica, colore ed esplosioni. Per venti giorni.
Sono le otto di mattina, quando mi sveglio di soprassalto, i vetri tremano e i botti si fanno sentire sempre più forti. Abito a trecento metri dalla grande piazza dove si svolgono le Mascletà, gli spettacoli pirotecnici famosi in tutta la Spagna. Insomma, fuochi d’artificio di giorno, col risultato che quasi non si vedono e perciò tutto lo spettacolo sta nel fumo e nel rumore, potenziato all’inverosimile. Già preoccupato cerco testimonianze su YouTube, qualche video delle passate edizioni, alcuni con titoli decisamente rassicuranti: Fallas Valencia, 3 marzo, mezza tonnellata di esplosivo. Festeggia la tua città facendone saltare un pezzo!

Tralaltro, dopo un disorientamento iniziale, capisco che se sono le otto del mattino significa che non ho praticamente dormito. Crollo nuovamente sul letto e mi risveglio grazie alla Mascletà delle 14, maldicendo per essermi perso la partita di pelota valenciana. Colto da voglia di riscatto, decido di assaggiare finalmente il gaspacho che mi attende in frigorifero, dando così alla giornata un tocco di folklore ispanico. Piatto tipico andaluso, una crema di pomodori, con tabasco, aceto, aglio, cipolla, peperoni, sale e pepe, servire freddo. Provare per credere.
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sabato, febbraio 24, 2007

Lavori socialmente inutili

Ho fatto il mio primo colloquio di lavoro. Le faremo sapere.
Detto così sembra semplice. Invece è stata una vera e propria battaglia.
Saremo stati trenta candidati. Per un posto solo, si intende. Tanti italiani, stranieri, anche spagnoli. Un lavoro di quelli supersfruttati, sottopagati, nel quale mi spiegano è previsto anche un bel turno notturno dall’una alle nove di mattina. D’altronde non si può pretendere tanto, nell’era della comunicazione, dei giri di parole, delle metafore, non parlare perfettamente la lingua è un bello svantaggio. Che poi ora non parlo neanche più tanto male, mi faccio capire. In questi giorni ho anche scoperto l’uso dei tempi passati, come nel caro vecchio italiano. Certo non mi esprimo in impeccabile accento castigliano. Fatto sta che mi sono arrampicato sugli specchi nel colloquio e con gran colpo finale ho fatto notare che nel mio curriculum spicca una mia esperienza in Italia nello stesso identico impiego, tralaltro svolto anche per diversi mesi. Sono sicuro di essere l’unico a conoscere già tutto del settore, a ricordare procedure, passaggi, accorgimenti. Chissà se nell’anima del selezionatore prevarrà lo spirito patriottico o l’effettiva conoscenza del lavoro.
Poi a pensarci bene ho deciso che se anche mi richiamano gli dirò di no. Perchè mi chiedono due settimane con orari assurdi, e fino a qui andrebbe pure bene, ma proprio nel periodo de Las Fallas, ovvero la più grande festa di Spagna, gente in giro tutta la notte, spettacoli, fuochi, parate.
Ho pensato che non ne vale la pena. Ancora un paio di mesi di inattività me li posso concedere. Altrimenti rischio di perdermi le mirabolanti sfide a calcio con un limone come la notte scorsa, in plaza de la virgen. O l’attesissima finale del campionato di pelota, domani mattina. O ancora la festa che sta per iniziare in questo sabato sera valenciano.
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giovedì, febbraio 22, 2007

Via col vento

Oggi il vento soffia con forza su Valencia. Lo senti subito, girando per la città. E capisci anche che non è la solita brezza che accompagna le giornate degli abitanti e le regate dei campioni. E’ inaffidabile, fatto di folate e attimi di vuoto. Il mio centro metereologico di fiducia dice 20 nodi, proveniente da ovest, rafficato, fino a sabato. Per chi non fosse un vecchio lupo di mare sono circa 10m/sec, 37 kmh. Insomma, cavalloni di due metri, barche di America’s Cup che decollano e rischiano di spezzarsi.
Perchè quando il vento soffia da terra è incostante, capriccioso. Se sei in mare in barca a vela la giornata si trasforma in rodeo. Basta un attimo per rovesciarsi, mentre te ne stai li, instabile e traballante. Come il mondo che ci sta attorno.
Ieri sera grande partita, l’Inter gioca proprio col Valencia e prima vince, poi pareggia, poi vince, poi pareggia. E quando la sera torno a casa sento che è caduto il governo. Anzi no, è inciampato e adesso sta scegliendo se cadere o aggrapparsi da qualche parte. E tutto questo ti fa pensare un po’ che dovrai essere sempre più bravo per evitare che la tua barca si rovesci.
Poi per fortuna arrivano le notizie che aspettavi, quelle di tutti i giorni che danno un senso di normalità e tranquillità ai momenti instabili. Nuovo consiglio d’amministrazione per l’Alitalia, manifestazioni e disordini in Palestina e Iran, una classica alluvione di un paese sperduto (che questa volta però è la Bolivia e almeno come nome si conosce).
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Di nuovo calma, mare piatto, abitudine. Tutto torna al proprio posto; finalmente la Rai ha tolto il limite per il compenso dei conduttori televisivi, che era di ‘solo’ 272.000 euro. Così finalmente Baudo e la Hunziker hanno potuto ottenere ciò che chiedevano. E noi trepidanti possiamo come ogni anno aspettare il Festival di Sanremo.
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mercoledì, febbraio 21, 2007

Promemoria n°1

-Imparare la frase da dire al postino, spiegandogli che non tutti gli inquilini degli anni passati abitano ancora nel nostro appartamento. Ricevere la posta di diciotto persone non è il massimo.
-Chiamare Heidi una ragazza austriaca non fa ridere.
-Se a Bologna giri all’università con una borsetta etnica sei alternativo, qui sei alternativo ma da un punto di vista che lascio all’immaginazione...
-L’università non è lontana a piedi, ero io a camminare in direzione contraria.
-Stranamente i conquilini mi chiedono di non mettere gli Offspring a paletta quando mi sveglio alle sette.
-Quando ti chiedono se vuoi "qualcosa" sulla paella, dì sempre di no.
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lunedì, febbraio 19, 2007

Ich bin ein nudelfresser

Trovarsi in un paese straniero è un’esperienza particolare. Specialmente per chi in tanti anni ha letto, imparato, ascoltato migliaia di parole, splendide sfumature della lingua italiana. Sapere che esiste un termine giusto per ogni occasione, un’infinità di sinonimi, un modo di rendere i pensieri perfettamente con le parole adatte. E all’improvviso trovarsi in uno stato primitivo, sgrammaticati alla disperata ricerca di comprensione. Una sola parola per indicare dieci stati d’animo, dieci condizioni. Come se in Italia si potesse usare solo buono, bello, brutto.
Oggi sono incappato in una lezione di italiano. Non voluta, si intende. Ho capito però che la nostra lingua è davvero complessa per chi ci si avvicina, che far comprendere cose come “l’uso del nè” non è affatto semplice. E che abbiamo migliaia di parole che ad altre lingue mancano. Farne di cotte e di crude, in spagnolo diventa “fare di tutto”. Dirne di tutti i colori, “dire di tutto”.
Quindi si impara una nuova lingua ma si rivaluta la propria, incontrando poi anche altri linguaggi da tutto il mondo.

Scopro così che per i tedeschi noi siamo “nudelfresser”. Così ci chiamano. Persone che mangiano tanta pasta, tradotto al volo. Che poi non è neanche tanto un luogo comune. Anzi, è proprio vero.
I pranzi saltati mi portano ormai a cena verso la quota olimpica dei 400 grammi. Di makkeroni, che poi visti da vicino io li chiamerei mezze penne rigate. Spaghetti, tallarin (tagliolini credo) e makkeroni. Sembra che anche in cucina il dizionario non sia tanto ricco.
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sabato, febbraio 17, 2007

La finestra sul cortile

Penso che dal tetto della mia casa si veda la corrida. Sicuramente, le palazzine sono tutte standardizzate, alte uguali otto piani in questa via, l’arena non sarà neanche neanche cinquanta metri in linea d’aria. Il tetto non può essere a spiovente, qui non nevica mai. Ci saranno un sacco di antenne, quelle si. Mai viste così tante come in Spagna.
Esco di casa, salgo le scale di corsa, ma con grande delusione... l’ultima porta è chiusa. Proprio quella che porta sul terrazzino. Che comunque esiste, lo so. Quindi per oggi niente foto aeree di mantelli rossi, di urla del pubblico e fazzoletti bianchi, toreri verde oro, animali neri e scatenati, terra insanguinata. Tra l’altro non è neanche giorno di corrida, anche se come orario andrebbe pure bene. Hanno montato il tendone del circo nell’arena, il modo migliore per essere in centro città senza creare disordini, ingorghi, confusione.
Così ho fatto uno scatto dalla finestra, non però dalla facciata gialla piena di fiori e balconi che si affaccia sulla strada, ma all’interno. Su quella specie di cortile che una volta era il ritrovo di una comunità, assiepata negli appartamenti ad alveare che lo circondano. E che oggi è un parcheggio.
Pareti fatte di stanze tutte differenti, di mille particolari che si incontrano, con i loro dialetti, i profumi dela cucina, i panni stesi ad asciugare. Mille finestre e non una che sia uguale ad un’altra.
Infinite persone da incontrare, piatti da assaggiare, città da scoprire, diverse ognuna e tutte legate tra loro come nella facciata da quadro futurista del mio palazzo.
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Notte

Ci sono notti nelle quali i pensieri corrono. E il sonno non arriva mai. E’ il momento dei ricordi, dei sogni, dei progetti. Forse perchè tutto è fermo, tranquillo, lento, rilassato. Nessuna notte scivola via come le giornate che viviamo senza accorgercene. Forse perchè sono poche immagini che ci restano impresse, mentre una giornata ci sommerge con banalità, ci sfianca con ritmi ripetitivi, ci inonda di messaggi inutili.
Ho in mente fotografie bellissime di queste ultime notti: il fascino di una via mai percorsa, un taxista che suona la chitarra mentre aspetta i clienti, l’essermi perso tra piazze e fontane.
Un senso generale di immobile bellezza, di silenzio. Perchè nel buio non possono esserci difficoltà, differenze, complicazioni, indecisioni. E se ci sono non si vedono.
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venerdì, febbraio 16, 2007

Parole senza pensieri

A volte penso a quante possano essere le persone che scrivono su internet. Liberamente, occasionalmente, costantemente, semplicemente. Dai fatti più personali alle questioni di dominio pubblico, passando per emozioni e sensazioni. Il fatto è che nessuno sa quanti siano. Questo perchè ogni studio che viene compiuto sul fenomeno blog è già vecchio nel momento in cui parte. Non esiste un catalogo, un elenco, l’evoluzione è troppo rapida e disorganizzata per poter essere seguita. A conti fatti, meglio così.
Ma la voglia di classificazione che invade la rete non risparmia nulla. Esiste la top ten dei blog che parlano di architettura d’interni, di quelli che discutono sulla necessità di riformare il codice della strada, dei blog che insegnano a scrivere blog. Ci sono in Italia 24 persone che usano la rete per influenzare le nostre abitudini, o almeno così dicono.
Tutto è inquadrato e preciso, al punto che ogni classicazione non ha più alcun senso.
Ecco un assaggio di ciò che si può trovare nella grande rete:
Nelle prime trenta canzoni di sempre ci sono sette brani dei Beatles. Il Gameboy è la console giochi più venduta con 110 milioni di pezzi. Kurt Cobain dei Nirvana è un chitarrista migliore (12°) di Carlos Santana (15°). La migliore città degli Stati Uniti per un single è Denver. Il film più bello è “I sette samurai” di Kurosawa. Muhamed Alì è il secondo sportivo ad avere guadagnato di più l’anno scorso, vendendo tutti i diritti sulla sua immagine. Il padrone dell’Ikea è il quarto uomo più ricco del mondo. Il walkman si piazza terzo nella classifica dei gadget che hanno cambiato la nostra vita, lasciando di sasso l’I-pod solo dodicesimo. Angela Merkel è più potente di Condoleeza Rice.

Voci di corridoio affermano che i blog sono circa 70 milioni, con una crescita di venti milioni all’anno. Metà di questi sono però inattivi, abbandonati. Parole fermate sul schermo per molto tempo, memoria collettiva di quest’era della comunicazione.
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mercoledì, febbraio 14, 2007

Variazioni sul tema

Per la cronaca, è San Valentino. Giornata splendida, pace nell'aria, primavera.
Eppure ogni anno sento sempre più persone che non sopportano questo giorno. Cercano di cancellarlo, banalizzarlo, estrometterlo. Guardando sul calendario troviamo in rapida successione giornata della memoria, giornata del ricordo (delle foibe), giornata del malato. San Valentino arriva e porta una ventata di gioia, di speranza, una voglia di normalità. Eppure insistono, è il trionfo del consumismo, è solo una manovra commerciale,...

Mi dicono che i fiorai fatturano l'ottanta per cento dell'anno in questo giorno, che francamente mi sembra una bella esagerazione. Mettici un altro dieci per cento con le mimose dell'otto marzo e il resto dell'anno stai in vacanza. Poi una nota marca di elettrodomestici lancia "cuor di moka", la caffettiera che usa solo la parte migliore del caffè. Senza parlare ovviamente di chi produce certi cioccolatini che ormai sono vero e proprio status symbol del 14 febbraio.
Ma ciò che mi colpisce di più sono i giornali. Fanno a gara per la notizia del sito web dal quale puoi spedire un pesce marcio alla tua ex, o di quello che fa rimare il nome prescelto con una catena di insulti. Forse una volta avrebbero pubblicato una poesia, una di quelle che nessuno ricorda ma che tutti vogliono sentire in un giorno così.
In fondo è solo una questione di punti di vista. Variazioni sul tema. Come la luce che oggi scende su Valencia inondandola di colore e magia.
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martedì, febbraio 13, 2007

Il mattino dei maghi

Oggi si ricomincia. Si riparte in viaggio, attraverso l’appennino tosco-emiliano , in una di quelle mattine dipinte dalla foschia che si leva dai campi e dal verde che placido si posa sulle colline.
Le cave di marmo, i pini della Versilia, i fiumi e i torrenti. Per arrivare ad una breve vista di piazza dei miracoli a Pisa, corredata di celebre torre pendente.
Un viaggio rapido su quel braccio di mare che separa l’Italia dalla Spagna, panoramica aerea di Valencia sospesa tra passato storico e architetture moderne.
Domani lezione di teatro latino americano, la promessa di fotografare la città di notte, la festa de Las Fallas che si avvicina.
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venerdì, febbraio 09, 2007

Un'improbabile alba a Firenze

Sarebbe un sogno. Svegliarsi ogni giorno in una città diversa. Magari non per sempre, giusto qualche anno per capire, vedere, conoscere un mondo che diventa sempre più vicino e sempre più complesso. Questa mattina mi sono svegliato a Firenze. Quando però è una giornata senza sole non puoi vedere nè alba nè tramonto, ma solo grigio scuro diventare chiaro e viceversa. Certo ti guardi intorno e percepisci che la notte lentamente sta morendo, quando le luci dei lampioni si confondono con quelle del cielo e i riflessi sull'acqua si fanno mano a mano più nitidi. Ma d'un tratto capisci che il giorno è arrivato, e non te ne sei reso conto.
Fatto sta che vedere Ponte Vecchio schiarire lentamente è sempre uno spettacolo unico, fatto di ombre, silenzi, parole, magia. E girare in una Firenze deserta di primo mattino è sconcertante.
Vie strette e piazze immense, cupole e statue, classicismo e colore. E' sentire nell'aria secoli di storia e di arte.

E fa impressione ancora una volta vedere le persone che dopo poco cominciano a popolare le strade: camminano dritte, spedite, a testa bassa. Grigie come il giorno che attraversano. Dimenticando che basterebbe alzare un attimo lo sguardo per vedere una volta di più la bellezza che li circonda.
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giovedì, febbraio 08, 2007

Lost in translation

Valencia è universalmente riconosciuta come patria della paella. Quest'anno è però soprattutto la città dell'America's Cup. Il prestigioso trofeo velico arriva infatti nel mar mediterraneo, per la prima volta in 156 anni di storia, grazie alla vittoria strappata tre anni fa ai neozelandesi dagli svizzeri di Alinghi. Quasi per ironia un paese senza mare, li davanti a tutti, che darà finalmente agli europei la possibilità di vivere l'emozionante sfida verso la vittoria. Si preannuncia l'edizione più intensa e coinvolgente di sempre, un evento sportivo unico capace di catalizzare l'attenzione e gli investimenti del mondo. Cinque continenti in gara con dodici equipaggi, nella splendida cornice di una città moderna e dinamica che febbricitante si prepara all'inizio delle competizioni. Un colpo da dieci milioni di turisti nel giro di pochi mesi.
Valencia si trasforma, cambia faccia; la tensione è alta tutto dovrà essere perfetto ed efficiente.
Durante un giro all'aeroporto , complice un breve ritorno a casa, mi accorgo di quanto in pochi giorni sia cambiato. Il nuovo terminal cresce poco a poco, la quarta linea metro è prossima all'inaugurazione. Lontano si distinguono bar e ristoranti, scaffalature ancora impacchettate, punti assistenza, gallerie commerciali. Uno stuolo di vigilanti presiede il check-in. Controlli, perquisizioni.

Memorabile la scena della guardia giurata che per due volte si sincera che una spazzola per capelli non abbia il manico estraibile. Solo una volta in "furia cieca" ho visto una spada uscire da un ombrello. Temeva forse che la spazzola nascondesse una lima per unghie?
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martedì, febbraio 06, 2007

Que viva la noche

Ieri pomeriggio all’improvviso ho sentito suonare il telefono. Messaggio. Enigmatico, sintetico: avenida aragon, terzo palazzo, campanello 104. Ci vediamo là, mezzanotte. Neanche in un film thriller mi sarei aspettato tanto. Un rapido sguardo alla mappa della città e quando arriva l’ora fatidica via, silenzioso nella notte. Fuori dal centro, in prima periferia, proprio di fronte allo storico stadio Mestalla, in un intricato sistema di vie deserte, incroci, cantieri. Trovo il palazzo, la scala, la porta e mi ritrovo ad una festa per una ragazza tedesca, che finito il suo periodo di studio a Valencia sta per tornarsene a Friburgo. Dal mare alla foresta nera. La vedo colma di gioia.

Qualcuno mi guarda stranito, in fondo non conosco nessuno e non c’è neppure chi mi ha invitato. Subito si riconoscono gli italiani: sono quelli che quando parlano spagnolo si sente proprio che non sono spagnoli, quando si parla in inglese stanno in silenzio, occhio spento e sorriso inutile. E poi ci sono le tedesche, gli americani, le francesi, gli ungheresi. Quando il cervello si abitua a questo esperanto di lingue allora è semplice anche comunicare, con frasi che probabilmente non esistono su alcun dizionario, fatte come sono di tentativi, di tutte quelle parole europee entrate nell’uso comune, di ricordi, di gesti.
Tra i fatti notevoli da ricordare sicuramente la miglior sangria mai bevuta. Anche se la scoperta a fine serata che si trattava di semplice sangria nel cartone mi ha portato ad affermare che il Tavernello potrebbe essere per conseguenza il miglior vino italiano.
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lunedì, febbraio 05, 2007

L'albero delle cose perse

Piove. Continuerò a dirlo ogni giorno finchè non smetterà. Forse è meglio così, le strade sono fiancheggiate da siepi di mandarini che stavano crescendo un po’ sciupati... E poi non mi lamento, in soli due giorni in camera ho trovato due ombrelli. Gentile omaggio di chi mi ha preceduto, una ragazza portoghese che ha ben pensato di allegerire il viaggio di ritorno lasciando qui una quantità industriale di oggetti. Ho in mente quest’immagine, l’albero delle cose perse, dove al posto dei frutti crescono le chiavi dimenticate, i peluches che gettiamo quando cresciamo, gli ombrelli lasciati nei bar, le scarpe rotte. Ho provato a cercare quest’albero leggendario nella grande rete, ma pare che non esista. Si può trovare albero genealogico, informatico, grafico, meccanico, velistico, del pane, della cuccagna, del veleno, di giuda, della conoscenza. Nessuna traccia dell’albero delle cose perse.

Fatto sta che ciò che dimentichiamo andrà pur a finire da qualche parte.
Il mio piccolo tesoro si è arricchito così di due ombrelli (uno rosa...), un paio di scarpe (da donna...), una cannottiera modello Venezia a righe bianche e blu, un paio di cuffie per mp3, una felpa rossa e una grigia a zip, una stecca da geometra da 50 cm, una spazzola per scarpe e una torcia portatile completa di pile. A conti fatti un ottimo inizio.
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domenica, febbraio 04, 2007

Little Italy

Si lo so già. Anche se nessuno resiste alla tentazione di dirmelo. Vai all’estero? Mi raccomando, parla solo spagnolo, frequenta solo spagnoli, altrimenti non impari la lingua... e mangia paella e tortilla, una bistecca puoi mangiarla anche in Italia. E balla il flamenco, guarda una corrida.
Detto fatto. Vivo con due italiani e un francese coreano. Perchè in fondo tutto il mondo è paese.
Un italiano recita sempre la parte di colui che ama culture diverse, che vuole incontrare nuove persone, ma se alla fine deve portarsene in casa una tra un guatemalteco e un italiano sceglie certamente il secondo. In Spagna accade lo stesso, spagnoli con spagnoli, stranieri con stranieri. Le minoranze si organizzano, superano quelle prime settimane nelle quali è fondamentale trovare una casa, organizzarsi studio o lavoro, capire gli orari, i mezzi pubblici, i divieti, i locali e si, poi anche le tradizioni e le usanze. Il tutto parlando una lingua stentata fatta di tentativi e incomprensioni.
E poi una nazione è fatta soprattutto dalla gente che ci vive, non è un omogeneizzato di folklore da costa a costa. Tanti luoghi comuni dettati dall’era della comunicazione, sia per noi che per loro.

E’ sorprendente infatti scoprire che per uno spagnolo noi siamo veramente il paese della mafia e della pizza, ma soprattutto del mandolino, che mi sono ripromesso di imparare per non deludere le aspettative della comunità.
Qui a Little Italy oggi piove, la vita scorre tranquilla, dalla cucina arriva profumo di spaghetti e paella take-away.
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sabato, febbraio 03, 2007

Lap Dance

In equilibrio precario e costante. Penso che non ci siano parole che meglio si adattino all’inizio di questo viaggio. Non solo per il “perchè” di un esperienza senza obiettivi precisi, sostenuta soltanto da un’improvviso sorriso verso il mondo e i suoi abitanti. Ma soprattutto per il “come” comincia quest’avventura. In uno disperato sforzo per rimanere in piedi ondeggiando con movenze da ballerina di lap dance grazie all’equilibrato carico di zaino, valigia, marsupio. Candidamenti portati tra la varietà umana dei mattinieri pendolari del treno per Milano, sardinizzati tra i vagoni, e poi tra la perduta gente della metropolitana, abili e allenati ottimizzatori di uno spazio ridottissimo.

Finchè si arriva alla tanto sospirata stazione dalla quale partono i collegamenti per gli aereoporti. Ci sono due compagnie di autobus che si contendono i passeggeri.
Ne scegli una, così, senza soffermarti su marchi con messaggi subliminali e colori dei biglietti da indagini psicologiche. Pronto a partire, seduto nel tuo pullman con aria condizionata (d’inverno). Ed è in quel momento che scopri che solo nei film e in Italia succedono certe cose. I pullman rivali si mettono uno accanto all’altro, bloccando la strada, magicamente in un attimo gli autisti scompaiono. E subito il tuo pilota (si non è un semplice autista, è un pilota dell’estremo), comincia a suonare clacson, trombette, lingue di menelick. Perchè gli avversari fanno un sabotaggio sottili, ti lasciano dieci minuti bloccato per farti perdere tempo e far slittare quella perfetta macchina che è un servizio navetta per l’aereoporto.
Quando tutto si risolve, il viaggio sembra un attimo. Check-in, boarding, gate, tutte parti di un meccanico processo durante il quale vieni perquisito e setacciato, bastano dieci cent in una tasca per far suonare il metal detector. C’è la macchina controlla scarpe, la postazione controllo pc, l’addetto al sequestro liquidi (!). Imbarco, volo, turbolenza, atterraggio.

Valencia mi accoglie con un vento freddo che soffierà due volte in un anno. D’altronde è la città della coppa america. Ma mettersi la cuffia quando in valigia hai solo magliette è certo un fatto preoccupante.
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